Sudan: un bilancio sugli sforzi di mediazione
Dallo scoppio della guerra in Sudan, si è prestata poca attenzione agli sforzi di mediazione e alla mancanza di progressi nel porre fine al conflitto. L'analisi di Chepkorir Sambu

Dallo scoppio della guerra in Sudan, l’attenzione si è concentrata prevalentemente sulle parti in conflitto, sull’entità della crisi umanitaria e sull’evoluzione della guerra. Per quanto questi aspetti siano fondamentali, si è prestata poca attenzione a un elemento altrettanto cruciale: gli sforzi di mediazione e la mancanza di progressi nel porre fine al conflitto o nell’alleviare le sofferenze della popolazione.
La guerra in Sudan è scoppiata il 15 aprile 2023 tra due entità dell’apparato di sicurezza del paese: l’esercito regolare, le Forze Armate Sudanesi (SAF), guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e una forza paramilitare, le Forze di Supporto Rapido (RSF), guidate da Mohamed Hamdan Dagalo, noto come Hemedti.
Solo un mese dopo, gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita hanno avviato il Processo di Gedda, che ha portato entrambe le parti a firmare, l'11 maggio 2023, la Jeddah Declaration of Commitment to Protect the Civilians of Sudan, un impegno a proteggere i civili del Sudan. Tuttavia, questa dichiarazione non è mai stata attuata. Nel giugno 2023, l’IGAD ha istituito l’IGAD Quartet, presieduto dal Kenya, per trovare una soluzione alla crisi sudanese. Anche questo tentativo non ha prodotto risultati concreti. Parallelamente, nel luglio 2023, l’Egitto ha dato avvio al Processo del Cairo, volto a riunire i sette paesi confinanti con il Sudan. Anche in questo caso, però, non si è andati oltre un comunicato ufficiale.
Altri sforzi bilaterali sono stati fatti da Stati Uniti, Arabia Saudita e Svizzera, che hanno lavorato insieme per convocare colloqui per il cessate il fuoco nell'agosto 2024, e dalla Turchia, che si è offerta di mediare tra SAF ed Emirati Arabi Uniti lo scorso dicembre.
Tali iniziative bilaterali hanno mancato dell’inclusività necessaria per raggiungere una pace sostenibile. Inoltre, hanno adottato interpretazioni divergenti della crisi sudanese e non hanno saputo coordinarsi tra loro per creare un processo coeso o complementare. Alla fine, hanno contribuito ad alimentare le divisioni.
Valutazione delle iniziative multilaterali
Gli sforzi multilaterali sono arrivati dall’Inter-Governmental Authority on Development (IGAD), dall’Unione Africana (UA) e dalle Nazioni Unite (ONU). Anche questi hanno registrato progressi minimi. L’UA ha istituito, nel febbraio 2024, l’African Union High Level Panel on Sudan (HLP-Sudan), ma ha anche unito il proprio processo a quello dell’IGAD, creando così il processo congiunto IGAD-UA sul Sudan alla fine del 2023. Questo processo è tuttora in corso, ma è indebolito dalle divisioni tra i civili sudanesi, dal coinvolgimento esterno dei paesi vicini nel conflitto e dalla mancanza generale di sostegno.
La mediazione delle Nazioni Unite
Il processo guidato dall’ONU è stato avviato nel novembre 2023 con la nomina di Ramtane Lamamra come UN Secretary General's Personal Envoy per il Sudan. Questa iniziativa è stata inizialmente accolta con grande speranza, soprattutto perché il Sudan è considerato un caso emblematico per la mediazione multilaterale, data la complessità dei suoi elementi interni, regionali e internazionali. Tuttavia, l’ONU ha faticato a ottenere risultati concreti sia sul piano umanitario sia su quello politico. La situazione umanitaria continua a peggiorare in modo allarmante, con un numero stimato di morti che ha raggiunto le centinaia di migliaia, oltre 30 milioni di sudanesi bisognosi di aiuti umanitari e la carestia ufficialmente dichiarata in alcune zone del Darfur e del Kordofan. Sul piano politico, non è emerso nulla di significativo dai numerosi incontri, con i civili e le parti in conflitto, volti a delineare un futuro politico sostenibile per il paese. Nel frattempo, la violenza sta accentuando le divisioni etniche, poiché sempre più gruppi civili vengono coinvolti nel conflitto o si schierano con una delle due fazioni.
Abdul Mohammed, che ha ricoperto il ruolo di Senior Political Adviser and Head of Office in the UN-led Sudan Mediation, ha recentemente espresso la propria frustrazione per la mancanza di progressi nel processo guidato dalle Nazioni Unite. In un articolo pubblicato da Sudan Transparency and Policy Tracker, ha approfondito il tema del “fallimento della mediazione” del processo ONU, che a 18 mesi dal suo avvio non è riuscito a produrre né un cessate il fuoco né una tabella di marcia. Ha descritto la mediazione come “timida e poco seria”, con un’interpretazione ristretta del mandato e una strategia minimalista, accompagnata da un coinvolgimento limitato da parte del Personal Envoy. Inoltre, ha criticato il fatto che il processo si sia trasformato in un meccanismo parallelo in competizione con l’UA e l’IGAD, contribuendo così — come i processi bilaterali — alla frammentazione della risposta multilaterale. Questo contrasta con quanto accaduto nel 2010, quando fu istituito il Sudan Consultative Forum, co-presieduto dall’UA e dall’ONU.
L’urgenza della mediazione
Con il perdurare dell’inefficacia degli sforzi di mediazione, la situazione continua a peggiorare sia in Sudan sia nella regione circostante. Alla fine di marzo, le tensioni tra Ciad e Sudan sono aumentate dopo che un generale delle SAF ha dichiarato gli aeroporti di Amdjarass obiettivi militari legittimi. D’altra parte, il 16 aprile, le RSF hanno annunciato la costituzione di un governo parallelo e, per la prima volta, hanno lanciato un attacco con droni su Port Sudan il 4 maggio 2025. Questi eventi si aggiungono al bombardamento dell’aeroporto di Nyala da parte delle SAF, avvenuto il 3 maggio, e alla riconquista di Khartoum da parte dell’esercito alla fine di marzo.
Gli sviluppi attuali sottolineano l’urgenza e il ruolo cruciale di una soluzione mediata per il Sudan, oggi più che mai.