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Il business dei rapimenti in Nigeria

Il nuovo articolo di Ginevra Leganza

È il paese dell’orrore oltre Nollywood. La Nigeria della chiesa rurale di Ejiba, attaccata dai “banditi”. L’Africa delle foreste, tra Yelwa e Mokwa, che formano un labirinto interrotto solo da sentieri invisibili a chi non li percorra abitualmente. È insomma la nazione africana dove il cuore del business è l’esca del rapimento.

Tornando ai boschi, però, è proprio qui che a fine novembre cinquanta bambini cattolici hanno trovato per paradosso una via di scampo. Nelle stesse ore in cui 303 studenti e 12 insegnanti nigerini venivano strappati via ai propri banchi, dalla scuola cattolica Saint Mary i cinquanta nigeriani hanno compiuto l’impensabile: dissolversi tra le chiome selvatiche; scappare con il favore del caos mentre i rapitori si addentravano nel folto della vegetazione. Un rapimento di massa, l’ennesimo e forse il più clamoroso, che ha spinto negli ultimi giorni il presidente Tinubu a dichiarare lo stato di emergenza. Decisione arrivata la settimana scorsa, a seguito di oltre 350 sequestri nonché attacchi ripetuti di banditi, milizie, gruppi terroristici. Solo poche ore dopo la decisione del governo, però, domenica 30, un altro rapimento di 12 fedeli è avvenuto nello stato di Kogi durante la messa.

Nigeria in emergenza

Potere spirituale e potere temporale – parimenti scossi – hanno reagito all’ennesimo colpo inferto ai civili. Se il vescovo Bulus Dauwa Yohanna ha chiesto di continuare a pregare per gli oltre 250 ancora dispersi, il presidente Tinubu ha varato una riforma senza precedenti. Ovvero una riorganizzazione capillare delle forze di sicurezza. A cominciare dal reclutamento immediato di 20.000 nuovi agenti, per poi proseguire con la redistribuzione dei 100.000 poliziotti (finora assegnati alla protezione di politici e celebrità). Le guardie forestali – poste sotto il dipartimento della Sicurezza di stato – sono state dispiegate per smantellare le basi dei gruppi armati nei boschi. Tinubu ha ancora sostenuto la creazione di unità di sicurezza locali, e imposto la fine del pascolo libero sovente legato all’origine di conflitti mortali tra allevatori e agricoltori.

Una strategia, la sua, che mira apertamente a riportare personale sul terreno, ridurre privilegi, controllare aree rurali. E ancora limitare violenze agro-pastorali, per ricostruire la fiducia tra stato e cittadini. Anche perché l’episodio di Saint Mary è solo l’ennesimo – si diceva – in un lungo solco. L’ultimo rapimento che ha contribuito a scorticare la ferita di Chibok: il trauma del sequestro di 276 studentesse, nel 2014, per mano di Boko Haram.

Economia del sequestro

La storia è ormai antica. E gli episodi si verificano con una frequenza tale da costituire un drammatico modello di business. Al punto che alcune analisi, come quella di SBM Intelligence, inquadrano i rapimenti nigeriani nella cosiddetta industria del crimine. Dati alla mano, tra luglio 2024 e giugno 2025 sono state registrate 997 operazioni con il coinvolgimento di 4.772 persone (di queste le vittime sono almeno 762). Il totale dei riscatti è pari a 1,66 milioni di dollari: cifra corrispondente al 5 per cento delle richieste iniziali.

La stessa SBM districa poi il gomitolo di concause che nutrono l’industria: dal deprezzamento della naira, alla generale instabilità economica, sino alla debolezza del governo. Una mistura venefica che ha trasformato il fenomeno in sistema.

Il faro internazionale sulla Nigeria, oggi, si accende al punto da indurre Tinubu a dichiarare lo stato di emergenza. Eppure il pungolo non è solo quello del “primo mondo”. L’Associazione Nazionale degli Studenti Nigeriani (Nans) – fondata nel ’58 e coinvolta, in passato, in scontri con la polizia e repressioni – ha denunciato negli ultimi mesi il collasso interno. Gli universitari sono arrivati a descrivere la Safe School Initiative – un’istituzione concepita per garantire la sicurezza delle scuole – “in gran parte cosmetica”. Qualcosa che forse in occidente chiameremmo security washing. Le scuole – come le chiese – sono state attaccate e prostrate dai rapimenti. Sino a rilevare l’inefficacia dei fondi stanziati per impedire stragi nonché il fallimento dell’intelligence. A maggior ragione se, secondo il governo nigeriano, gli atti criminali motivati dal guadagno colpiscono indistintamente cristiani e musulmani.

La crisi dei rapimenti illumina quindi una Nigeria che vive in molti strati. Un paese dell’orrore che dalle megalopoli si proietta sulle scuole isolate sino alle foreste. Dove tra guardie e vescovi, studenti e sindacati, riecheggia a questo punto un proverbio in lingua yoruba. Se la salvezza è nel bosco, si dice, “un solo albero non fa una foresta”.

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