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E se un algoritmo mediasse le dispute identitarie per l’acqua del Nilo?

Etiopia ed Egitto sono due degli stati più popolosi dell’Africa ed entrambi inquadrano la questione della diga sul Nilo e dell’accesso alle acque del fiume come un fattore esistenziale. Il punto di vista di Emanuele Rossi

Sin dall’inizio della costruzione della Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, lo sbarramento idrologico che fa parte del progetto che l’Etiopia sta pianificando per sfruttare l’acqua del Nilo a scopi idroelettrici, l’Egitto ha sempre tenuto una posizione contraria. Era il 2011 quando Il Cairo già dichiarava che percepiva quell’infrastruttura come una chiara minaccia alla propria stabilità. E non solo perché intaccava la sfera delicatissima della sicurezza idrica egiziana, e dunque quella dell’intera regione.

Il concetto di sicurezza idrica sta crescendo tra le priorità e le sfide che riguardano alcune aree del mondo. L’accelerazione dei cambiamenti climatici comporta un fattore di aumento delle preoccupazioni perché adesso se ne sentono gli effetti direttamente. Se la stragrande maggioranza della Terra è composta da acqua, solo il 3% di essa è dolce, ossia utilizzabile dalle attività antropiche. L’aumento della popolazione in alcune regioni del mondo si somma alla diminuzione – causa riscaldamento globale – della risorsa. Risultato: cresce la percezione che la sicurezza idrica diventi un fattore di stabilità umana. A maggior ragione perché essa si collega alla sicurezza alimentare ed energetica, messe sotto stress da pandemia e guerra russa in Ucraina.

Quanto accade attorno alla Gerd racconta però di più. L’accesso alle risorse fisiche e naturali può diventare una questione di identità nazionale, ossia accedere a un livello ancora più profondo dell’essere di un Paese. Etiopia ed Egitto sono due degli stati più popolosi dell’Africa (attualmente e in prospettiva) ed entrambi inquadrano la questione della diga sul Nilo – e in definitiva dell’accesso alle acque del fiume – come un fattore esistenziale.

Da un lato, l’Etiopia individua nel progetto Gerd la possibilità di aumentare la quantità di cittadini in grado accedere all’energia elettrica quotidianamente. Ossia diventa un fattore di sviluppo che serve per guidare il Paese verso il futuro, superando gli anni complessi della guerra nel Tigray e slanciando Addis Abeba verso una dimensione sovra-regionale attraverso l’aumento della prosperità interna e del livello di soddisfazione e produttività dei propri cittadini.

Dall’altro, per l’Egitto la questione del controllo delle acque del Nilo è stata storicamente una prerogativa. L’identità nazionale egiziana è in qualche modo ruotata attorno al fiume. Il timore di vedersi ridotta l’aliquota e la portata in arrivo dallo sbarramento etiopico, rappresenta per certi versi una rottura rispetto a quella dimensione esistenziale da cui Il Cairo e gli egiziani si sentono inseparabili. Il Nilo è parte centrale del passato nazionale che ha forgiato l’identità egiziana.

Futuro e passato collidono. Da una parte un simbolo di capacità collettiva: la massa di cemento che riesce a gestire la natura e fornire una nuova floridezza da cui superare le percezioni di vulnerabilità e debolezze e sconfiggere la povertà – il nemico dichiarato dal nuovo corso etiopico. Dall’altra un simbolo storico a cui si lega il passato trionfale di una dinastia: è lì che si basa l’identificazione da cui passa anche lo standing internazionale – il nemico in questo caso sta nel timore che perdere il controllo di quel bene possa essere letto come un deperimento del Paese.

E la questione attorno alla Gerd si è allargata, frutto anche di dinamiche innescate dal Cairo e Addis Abeba. D’altronde sono 11 i Paesi africani che condividono il corso del grande fiume e tutti sono tirati in ballo per interessi diretti o indiretti. Allora per l’Etiopia la Gerd diventa un’opportunità di sviluppo di cui beneficeranno tutti gli africani, per l’Egitto va a rappresentare invece una minaccia alla sicurezza idrica araba. È uno scontro narrativo da cui escono anche le differenti percezioni di sé che i due Paesi hanno.

Si parla per questo di “sicurezza ontologica”, concetto che nel caso specifico è effettivo in quanto la disputa supera notevolmente la dimensione dei beni materiali. Per entrambi i principali contendenti si va oltre a costi e benefici in sé, ma entrando in quella dimensione dell’identità si tocca la distinzione della propria esistenza nel mondo.

Diventa allora necessario accedere a una dimensione più fredda e apparentemente asettica come quella della scienza per trovare una soluzione. L'idea "è quella di incorporare un comportamento cooperativo tra i Paesi", ha spiegato Mohammed Basheer, economista delle risorse idriche dell'Università di Manchester, (in trasferimento all'Università Humboldt di Berlino). Basheer è autore di un lavoro pubblicato il mese scorso sullo speciale Climate Change della prestigiosa rivista scientifica Nature. Lo studio mostra come ogni Paese coinvolto nella questione della Gerd possa "aiutarsi a vicenda, prendersi cura l'uno dell'altro e proteggersi a vicenda", aggiunge.

Lo studio prende in considerazione l’Egitto e l’Etiopia allargandosi al Sudan. Sul piano pratico le controversie riguardano, tra l'altro, la velocità di completamento del progetto e il volume d'acqua da rilasciare per azionare le turbine per la produzione di elettricità (fase che avverrà una volta che la diga sarà operativa). L'Egitto vuole che venga rilasciata meno acqua e più tempo prima che la diga sia operativa, ma l'Etiopia insiste sull’agire diversamente.

Basheer e i suoi colleghi hanno modellato come i cambiamenti climatici influenzeranno l'idrologia del bacino del Nilo e l'impatto che ciò potrebbe avere sull'economia di ciascun Paese. Sulla base di questi dati, hanno usato l'intelligenza artificiale per creare scenari su come la diga potrebbe funzionare per massimizzare i benefici economici adattandosi agli effetti del cambiamento climatico.

Contemporaneamente hanno scoperto che se la diga funzionasse nell'interesse di un solo Paese, gli altri due avrebbero benefici notevolmente ridotti. Ad esempio, uno scenario in cui l'Etiopia ottiene il massimo dell'energia idroelettrica significa effettivamente che l'Egitto ha meno acqua per l'irrigazione.

I ricercatori propongono allora uno scenario di compromesso in cui i tre Paesi si aiutano a vicenda e ne traggono comunque beneficio. Ad esempio, in caso di siccità, l'Etiopia dovrebbe aumentare il flusso d'acqua verso l'Egitto, per poi ridurlo quando le piogge tornano ad aumentare. Il discorso sui negoziati si è concentrato sui volumi d'acqua, mentre "bisogna pensare a condividere i benefici", sostiene Basheer.

Uno spirito politico modellato attraverso analisi scientifiche che potrebbero fare da supporto ai negoziati in corso, che coinvolgono l'Unione Africana, il governo degli Stati Uniti e la Banca Mondiale.

La sfida consiste nel far accettare intanto a quelle tre nazioni maggiormente coinvolte la necessità di un compromesso. Come? Chiedendo che tutta quella dimensione extra-pragmatica, identitaria, ontologica, lasci spazio alle valutazioni di un modello di un algoritmo machine learning in grado di definire e monitorare costantemente le varie necessità in funzione dei big data raccolti. Affidare ai computer la base di partenza di un negoziato che poi avrà comunque al centro un sistema di fiducia reciproca (“La fiducia deve darci pace”, diceva Simone Bolivar). La cooperazione tra macchine e uomo potrebbe passare su un livello tecnico-diplomatico nel caso della Gerd?

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