Nella relazione annuale sullo stato di avanzamento dell’integrazione europea dei paesi candidati presentata l’8 novembre, la Commissione Europea ha raccomandato l’apertura dei negoziati di adesione all’UE con la Bosnia-Erzegovina (che ha ottenuto lo status di candidato nel dicembre 2022), ma “una volta raggiunto il necessario grado di conformità ai criteri di adesione”. La relazione osserva che è stato compiuto qualche progresso nel settore giudiziario, non si sono avuti progressi nella lotta alla corruzione e si è registrato un regresso per quanto riguarda la libertà di espressione e dei media; nota progressi nella lotta alla criminalità organizzata, al terrorismo e al riciclaggio di denaro, ma esprime preoccupazione per le leggi incostituzionali approvate dalla Republika Srpska – l’entità della Bosnia-Erzegovina con popolazione di etnia serba, che ostacola anche l’adeguamento alla Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC). La Commissione tornerà a riferire agli stati membri sui progressi compiuti dal paese entro il marzo 2024.
La relazione della Commissione riguarda anche i quattro paesi balcanici che hanno già aperto i negoziati di adesione (Montenegro nel 2012, Serbia nel 2014, Albania e Macedonia del Nord nel 2022) e il Kosovo, la cui indipendenza non è ancora riconosciuta da cinque stati membri dell’UE e che ha presentato domanda di adesione nel dicembre 2022. Oltre ai ritardi nelle riforme indicate dalla Commissione come necessarie, i maggiori ostacoli all’integrazione della Serbia sono gli scarsi progressi nel processo di normalizzazione con il Kosovo e il mancato allineamento alla PESC, in particolare rispetto alle sanzioni alla Federazione Russa, mentre la Macedonia del Nord deve superare alcune divergenze con la Bulgaria. Per tutti i quattro paesi la relazione rileva insufficienza di progressi nelle riforme giudiziarie. Inoltre, in Kosovo “occorre fare di più sullo stato di diritto” (soprattutto nel nord del paese a maggioranza serba, turbato da costanti tensioni); in Serbia è necessaria “una forte volontà politica per affrontare efficacemente i problemi di corruzione”, mentre “non sono ancora una pratica comune le indagini penali proattive e il monitoraggio sistematico dei flussi di denaro, soprattutto in caso di ricchezza inspiegabile”; il Montenegro e la Macedonia del Nord devono combattere con maggiore rigore la corruzione, anche ad alto livello; l’Albania ha ottenuto buoni risultati con la struttura specializzata contro la corruzione e la criminalità organizzata, che si è occupata di numerosi casi di alto profilo che hanno coinvolto anche ministri, parlamentari, sindaci e alti funzionari. La Commissione ha anche espresso preoccupazione sulla libertà di espressione in diversi paesi della regione.
Il 13 novembre i ministri degli Esteri dell’UE e dei Balcani occidentali hanno partecipato a Bruxelles a un incontro presieduto da Josep Borrell, alto rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza. In tale occasione, il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale italiano, Antonio Tajani, ha ricordato che l’Italia “sostiene con forza il percorso di integrazione europea dei Balcani” e ha affermato che è “fondamentale ora accelerare in questo percorso puntando anche a una collaborazione più stretta su dossier chiave quali la crescita economica, la sicurezza e la lotta all’immigrazione irregolare”. La riunione è stata preceduta da un incontro dei ministri UE del gruppo “Amici dei Balcani Occidentali” (Austria, Croazia, Grecia, Italia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Slovenia) con gli omologhi della regione, il cui documento conclusivo informale chiede alle istituzioni dell’Unione di “presentare un’agenda chiara per un’integrazione graduale e accelerata con misure concrete di attuazione fino al 2024 e oltre”, anche per affrontare con maggiore efficacia le pressioni esterne, come migrazione illegale, disinformazione e minacce ibride. I sette ministri dell’UE ritengono necessario “stabilire uno scambio più regolare e strutturato con i partner”.
Le priorità del nuovo governo del Montenegro, delineate dal primo ministro Milojko Spajić, economista e presidente del movimento “Europa Adesso”, saranno non questioni etniche o religiose ma “la piena adesione all’UE”, una partecipazione attiva e credibile alla NATO della quale il Montenegro è membro, il miglioramento delle relazioni con i paesi della regione e l’impegno nelle organizzazioni multilaterali, mentre le sue politiche economiche mireranno a migliorare il tenore di vita e attuare riforme che consentano “maggiori entrate fiscali, investimenti e un migliore clima imprenditoriale”.
Avendo ottenuto alle elezioni del giugno scorso una maggioranza solo relativa, per conquistare la fiducia parlamentare Spajić ha però dovuto contare anche sui voti dei deputati del movimento “Per il futuro del Montenegro” di Andrija Mandić, con un patto in base al quale quest’ultimo è stato eletto presidente del Parlamento nonostante le sue posizioni notoriamente vicine al nazionalismo serbo, filorusse e contrarie alla NATO. Non sarà facile per Spajić mantenere la coesione della maggioranza, anche se Mandić si è detto pronto a superare le divisioni. La coalizione del nuovo governo, oltre al centrista “Europa Adesso” comprende “Montenegro Democratico”, il Partito Popolare Socialista filoserbo, il partito liberale europeista “Civis” e due coalizioni di piccoli partiti cui fanno riferimento cittadini di etnia albanese.
Il 2 novembre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha discusso il rapporto semestrale dell’alto rappresentante della Comunità internazionale in Bosnia-Erzegovina, Christian Schmidt, e ha adottato all’unanimità una risoluzione che proroga di un anno il mandato della missione di mantenimento della pace e di sicurezza EUFOR Althea, avviata nel 2004 e composta da circa 1.100 militari di 20 paesi. Il rapporto segnala “attacchi senza precedenti all’accordo di pace di Dayton e all’ordine costituzionale della Bosnia-Erzegovina”, in particolare a causa degli “obiettivi secessionisti” più volte evidenziati dal presidente filorusso della Republika Srpska, Milorad Dodik. Inoltre, questi ha sempre affermato di volere ignorare le decisioni dell’alto rappresentante Schmidt e della Corte Costituzionale dello stato. Mentre gli Stati Uniti, come gli stati membri dell’UE e il Regno Unito, hanno confermato il pieno sostegno a Schmidt, Federazione Russia e Cina non lo riconoscono come alto rappresentante, sostenendo che non sia stato adeguatamente confermato dal Consiglio di Sicurezza. Secondo la federazione Russa, l’Ufficio dell’Alto Rappresentante “è obsoleto e dovrebbe essere chiuso il prima possibile”.
In materia di flussi migratori, resta molto difficile controllare la rotta balcanica. Il 2 novembre la polizia serba ha reso noto di avere fermato un totale di 738 migranti in diverse operazioni lanciate la settimana precedente. La rotta pare essere sempre più utilizzata dai trafficanti di esseri umani per fare entrare nell’Unione Europea persone provenienti da diversi paesi asiatici – molti dei quali, come i cittadini cinesi, entrano regolarmente in Serbia o in Bosnia-Erzegovina dove non hanno bisogno di visto prima di affidarsi a organizzazioni criminali. Secondo un rapporto di intelligence pubblicato il 2 novembre sul sito web del Parlamento ungherese, intitolato “Aspetti di sicurezza nazionale della migrazione illegale nella zona di confine serbo-ungherese”, agenti del regime dei talebani avrebbero preso il controllo diretto dei gruppi di trafficanti di esseri umani afghani che operano nel territorio serbo della Vojvodina, vicino al confine con l’Ungheria; inoltre, la guerra tra Israele e Hamas potrebbe aumentare il rischio che la rotta balcanica sia utilizzata da reti terroristiche per organizzare attacchi in Europa occidentale.
Il 6 novembre la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha ricevuto a Palazzo Chigi il primo ministro dell’Albania, Edi Rama, e ha annunciato un Protocollo d’Intesa tra Italia e Albania in materia di gestione dei flussi, che prevede di allestire centri migranti in Albania che possano contenere fino a 3.000 persone e accoglierne complessivamente circa 39.000 all’anno. L’accordo riguarda solo i migranti soccorsi nel Mediterraneo da navi italiane ed esclude i minori, le donne in stato di gravidanza e altri gruppi vulnerabili. L’Italia dovrebbe, in particolare, curare le procedure di sbarco e identificazione nel porto di Shëngjin e costituire un Centro di Permanenza per il Rimpatrio a Gjadër, nel nord-ovest dell’Albania; in entrambe le strutture sarebbe in vigore la giurisdizione italiana e opererebbero forze di polizia e Commissioni d’asilo italiane.
Il 6 e il 7 novembre l’inviato speciale dell’UE per il dialogo tra Kosovo e Serbia, Miroslav Lajčák, ha discusso a Pristina il progetto di statuto dell’Associazione dei Comuni a maggioranza serba proposto dall’UE il 21 ottobre e altre questioni con il primo ministro Albin Kurti, il primo vice primo ministro Besnik Bislimi e rappresentanti politici di opposizione. Dopo avere rifiutato precedenti proposte, ritenute non in linea con la Costituzione del Kosovo, Kurti sarebbe ora disponibile ad accettare la bozza di statuto dell’Associazione, ma il presidente serbo Aleksandar Vučić è fermo sulla posizione di non voler firmare alcun documento che possa implicare un riconoscimento de facto del Kosovo.
I due governi hanno accettato l’invito dell’UE a riprendere il 16 novembre i colloqui a Bruxelles, dove Petković avrebbe dovuto discutere con Besnik Bislimi, vice primo ministro del Kosovo, il testo dello statuto; tuttavia, non è stato registrato alcun progresso in materia.
Dal 19 al 22 novembre il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, ha visitato diversi paesi dei Balcani occidentali. A Sarajevo, Stoltenberg ha incontrato i componenti della presidenza tripartita della Bosnia-Erzegovina, la premier Borjana Krišto e l’alto rappresentante internazionale Christian Schmidt. Secondo Krišto, che ha ringraziato la NATO per il pacchetto di aiuti di circa 50 milioni di euro per progetti nella difesa e nella sicurezza, grazie alla cooperazione nelle missioni di mantenimento della pace lo stato rafforza le capacità delle forze armate e migliora la preparazione a rispondere alle sfide della criminalità organizzata e del terrorismo; tuttavia, per una piena adesione alla NATO, la Bosnia-Erzegovina ha bisogno di “un consenso politico interno da raggiungere attraverso il dialogo”, mentre sono decisamente contrarie le autorità della Republika Srpska. Dopo una visita alle forze NATO nella base di Camp Butmir, presso Sarajevo, il segretario generale ha raggiunto il Kosovo, dove ha avuto colloqui con la presidente Vjosa Osmani e il premier Albin Kurti e ha affermato che l’Alleanza sta valutando la possibilità di rendere permanente l’aumento della sua presenza nella missione KFOR, deciso dopo lo scoppio della violenza nel nord del paese in settembre. A Belgrado, Stoltenberg ha incontrato il presidente serbo Aleksandar Vučić e la premier Ana Brnabić. La Serbia, rimanendo neutrale, potrebbe riprendere la partecipazione a esercitazioni militari congiunte con paesi NATO, interrotta dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Federazione Russa nel febbraio 2022. Vučić ha detto che la Serbia accoglie con favore la maggiore presenza della KFOR in Kosovo, ma sostenendo che il suo ruolo sia necessario solo per contrastare gli attacchi ai serbi di cui sarebbero responsabili le autorità di quella che Belgrado considera tuttora una propria provincia. A Skopje, Stoltenberg ha osservato che la Macedonia del Nord è un esempio positivo di pacifica convivenza fra diversi gruppi etnici e religiosi e affermato che la sua adesione all’UE migliorerebbe ulteriormente la democrazia, lo stato di diritto e la giustizia sociale, mentre il primo ministro Dimitar Kovačevski ha evidenziato l’importanza per il suo paese e per la NATO di contrastare l’influenza russa nella regione. Il ministro della Difesa, Slavjanka Petrovska, ha dichiarato che la Macedonia del Nord ha completato con successo l’addestramento di un primo gruppo di militari ucraini (senza fornire dettagli) e che continuerà ad addestrarne per tutto il 2024 e finché ce ne sarà bisogno. Ancora a Skopje, il 22 novembre, il segretario generale Stoltenberg ha partecipato a una riunione con i capi di governo dei membri NATO Albania, Croazia, Macedonia del Nord, Montenegro e Slovenia.
Dopo essere stato sanzionato in luglio dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti per corruzione, abuso di cariche pubbliche e coinvolgimento nella criminalità organizzata transnazionale, anche “fornendo alla Russia una piattaforma per rafforzare la sua influenza nella regione”, il 3 novembre Aleksandar Vulin si è dimesso dall’incarico di direttore dell’Agenzia per le Informazioni sulla Sicurezza della Serbia (BIA). Con l’accusa di “perpetuare la corruzione e favorire l’influenza maligna” russa, il 16 novembre il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha imposto sanzioni ad altre otto persone e sei entità della regione.
Le questioni irrisolte nel quadro post-elettorale della Bosnia ed Erzegovina. Il punto di Antonio Stango
Il punto di Antonio Stango sull’attuale situazione sociopolitica in Bosnia e Erzegovina e le prospettive di adesione all’UE e alla NATO del Paese.
Capo di stato | Zeljko Komsic (seggio croato), Zeljka Cvijanovic (seggio serbo), Denis Becirovic (seggio bosniaco) |
Capo del Governo | Borjana Kristo |
Forma Istituzionale | Repubblica Parlamentare |
Capitale | Sarajevo |
Potere Legislativo | Parlamento bicamerale: Dom Naroda (15 seggi, tra cui 5 bosniaci, 5 croati, 5 serbi) e Predstavnicki Dom (42 seggi: 28 assegnati alla Federazione di Bosnia-Erzegovina e 14 alla Repubblica Srpska) |
Potere Giudiziario | Corte costituzionale della Bosnia-Erzegovina (composta da 9 membri); Corte di Bosnia-Erzegovina (composta da 44 giudici nazionali e 7 giudici internazionali organizzati in 3 divisioni - Amministrativo, Appello e Penale, che comprende una Camera per i crimini di guerra) |
Ambasciatore in Italia | Fahrudin Dosljak, Ministro Consigliere; Azra Popovic, Incaricato d’Affari |
Area Totale | 51.197 km2 |
Terra | 51.187 km2 |
Clima | Estati calde e inverni freddi; le zone di alta quota hanno estati brevi e fresche e inverni lunghi e rigidi; inverni miti e piovosi lungo la costa |
Risorse Naturali | Carbone, minerale di ferro, antimonio, bauxite, rame, piombo, zinco, cromite, cobalto, manganese, nichel, argilla, gesso, sale, sabbia, legname, energia idroelettrica |
Sintesi Economica | L’economia della Bosnia-Erzegovina è fortemente dominata dall’import; la carenza di investimenti del settore privato e la poca diversificazione delle attività produttive non permettono di abbattere l’elevato tasso di disoccupazione; si rileva un cospicuo numero di investimenti cinesi nelle infrastrutture energetiche. |
Pil | $24,53 miliardi (Dic. 2022) |
Pil pro capite (Parità di potere di acquisto) | $16.703 (Dic. 2022) |
Esportazioni | $9,948 miliardi (2021) |
Export partner | Germania, Croazia, Italia (2021) |
Importazioni | $12,726 miliardi (2021) |
Import partner | Italia, Germania, Serbia (2021) |
Interscambio con l'Italia | €1,719 miliardi (2022) |
Popolazione | 3,44 milioni (Dic. 2022) |
Tasso di crescita della popolazione | -0.23% (2023 est.) |
Etnie | Bosniaci 50,1%, serbi 30,8%, croati 15,4%, altro 2,7% |
Lingue | Bosniaco (ufficiale) 52,9%, serbo (ufficiale) 30,8%, croato (ufficiale) 14,6%, altro 1,6% |
Religione | Musulmani 50,7%, ortodossi 30,7%, cattolici 15,2%, atei 0,8%, agnostici 0,3%, altro 1,2% |
Urbanizzazione | 50,3% (2023) |
Alfabetizzazione | 98,1% |
La Bosnia-Ezegovina è una repubblica parlamentare federale, nei Balcani occidentali, che confina con Montenegro, Croazia e Serbia. La capitale è Sarajevo. La popolazione totale ammonta a circa 3 milioni e duecentomila abitanti.
Fino al 1992 ha fatto parte della Repubblica Federale di Jugoslavia. A seguito del referendum per la dichiarazione di indipendenza, la Bosnia fu coinvolta nel conflitto allora esploso tra gli altri ex stati della Jugoslavia. Fino al 1995 fu oggetto di furibondi scontri, rappresaglie e violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario, che portarono anche al coinvolgimento della NATO. Nel 1995 la Bosnia-Erzegovina divenne indipendente e assunse l’attuale assetto istituzionale.
Anche per la composizione multietnica e multireligiosa della sua popolazione, durante gli anni delle guerre balcaniche, la Bosnia fu sconvolta da atti e scontri di particolare ferocia: su tutti, la strage di Srebrenica rimane una delle vicende più dolorose. La maggioranza della popolazione è di religione musulmana, di etnia Bosgnacca (circa il 50% della popolazione), mentre gli abitanti di etnia serba, e di religione prevalentemente cristiano ortodossa sono circa il 30%, il restante 15% sono Croati di religione cattolica e una piccola parte rimanente di altre etnie. In ragione di questo mosaico etnico, le lingue ufficiali nel paese sono tre: serbo, croato e bosniaco e anche a livello istituzionale la stessa Presidenza della Repubblica è un organo collegiale composto da tre rappresentanti, ognuno dei quali rappresenta uno dei popoli costitutivi.
Attualmente la Bosnia-Erzegovina è un paese ancora attraversato da tensioni etnico-religiose, che cerca di continuare in un processo di modernizzazione e di avvicinamento all’Europa. Infatti, nel 2007 ha sottoscritto con l’Unione Europea l’accordo di Stabilizzazione e Associazione, primo passo per l’integrazione europea, che ha dato avvio ad un lungo e complesso processo di riforme istituzionali e politiche funzionali a realizzare gli obiettivi necessari per soddisfare le condizioni di candidatura all’ingresso nell’UE. Il 15 dicembre 2022, il Consiglio Europeo ha infine concesso alla Bosnia-Erzegovina lo status di candidato per l’adesione all’Unione Europea.