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Elezioni in Algeria: prospettive e incognite di un secondo mandato Tebboune

Riconfermato presidente della Repubblica, Abdelmajid Tebboune ha alle spalle cinque anni di risultati contrastanti. Punti di forza e criticità al giro di boa della “Nuova Algeria”. L’analisi di Francesco Meriano.

Con oltre l’84% dei voti e un tasso di affluenza nazionale al 46% Abdelmajid Tebboune si riconferma presidente della Repubblica algerina. Il candidato uscente si è imposto su due soli rivali, l’islamista moderato Abdelaali Hassani Cherif (Movimento Sociale per la Pace) e Youssef Aouchiche (Fronte delle Forze Socialiste). Ampiamente preannunciato da analisti e osservatori, l’esito delle elezioni del 7 settembre – già adombrato da denunce di irregolarità – conferma l’importanza delle gerarchie militari, tradizionale pilastro del pouvoir algerino di cui Tebboune rappresenta l’emanazione più recente.

Durante il primo mandato al palazzo di El Mouradia, il presidente uscente ha operato per ristabilire la simbiosi tra forze armate e sfera politica e per smantellare i lasciti dell’Hirak, l’effimera stagione di protesta civile che nel 2019 aveva rovesciato Abdelaziz Bouteflika. Non a caso a fine giugno, due mesi prima dell’appuntamento alle urne, Tebboune ha scelto di rassicurare i propri sponsor nell’esercito, varando un decreto-legge che consente al personale militare di dirigere apparati statali “di valore strategico” o di “interesse vitale” per il paese. In parallelo, Tebboune ha consolidato il controllo sull’esecutivo, soggetto dal 2023 alla supervisione di un apposito Consiglio presidenziale.

Sul versante economico, la vittoria di Tebboune profila la continuità di una politica economica espansiva, trainata in primis dal boom del settore idrocarburi sull’onda lunga del conflitto in Ucraina. I tagli alla produzione di petrolio imposti dal consesso OPEC+ sono controbilanciati da una crescita del 6% nelle esportazioni di gas naturale verso l’Europa, ansiosa di attenuare la propria dipendenza energetica dalla Russia. In crescita anche l’export di idrocarburi verso la Turchia, con cui Algeri ha stipulato nuovi accordi di fornitura nel 2023. Al termine di un ventennio di stagnazione, Tebboune ha sfruttato gli introiti per ripristinare le riserve estere e avviare un ambizioso programma di espansione dello stato sociale (pari oggi all’80% della spesa pubblica) la cui sostenibilità fiscale resta, tuttavia, legata a doppio filo alla performance del settore idrocarburi.

Obiettivo chiave per la tenuta del paese sarà dunque la diversificazione a medio termine dell’economia. Tra i provvedimenti adottati dalla presidenza Tebboune rientra una riforma legale volta a incoraggiare l’investimento estero, concedendo (inter alia) la possibilità per gli investitori stranieri di acquisire quote di maggioranza in progetti non strategici. Resta escluso dal novero il settore energetico, dove le grandi parastatali algerine rimangono gli interlocutori principali.

In questo quadro, industria pesante e comparto minerario sembrano essere i principali beneficiari del volano derivante dal settore idrocarburi, supportato da investimenti turchi e cinesi nel petrolchimico, nei fosfati, nella siderurgia e nell’estrazione di ferro. In parziale ripresa sembra essere anche il settore automotive, dove il Ministero dell’Industria algerino ha aperto alla cooperazione con partner tedeschi, cinesi e italiani – tra i quali Opel, Jac e Fiat –, che negli scorsi mesi hanno ricevuto l’autorizzazione a importare i propri veicoli nel paese. Nel rilancio del settore rientra anche l’apertura a Orano, nell’ottobre 2023, di un polo industriale FIAT da 60.000 unità annue.

Sul piano finanziario, l’introduzione di riforme del settore bancario punta a favorire la penetrazione del credito privato in un tessuto socioeconomico a forte pervasività statale. Frattanto, l’apertura di nuove filiali algerine nel vicinato africano (Mauritania e Senegal) e il recente ingresso dell’Algeria nella nuova Banca di Sviluppo dei paesi BRICS riflettono l’intenzione di ampliare il novero dei partner commerciali, oltre l’intesa energetica con l’Europa. Mete ambiziose, queste, che restano esposte all’andamento ondivago del prezzo del petrolio, in fase discendente nell’arco del 2023.

Modesti, tuttavia, sono i progressi verso la transizione energetica e lo svezzamento dal comparto idrocarburi, limitati – sinora – alla produzione di un foglio di via per lo sviluppo di una filiera dell’idrogeno verde e al lancio di un progetto fotovoltaico a egida Sonelgaz da 1000 MW.

Bilancio in chiaroscuro anche per la politica estera. L’ascesa di Tebboune ha marcato il rinnovato attivismo diplomatico di Algeri, reduce dalla prolungata quiescenza dell’ultimo mandato Bouteflika. Nel 2024 il paese ha ottenuto un seggio non permanente nel Consiglio di Sicurezza ONU, spingendo per una riforma maggioritaria del consesso e per rafforzare l’influenza della rappresentanza africana. L’Algeria di Tebboune ha anche promosso iniziative negoziali per risolvere la crisi palestinese, nel tentativo di accumulare credito in seno al mondo arabo e sottolineare, per contro, i rapporti tra Israele e il rivale Marocco. Un impegno che fa da contraltare anche al sostanziale insuccesso della diplomazia mediorientale del paese, il cui mandato 2022 alla presidenza della Lega araba ha mancato l’obiettivo di reintegrare la Siria nel gruppo e ceduto all’Arabia Saudita – con il vertice di Gedda del maggio 2023 – gli allori della distensione.

Sul versante europeo, Tebboune riporta in auge i rapporti con Roma, divenuta primo importatore di idrocarburi e secondo partner commerciale dell’Algeria, dopo la Cina. L’incontro del gennaio 2023 con Giorgia Meloni ha visto la stipula di intese programmatiche in agricoltura, energie rinnovabili, farmaceutica e turismo. L’accordo da 420 milioni di euro con Bonifiche Ferraresi, siglato nel giugno 2024, individua la filiera agroalimentare – responsabile del 12,4% del PIL algerino – come potenziale direttrice di cooperazione. Mentre, sul piano regionale, cresce l’ascendente di Algeri sulla Tunisia, sempre più dipendente dalle forniture di gas naturale algerino.

Non poche, tuttavia, le battute d’arresto. La presidenza Tebboune ha incassato ripetute sconfitte nel duello diplomatico con il Marocco per il controllo del Sahara occidentale, snodo strategico tra Maghreb, Atlantico e paesi ECOWAS conteso tra Rabat e le milizie filo-algerine del Fronte Polisario. Negli ultimi due anni, Algeri ha perduto il decennale supporto della Spagna (protagonista, nel marzo 2022, di un discusso revirement a favore del Marocco) e, a seguito dell’accesso di Rabat agli Accordi di Abramo, quello di Stati Uniti e Israele. L’ultimo scacco viene dalla Francia: storicamente impegnata in un delicato gioco di equilibrio tra gli interessi in conflitto di Algeria e Marocco, Parigi ha sciolto gli indugi pronunciandosi, nel luglio 2024, a favore delle ambizioni di Rabat.

A sud Tebboune affronta problemi più immediati. La recrudescenza delle insurrezioni armate nel Sahel erode l’influenza di Algeri e ne mina la credibilità di garante politico-securitario della regione. La giunta di Assimi Goita, sospettosa dei legami tra l’Algeria e i ribelli tuareg nel nord del Mali, ha annunciato nel 2023 la rescissione degli Accordi di Algeri e limitato il “processo di pace” ai soli stakeholder maliani, mentre in Niger il golpe dell’aprile 2023, che ha portato al potere Abdurrahman Tiani, rimette in discussione gli accordi frontalieri siglati dall’Algeria con il deposto presidente Bazoum. Nel Sahel subentrano, intanto, nuovi concorrenti. In primis il Marocco, che con l’Iniziativa Atlantica lanciata lo scorso dicembre ha offerto a Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad l’utilizzo di Dakhla – primo porto del Sahara occidentale – quale viatico ai mercati della costa africana. E poi il governo libico di Sirte, che tramite gli uffici informali della famiglia Haftar pianifica accordi economici e militari in seno alla neonata Alleanza degli Stati del Sahel (AES).

Lo sgretolarsi dei paesi saheliani determina così una battuta d’arresto per l’estroflessione politica e commerciale di Algeri verso l’Africa occidentale e subsahariana. E ne complica anche i rapporti con la Russia, che domina il mercato militare algerino ma contribuisce a destabilizzare gli equilibri alle frontiere sud, dove gli agenti della Federazione – e in primis i mercenari ex-Wagner – favoriscono il contrabbando di esseri umani, armamenti e minerali tra Sahel e Cirenaica.

Il ritorno di Algeri sulla scena internazionale è segnato – in sintesi – da sfide su più fronti. Probabile, a questo proposito, che le soluzioni della presidenza Tebboune seguano i crismi stabiliti nell’arco del primo mandato: simbiosi politico-militare; espansione e diversificazione economica; rilancio industriale; ampliamento realista dei partner internazionali; graduale erosione delle libertà civili. Si mantiene la rotta, mentre restano di fatto irrisolti i punti critici del primo quinquennio: dipendenza energetica, instabilità regionale, rinnovata discrezionalità dell’apparato militare. Efficace la chiosa di un recente report della Banca Mondiale: the light is green, but for how long?

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