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Decreto missioni: priorità e nuovi impegni per l’Italia nel Mediterraneo allargato

Il governo italiano pianifica un impegno militare internazionale che copre svariati quadranti e che identifica il Mediterraneo allargato come snodo delle dinamiche globali tra Est e Ovest

Nella Sala Zuccari del Senato, giovedì 18 maggio alle ore 11, le Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera ed Esteri del Senato, hanno ospitato in audizione il ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, e quello della Difesa, Guido Crosetto. Le comunicazioni dei due alti rappresentanti del governo italiano sono avvenute nell’ambito dell’esame congiunto della deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell’Italia a ulteriori missioni internazionali per l’anno 2023 — misura adottata il 1° maggio 2023 — nonché della Relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, riferita all’anno 2022 e indirizzata verso il rinnovo di certi impegni.

La tappa parlamentare dei ministri di Esteri e Difesa sulle missioni militari è un passaggio fondamentale per il coinvolgimento internazionale di Roma, che quest’anno conferma un orientamento: il quadrante del Mediterraneo allargato è sempre il bacino di proiezione principale, ma è visto anche come centro delle interconnessioni Ovest-Est. Ossia sta ormai diventando anche parte integrante del concetto geopolitico di Indo-Pacifico, essendone di fatto una continuazione. E tale concettualizzazione l’Italia la rivendica spesso, per ultimo in ordine di tempo nell’annunciare che la Puglia sarà luogo del G7 del prossimo anno come “ponte tra Est e Ovest”, così ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, parlando a conclusione del summit del gruppo, tenutosi in questi giorni a Hiroshima. Le interconnessioni tra bacino Euro-Atlantico e Indo Pacifico non sono per altro una prerogativa di Roma: Tokyo, Londra e in parte la stessa Unione Europea hanno esplicitamente parlato di come questi due grandi quadranti geostrategici abbiano nei fatti destini collegati.

I ministri Crosetto e Tajani hanno illustrato come il governo sia in una fase di rinnovamento dell’approccio alle missioni internazionali condotte dall’Italia, e punti sulla creazione di un sistema sinergico tra ministeri, interlocutori nazionali pubblici e privati per strutturare un impegno che leghi sicurezza e sviluppo nei Paesi in cui operano i militari italiani. Gli oltre 10mila uomini (mai così tanti) coinvolti nelle attività dimostrano che per Roma lo strumento militare è di fatto centrale nella politica estera. Ruolo determinante anche nelle dinamiche dei rapporti con gli alleati, su tutti chiaramente la Nato.

La delibera, in linea con la postura adottata in seno alle principali organizzazioni internazionali, assicura un contributo significativo dei nostri militari in missioni della Nato, dell’Unione Europea e delle Nazioni Unite, mentre saranno 14 le diverse attività condotte all’interno di specifiche coalizioni o su base bilaterale. “Le missioni e operazioni all’estero rappresentano un elemento cardine della politica di difesa e sicurezza nazionale, funzionale alla rilevanza politica e strategica dell’Italia, oltre che alla salvaguardia dei prioritari interessi nazionali”, per dirla con le parole del ministro Crosetto. “Gli interventi di cooperazione allo sviluppo sono un importante strumento di politica estera, utile a rafforzare anche la nostra presenza e la nostra capacità decisionale nei consessi internazionali”, come ha detto Tajani. È in questo senso che è stato previsto l’impiego dello strumento militare per il 2023, che vedrà i militari italiani operare in un totale di 43 missioni, con una media di circa 7.500 unità di previsto impiego e un contingente massimo autorizzato di poco inferiore alle 12.000 unità. Impegno che comporta un onere finanziario complessivo pari a circa 1,31 miliardi.

È sempre in questo senso che l’Italia prevede anche di rispettare i patti internazionali presi con la Nato, tra cui il raggiungimento di una spesa pari al 2% del Pil nel settore Difesa. “Ma se qualcuno pensa che questo sia trasformato immediatamente in armamenti non conosce le idee di questo governo né dell’attuale ministro”, ha precisato Crosetto in audizione. Per l’Italia, la creazione della sicurezza, ad esempio in Africa, si ottiene facendo crescere economicamente quei paesi e le missioni internazionali sono viste come un vettore per creare sicurezza attraverso infrastrutture e favorendo processi di emancipazione, tanto quanto fornendo assistenza militare diretta o fornendo training alle forze locali. Sempre tenendo fermo che “la cornice di sicurezza creata dalle forze armate è il presupposto, perché non esiste presupposto per democrazia e pace se non c’è sicurezza, e la sicurezza si crea grazie all’impiego delle forze armate e delle forze di polizia”.

La logica è la seguente: per l’Italia ha un senso limitato investire molto in alcuni Paesi per cercare di costruire le condizioni di sicurezza solo dopo aver formato forze di polizia e forze militari e senza avere dato un aiuto a portare in quel Paese sviluppo economico, crescita sociale, culturale, sanitaria. L’Italia punta a trasformare le missioni in un volano per una cooperazione più ampia, da cui possa risultare un guadagno reciproco. Paradigma totale è come accennato l’Africa, cuore pulsante del Mediterraneo allargato, continente in crescita (per opportunità e per problematiche), bacino geo-strategico su cui l’Italia può essere capofila di un impegno europeo che tocchi sì la sfera militare — perché in molte situazioni i problemi nascono da un contesto securitario deteriorato — ma in cui essa rappresenti la base dove fondare uno sviluppo in grado di creare condizioni di prosperità locale.

La missione europea EUMPM in Niger, tesa a contenere la minaccia posta da gruppi terroristici armati e garantire la sicurezza della popolazione, così come le missioni EUCAP ed EUTM in Somalia, e quella di addestramento e consulenza delle forze locali del Mozambico e la nuova missione MIBIL in Burkina Faso, tutte partecipate dall’Italia, hanno questo scopo di fondo. Anche pensando alla possibilità che altri Paesi, contendenti strategici dell’Italia — e dell’Europa — come la Russia (o la Cina) potrebbero trovare spazi per sostituirsi con un modello di cooperazione diverso, che potrebbe non essere allineato con gli interessi di Roma.

Questa concettualizzazione dell’impegno internazionale militare italiano arriva in una fase particolare del contesto internazionale, dove l’assertività di attori rivali e forze destabilizzanti sta crescendo e diventando più complessa — sia sul piano della penetrazione diretta sia nel campo delle azioni ibride. Tutto mentre, tra meno di due mesi, i leader della Nato approveranno migliaia di pagine di piani militari segreti che, per la prima volta dalla Guerra Fredda, delineeranno la risposta ad un potenziale attacco russo. Il vertice dell’alleanza programmato a Vilnius, a metà luglio, rappresenterà infatti una svolta importante: per decenni la Nato non ha visto la necessità di redigere piani di difesa su larga scala, avendo condotto interventi di portata più ridotta in Afghanistan e Kosovo e ritenendo che la Russia post-sovietica non rappresentasse più una minaccia esistenziale.

Dopo l’invasione dell’Ucraina, però, l’Alleanza ha acceso un campanello di allarme e percepito l’urgenza di dover disporre di tutti i piani necessari. “La differenza fondamentale tra la gestione delle crisi e la difesa collettiva è questa: non siamo noi, ma il nostro avversario a determinare la tempistica”, ha detto recentemente il presidente del Nato Military Committee, l’ammiraglio olandese Rob Bauer. “Dobbiamo prepararci al fatto che il conflitto può presentarsi in qualsiasi momento”. Delineando quelli che chiama i suoi piani regionali, la Nato fornisce anche indicazioni ai membri su ambiti di azione e indirizzi logistici. “Gli alleati sapranno esattamente quali forze e capacità sono necessarie, compreso dove, cosa e come dispiegare”, ha detto il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg a proposito dei documenti altamente riservati che, come nella Guerra Fredda, assegneranno determinate truppe alla difesa di certe regioni, formalizzando un processo di aggiornamento iniziato nel 2014, con l’annessione russa della Crimea. Dal sostegno all’Ucraina, all’impegno con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo fino al ruolo svolto nelle missioni navali nel Golfo Persico, Indo-Pacifico e Golfo di Guinea: il quadro complesso e articolato delle missioni previste dall’Italia è perfettamente inserito in quest’ottica strategica della Nato.

Ed è all’interno di questo flusso internazionale che il rinnovato approccio italiano allo strumento militare può diventare un elemento importante per lavorare alla redazione di una strategia di sicurezza nazionale attraverso cui identificare una consapevolezza degli obiettivi strategici italiani e delle condizioni di sicurezza necessarie per raggiungerli, permettendo di promuovere una visione organica degli interessi del Paese sia tra gli alleati che tra rivali e competitor.

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