Dalla Ukraine Recovery Conference a Roma ai negoziati di Istanbul
Dinamiche ed evoluzioni della crisi ucraina nell’analisi di Giorgio Cella.

La conferenza internazionale per la ricostruzione dell’Ucraina (Ukraine Recovery Conference) tenutasi a Roma il 10 e 11 luglio scorso, è la quarta di questa tipologia di conferenze rivolte alla costruzione di un avvenire post-bellico per Kiev. Tali iniziative conferenziali sono infatti iniziate nel primo anno di guerra con la prima Conferenza per la Ricostruzione dell’Ucraina occorsa a Lugano (2022), poi a Londra (2023) e a Berlino (2024). L’evento nell’Urbe per il sostegno al Paese in guerra, ha visto riunirsi insieme i vertici della politica europea con la presenza di molti capi di stato e di governo, a partire dalla presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni e dal presidente ucraino Zelensky. Prima Meloni e poi Zelensky, hanno tenuto i primi due discorsi introduttivi della prima giornata, seguiti da quello della presidente della Commissione Europea Von Der Leyen e successivamente dagli altri capi di Stato e rappresentanti diplomatici. Presenti vari ministri, importanti gruppi dell’imprenditoria e rappresentanti della politica e della società civile italiana e ucraina. Molti i panel e gli eventi collaterali tutti incentrati sulle molteplici dimensioni del sistema paese ucraino, inclusi stand di rappresentanza delle varie regioni ucraine, comprese quelle attualmente sotto (parziale) occupazione. Sul piano diplomatico, da segnalare anche la presenza della delegazione statunitense che, sebbene non abbia visto la presenza del presidente Trump né del Segretario di Stato o di altri ministri, è stata rappresentata dal più importante latore della diplomazia a stelle e strisce per ciò che concerne il conflitto in Ucraina, ossia da Keith Kellogg, Special Presidential Envoy for Ukraine and Russia in the Trump Administration. Nel suo discorso, sebbene non venendo meno all’impostazione trumpiana di fondo circa una volontà di ricerca di una dialettica negoziale con Mosca, il Generale Kellogg ha reiterato quei principi cardine dell’ordine liberale euro-atlantico che hanno plasmato l’attuale realtà internazionale; a queste affermazioni di principio ha anche unito la volontà di una continuata assistenza di Washington all’Ucraina. Comprensibili le osservazioni di chi, tra commentatori e l’opinione pubblica, mette in luce le apparenti contraddizioni e la discrasia in essere tra l’evento internazionale per la ricostruzione e la situazione sul terreno dove, tra i sempre più frequenti attacchi di droni russi sulle città ucraine e la guerra nelle aree sud-orientali del Paese che continua, parlare di ricostruzione appare poco realistico. Tale ciclo di conferenze, tuttavia, è più da intendersi, quantomeno nelle intenzioni dei creatori, come una proiezione, non utopistica ma futuristica, di una Ucraina nel quadro di un non meglio precisato ma inevitabile periodo post-guerra.
Venendo invece al secondo recente evento degno di nota circa gli sviluppi della crisi ucraina, si è registrato un nuovo incontro a Istanbul sotto la capace regia della diplomazia turca, rappresentata dal potente ministro degli Esteri Hakan Fidan (accompagnato a sua volta dal capo di Stato maggiore Metin Gürak, dal capo dei servizi segreti Ibrahim Kalin e dall’ambasciatore presso la Federazione Russa Mehmet Samsar) che ha preso parte all'incontro tenutosi nella storica sede del Palazzo di Çırağan (Çırağan Sarayı). L'incontro delle rispettive delegazioni russe e ucraine, rappresentate rispettivamente dal capo negoziatore russo Vladimir Medinsky (ex ministro della cultura) e dal capo del Consiglio di sicurezza nazionale di Kiev e capo negoziatore ucraino Rustem Umerov (nonché ex ministro della difesa), è durato in tutto all'incirca un'ora, ed è stato preceduto da un incontro delle due delegazioni con il Presidente turco Erdogan. Nonostante le solide premesse e la presenza turca, l’incontro non è tuttavia riuscito a generare cambi significativi verso una qualche ricomposizione reale del conflitto. Le note positive riguardano invece lo scambio di prigionieri: 1200 per parte, scambiati dal lato russo a quello ucraino e viceversa, insieme all’accordo per la futura consegna a Kiev di 3000 cadaveri di soldati ucraini caduti in battaglia. Nonostante la diplomazia turca vada avanti con decisione sul sentiero di una possibile ricomposizione del conflitto, l'agognato cessate il fuoco e l'ancora del tutto teorico vis-à-vis Putin-Zelensky, rimangono lontane ombre in un orizzonte incerto e sempre pericoloso. "Le nostre priorità rimangono le persone, il cessate il fuoco e l'incontro dei leader", queste le dichiarazioni finali di Umerov, accompagnato per l’occasione anche dal potente consigliere presidenziale Andrij Yermak. Una potenziale data di agosto balenata nei giorni precedenti a quest’ultimo round negoziale circa un possibile incontro tra i due capi di Stato belligeranti in presenza del presidente turco Erdogan, è stata per ora accantonata. Tale eventualità, è stata definita da Umerov come “quell'evento che può sbloccare le cose su un piano politico e militare”. Una posizione invece più cauta è stata espressa a riguardo dal capo negoziatore del Cremlino Vladimir Medinsky, il quale ha dichiarato come per questo tipo di incontro diretto tra capi di Stato, ci vorrà ancora tempo. Medinsky ha altresì aggiunto, per chiarire ulteriormente la posizione negoziale russa, che laddove i due leader siederanno al tavolo dei negoziati sarà solo per la firma di un accordo di pace definitivo, non per discutere di dettagli o per ricominciare da capo le trattative per porre fine al conflitto. Dal lato russo, una nota invece relativamente positiva emersa durante i colloqui a Istanbul, prevede l’implementazione futura di brevi cessate il fuoco di 24-48 ore, al fine di raccogliere i caduti e i feriti sul campo.
In questa ragionata rassegna degli eventi recenti più significativi sul fronte russo-ucraino, il fronte diplomatico e militare non è l'unico a cui Zelensky deve ora badare. Negli ultimi giorni, infatti, in Ucraina si sono rivisti movimenti di protesta di piazza come reazione al progetto di riforma del governo Zelensky che prevede una sensibile riduzione dell'indipendenza dei due principali organi anticorruzione del Paese, la NABU (Nacional'ne Antykorupcijne Bjuro Ukrajiny) e la SAPO (Specializovana antykorupcijna prokuratura). Oltre ai manifestanti che hanno riempito le strade della capitale ucraina per la prima volta dal 2022, anche dai partner internazionali si sono levate note di irritazione riguardo tale progetto di riforma, e un invito affinché Zelensky riveda tali iniziative e rispetti a pieno la divisione e indipendenza dei poteri nel quadro di uno Stato di Diritto. Consigli che, insieme alla pressione derivante dalla piazza (Majdan, in lingua ucraina), il leader ucraino sembra aver ascoltato, in quanto ha, nei giorni scorsi, proposto un nuovo disegno di legge per ripristinare e rafforzare l’indipendenza degli organi anticorruzione, nel tentativo di ridurre la tensione popolare e le polemiche con Bruxelles, e risultare più in linea con il quadro normativo comunitario. La nuova proposta correttiva è ora in fase di revisione, sebbene contenga tuttora alcuni punti controversi, come ad esempio l’esame poligrafico e il divieto di viaggi all’estero per i membri della NABU, o il semplificato e poco meritocratico iter di nomina (ed eventuale revoca) dei procuratori, giustificato dalla legge marziale in vigore. Questo tentativo di revisione della riforma da parte del governo ucraino non ha quindi per ora portato a una piena distensione né con l’Unione Europea, che attende di vedere l’evoluzione del percorso legislativo e del voto parlamentare della Verkhovna Rada (il parlamento ucraino), né con l’opinione pubblica che, se non rassicurata e ascoltata, potrebbe tornare a farsi sentire in quella majdan da dove tutto è cominciato.