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Haftar e Sudan, due volti della complessa crisi migratoria

La questione migratoria, la visita di Haftar a Roma e i rischi delle ricadute del conflitto in Sudan. L’analisi di Daniele Ruvinetti

La visita del generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, a Roma dimostra come il governo italiano sia profondamente concentrato sulla questione migratoria e sulla costruzione di una complicatissima stabilità, sia in Libia che nella regione più meridionale dell’Africa.

I dati d’altronde parlano chiaro: gli sbarchi sono aumentati e in percentuale l’aumento maggiore (insieme a quello tunisino) si collega alla Libia orientale, zona dove Haftar ha ancora presa territoriale attraverso la sua milizia, che si fa chiamare Esercito nazionale libico. Il generale è indebolito rispetto a quando — non più tardi di tre anni fa — lanciava un assalto per cercare di conquistare il Paese. Tuttavia, è pacifico che resti un interlocutore nel paese.

L’Italia sembra essere disposta a rischiare sul dialogo con Haftar — con il rischio di dargli una forma di legittimazione maggiore di quella che ha attualmente, e il ripercuotersi di questo sul processo libico (e forse non solo) – ed è disposta ad accettare questo rischio nella consapevolezza di avere gli strumenti per gestirlo, e nella necessità di difendere un interesse nazionale: il controllo dei flussi migratori.

Si tratta di un tema su cui il governo italiano è portato a confrontarsi con il suo elettorato, ma anche una questione centrale negli affari regionali del Mediterraneo allargato — con cui la politica estera si misura costantemente. Il ruolo di Haftar è complesso: da un lato cerca da sempre di crearsi spazi come interlocutore anche nel mondo occidentale — spazi che ha trovato, con contatti aperti non solo con l’Italia, ma anche con la Francia e gli Stati Uniti per esempio –; dall’altro muove i propri interessi utilizzando leve formalmente inaccettabili per l’Occidente, come l’uso delle armi, la collusione con traffici poco limpidi, le relazioni con il Wagner Group russo.

È il pragmatismo che muove il dialogo con lui. Nell’ottica attuale va considerato uno scenario ampio per aumentare il livello di consapevolezza sulle intenzioni e sugli interessi dell’Italia. Haftar ha infatti rapporti con uno dei fronti attivi in Sudan, quello guidato dal generale noto come “Hemedti” e costituto dalla Rapid Support Force — una delle due realtà armate interne al Paese che si contende da tempo, ora con il furore dei combattimenti, il controllo sui gangli del potere (militare e, nel caso del Sudan, anche economico).

In queste settimane sono circolate voci su un aiuto militare fornito da Haftar alle RSF. Tutto smentito dalla milizia libica. Tuttavia, non è questo il punto. Il rischio che i combattimenti in Sudan si appesantiscano e diffondano è ormai evidente, e in questo potenziale scenario ci sarà da aspettarci ulteriori fenomeni migratori. Chiaramente le persone fuggono dalle guerre, e lo potrebbero fare in massa anche dal Sudan.

Non è un esercizio fine a se stesso pensare che l’angolo sud-orientale libico, dove si trova l’incrocio di confine tra Egitto e Sudan, possa diventare un punto di passaggio per chi cerca la disperata fuga verso il Mediterraneo. Anzi, conoscendo le tipologie di attività che le organizzazioni del traffico di uomini portano avanti per arricchire il loro business, potrebbero innescarsi staffette tra quell’area e la Libia orientale. Ossia la porzione in cui Haftar esercita una presa territoriale.

Chi gestisce quelle rotte? Come controllarle? Come evitare che l’approfondimento del conflitto sudanese pesi sulle migrazioni mediterranee e dunque sull’Italia? Queste sono le domande da porsi sulla visita di Haftar, e non a caso nelle due ore di colloquio a Palazzo Chigi si è parlato anche di Sudan — dove va detto che il libico può fare poco nel dossier generale, ma potrebbe avere un ruolo in futuri sviluppi. Dunque, si abbinano la contingenza temporale attuale (invitarlo a bloccare le partenze dalla Cirenaica) con quella di previsione e scenario a più lunga gittata.

A questo si unisce una dimensione più strategica. Il ministro Guido Crosetto, non troppe settimane fa, ha evidenziato come la Wagner stia lanciando contro l’Europa — e dunque contro l’Italia — una guerra ibrida usando i flussi migratori. Il tema crea destabilizzazione securitaria, politica, sociale e in parte economica: quindi è un perfetto vettore per la guerra ibrida dell’asset del Cremlino. Haftar, così come Hemedti, hanno collegamenti con il Wagner Group. Gli Stati Uniti da tempo hanno intensificato gli sforzi per cercare di tagliare fuori la società russa da Libia e Sudan perché è un attore destabilizzante. Se non tutto, molto si lega.

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