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Israele: report di giugno 2024

Il mese di maggio si era concluso con la proposta del presidente americano Joe Biden per un piano in mirato alla liberazione degli ostaggi e al cessate il fuoco. Dopo giornate di discussione e di negoziati, la questione si è risolta con un nulla di fatto: Netanyahu rimane fermo sulla decisione di non concludere la guerra a Gaza sinché Hamas non sarà completamente distrutto, mentre il movimento islamista palestinese chiede proprio la fine della guerra in cambio della liberazione degli ostaggi. Il mese di giugno ha visto comunque un momento positivo dopo che l’IDF è riuscito a liberare 4 ostaggi tenuti prigionieri nella cittadina di Nuseirat, al centro della Striscia di Gaza. L’intervento è stato possibile grazie all’intelligence fornita dagli USA. L’operazione non ha comunque dissipato la preoccupazione per gli uomini e le donne ancora in mano a Hamas e ad altri gruppi palestinesi, né ha mitigato i dissapori a livello sociale e di governo. Sono continuate per tutto il mese le manifestazioni per la liberazione dei prigionieri e le richieste per le dimissioni di Netanyahu, seguite spesso da arresti ed eccessi da parte delle forze di polizia. Intanto, come minacciato in maggio, Benny Gantz si è dimesso dal gabinetto di guerra in seguito alla mancata presentazione di un piano per il dopo Gaza. Le dimissioni, comunque, non hanno avuto ripercussioni sull’esecutivo, che conserva la maggioranza. Acque agitate anche all’interno della coalizione. Netanyahu ha accusato Itamar Ben Gvir, ministro per la Sicurezza Nazionale e leader del partito di ultradestra Potere ebraico, di aver lasciato trapelare segreti di stato e membri del Likud, dei partiti ultraortodossi e dei partiti nazional-religiosi hanno avuto scambi animati in merito a una legge sulla nomina dei rabbini che avrebbe dovuto essere discussa alla Knesset. Netanyahu l’ha ritirata e ha invitato i colleghi a “darsi un contegno” e ad evitare le posizioni di parte. Tesi anche i rapporti tra il premier e l’IDF. Le forze armate hanno concesso a Rafah 11 ore di pausa dei combattimenti al giorno per permettere l’ingresso di più aiuti umanitari, ma pare che né Netanyahu né il ministro della Difesa Gallant ne fossero a conoscenza e non avrebbero dato il via libera. La tensione tra il premier e le forze armate sembrano essersi ulteriormente intensificate quando il portavoce dell’IDF, Daniel Hagari, ha dichiarato che pensare di distruggere Hamas è un errore. Netanyahu ha tenuto però a chiarire che è “obbligo” dell’esercito farlo, dal momento che è stato il governo a deciderlo. Il premier ha inoltre deciso, dopo le dimissioni di Gantz, di scogliere il gabinetto di guerra. L’IDF fa sapere, intanto, di aver bisogno di altri 7000 militari, mentre i periodi di combattimento dei riservisti si prolungano sempre di più. Anche a seguito di tale situazione, La Corte Suprema israeliana ha deciso all’unanimità che anche gli ultraortodossi devono essere arruolati e che le yeshiva, le scuole religiose, non riceveranno i fondi governativi se i loro studenti non rispetteranno la decisione. I nove giudici della Corte hanno dichiarato che, nel mezzo di una guerra tanto ardua, la diseguaglianza di trattamento tra i cittadini è più che mai gravosa ed è necessario porvi rimedio. Il procuratore generale, Gali Baharav- Miara, ha dunque ordinato all’establishment della difesa di arruolare immediatamente 3000 studenti delle scuole religiose, un numero che, comunque, “non risponde del tutto alle attuali necessità dell’esercito” e che non fa sì che il peso della guerra sia equamente distribuito tra i cittadini. Un colpo per il governo, i cui partiti ultraortodossi Shas e United Torah Judaism hanno aspramente criticato la decisione. Crescono, intanto, le preoccupazioni per il rischio di una guerra totale tra Israele e Hezbollah. Lo scambio di fuoco al confine tra lo stato ebraico e il Libano, infatti, continua ininterrotto e, in un attacco aereo israeliano, è rimasto ucciso Taleb Abdullah, un alto comandante delle forze di Hezbollah. La reazione è stata immediata. Amos Hochstein, inviato statunitense, si è recato a Gerusalemme per colloqui. Anche se non sono trapelate notizie sugli scambi avvenuti, è ben noto che tutta la comunità internazionale teme un’escalation nella regione e invita ad una soluzione diplomatica.

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