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Tra India e Pakistan tornano le tensioni

Il 10 maggio è stato raggiunto un accordo per un cessate il fuoco tra India e Pakistan. Ma i recenti scontri hanno riproposto a livello internazionale il tema delle tensioni tra i due paesi, soprattutto nella regione del Kashmir.

Il 10 maggio, dopo giorni di intensi combattimenti, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato il raggiungimento di un cessate il fuoco tra India e Pakistan. L’accordo, confermato anche dai vertici dei rispettivi stati, è apparso cruciale per interrompere la pericolosa crescita della tensione tra i due paesi.

Infatti, in seguito all’attentato terroristico del 22 aprile scorso nella regione del Kashmir indiano che causò la morte di venticinque civili indiani e di un nepalese, le forze armate di Nuova Delhi hanno dato il via all’operazione di lotta al terrorismo denominata Sindoor. Il 7 maggio, sono stati condotti attacchi aerei e missilistici contro nove obiettivi complessivi situati nella porzione pakistana del Kashmir e nella provincia pakistana del Punjab, ritenuti collegati ai gruppi terroristici attivi nella regione. L’operazione, che secondo le forze di sicurezza pakistane avrebbe causato la morte di oltre trenta civili e numerosi feriti – mentre sul fronte indiano si parla di più di un centinaio di terroristi uccisi[1] – si inserisce nelle complesse ed ostili relazioni tra i due stati.

Le rivalità tra India e Pakistan, infatti, risalgono al 1947, quando, ottenuta l’indipendenza dall’Impero britannico, i due paesi, identificati sino a quel momento nel cosiddetto Raj indiano, furono divisi secondo una logica confessionale: i territori Hindu diventarono l’India, quelli a maggioranza Islamica il Pakistan. Diversamente il principato di Jammu e Kashmir non aderì a nessuno dei due stati preferendo mantenere un assetto neutrale – il principato, infatti, pur essendo prevalentemente musulmano era governato da un’amministrazione filo indiana. Nello stesso anno, tuttavia, a seguito delle pressioni crescenti esercitate dalle milizie filoislamiche, l’amministrazione induista si rivolse all’India, che la annetté in qualità di venticinquesimo stato. Non riconoscendone però la validità, il Pakistan invase la regione facendo così scoppiare la prima guerra del Kashmir. Nel 1948 le Risoluzioni n. 39 e 47 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite portarono, l’anno seguente, al raggiungimento di un primo cessate il fuoco (accordo di Karachi), stabilendo la divisione provvisoria della regione attraverso una linea di cessate il fuoco[2]. La tregua fu però interrotta dapprima nel 1965 (seconda guerra del Kashmir) e successivamente nel 1971 da un ulteriore conflitto (terza guerra Indo-Pakistana)[3]. Nel 1972, l’accordo di Simla formalizzò, quindi, la divisione della regione con la creazione dell’attuale Line of Control (LoC) che divide ancora oggi il Kashmir in sezioni distinte amministrate dai due paesi – oltre che dalla Repubblica Popolare Cinese, che ne controlla la fascia nordorientale. Negli anni, però, le tensioni non sono diminuite sfociando nel 1999 in un ulteriore conflitto (guerra di Kargil), in ripetute violazioni degli accordi, oltre che in ripetuti attacchi, sia convenzionali che non convenzionali, come nel caso dei brevi scontri avvenuti nel 2016 e nel 2019.

Come detto, l’attuale innalzamento della tensione ha avuto origine in aprile quando, in seguito all’attentato terroristico compiuto nella città di Pahalgam, nella porzione indiana del Kashmir, Nuova Delhi ha accusato Islamabad di supportare il terrorismo – nella fattispecie il gruppo terroristico pakistano, The Resistance Front (TRF), parte del più ampio gruppo salafita jihadista Lashkar-e-Taiba– minacciando così misure di ritorsione. In questo senso, malgrado le autorità pakistane abbiano respinto qualsiasi accusa dichiarandosi pronte ad avviare un’investigazione interna, Nuova Dehli ha sospeso la sua partecipazione al Trattato delle acque dell'Indo (IWT), che dal 1960 regolava la redistribuzione e l’utilizzo delle acque del fiume Indo tra India e Pakistan, annunciando inoltre, nei giorni successivi, l’interruzione del flusso dei propri corsi d’acqua oltreconfine. A questo hanno fatto seguito la chiusura dei rispettivi confini (lungo il passaggio di Wagah-Attari), la sospensione dei visti ed il ritiro del corpo diplomatico.

Il 7 maggio vi è stato poi l’attacco indiano che ha colpito obiettivi a Muzaffarabad, Kotli, Bahawalpur, Muridke, Tehra Kalan, Sialkot, Barnala, tutti identificati come centri di attività terroristica affiliati alle organizzazioni terroristiche pakistane Lashkar e Taiba e Jaish e Mohammad.

L’operazione, quindi, nonostante sia stata giustificata come un atto legittimo finalizzato alla lotta al terrorismo, ha scatenato la pronta risposta del Pakistan. Islamabad, invocando l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite e riservandosi il diritto di legittima difesa nei confronti di un’azione – quella indiana – considerata un vero e proprio atto di guerra, ha, infatti, compiuto, nei giorni immediatamente successivi, diversi attacchi in territorio indiano. L’operazione – denominata Bunyan-ul-Marsoos – secondo fonti locali, avrebbe causato l’uccisione di almeno quindici civili indiani e l’abbattimento – in questo caso non chiarito totalmente dalle autorità indiane – di alcuni aeromobili (anche di nuova generazione) appartenenti alle forze di Nuova Delhi.

Gli scontri, che hanno visto principalmente il lancio di missili e l’utilizzo di droni, si sono poi protratti nei giorni successivi, innalzando così il rischio di un ulteriore e pericolosa escalation. Il 10 maggio è stato però raggiunto un cessate il fuoco che sembrerebbe aver scongiurato un conflitto di dimensioni maggiori. Nonostante, infatti, le reciproche e ripetute accuse di violazione, la tenuta della tregua risulta essenziale considerando soprattutto la capacità nucleare di entrambi i paesi ed il possibile allargamento ad attori esterni.

Tuttavia, resta ancora da vedere se questo accordo sarà in grado di stabilizzare le relazioni tra i due paesi, soprattutto alla luce del fatto che, nonostante la tregua, per il momento permangono, e restano in vigore, le altre misure di ritorsione adottate nei giorni precedenti. Tra queste, oltre alla già citata sospensione dell’IWT, che potrebbe avere effetti devastanti per le popolazioni dell’area, vi sono la chiusura dello spazio aereo pakistano – con ripercussioni importanti per il traffico aereo – e l’interruzione delle relazioni commerciali. Si tratta di misure il cui impatto – non indifferente per i rispettivi sistemi economici, politici e sociali – potrebbe mettere a rischio la stabilità del cessate il fuoco, sviluppando possibili nuovi elementi di tensione tra i due stati.

Guardando ai prossimi mesi, dunque, il futuro delle relazioni tra India e Pakistan appare quanto mai incerto. Il cessate il fuoco del 10 maggio ha permesso di contenere un’escalation pericolosa, ma le misure di ritorsione ancora in atto e la mancanza di fiducia reciproca continuano a pesare come un macigno sul dialogo bilaterale. La sospensione del Trattato delle acque dell’Indo e la rottura dei canali diplomatici e commerciali rischiano di avere conseguenze profonde, non solo per i due Paesi, ma per l’intera regione. In questo scenario, anche il coinvolgimento di attori internazionali come Stati Uniti, Cina e Nazioni Unite potrebbe rivelarsi decisivo per favorire un percorso di distensione, in un contesto di tensione costante.


[1] International Institute for Strategic Studies (IISS), India–Pakistan drone and missile conflict: differing and disputed narratives, 2025 (https://www.iiss.org/online-analysis/online-analysis/2025/05/indiapakistan-drone-and-missile-conflict-differing-and-disputed-narratives/).

[2] UNSC, Karachi Agreement (https://www.securitycouncilreport.org/un-documents/dprk-north-korea/).

[3] In quell’occasione i territori orientali del Pakistan, supportati attivamente dall’India, ottennero l’indipendenza decretando la creazione dell’attuale Bangladesh.

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