Il Marocco tra Cina e Visegrad
Diplomazia dei vaccini e controllo delle frontiere. Le relazioni del Marocco tra Est e Ovest e il suo ruolo nella regione nordafricana. Il punto di vista di Alessandro Giuli
Dietro il velo delle polemiche innescate dalla repentina chiusura delle frontiere aeree provocata dalla fiammata pandemica, il Marocco mostra una forte intraprendenza sanitaria e istituzionale per fronteggiare il Covid-19 nella lunga prospettiva. Rabat ha appena incassato la lode del Direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, come uno dei Paesi africani più celeri nel siglare accordi internazionali finalizzati alla produzione dei vaccini contro il Coronavirus. Ghebreyesus ha sottolineato l’importanza della produzione locale come fattore stabilizzante essenziale al fine di una copertura sanitaria universale che riguarderà anche altre eventuali epidemie. Nel dettaglio: il laboratorio marocchino Sothema è ormai pronto alla fase uno nella realizzazione mensile di 5 milioni di sieri cinesi Sinopharm, in modo tale da avviare una campagna massiva di “autosufficienza vaccinale” e fornire aiuto anche agli altri Stati africani (nel corso di una visita ufficiale a inizio novembre, il presidente del Gabon Ali Bongo Ondimba e il re Mohammed VI avevano firmato un accordo che farà di Libreville il primo cliente di Rabat).
Il partenariato del Marocco con Pechino, preannunciato dal ministro degli Esteri Nasser Bourita durante l’ottava edizione del Forum sulla cooperazione Cina-Africa (Focac) che si è tenuta a Dakar, in Senegal, tra il 29 e il 30 novembre scorsi, prevede come obiettivo 10 miliardi di dosi complessive. Il raggiungimento del target è incoraggiato anche dal fatto che, come rivela il quotidiano Al Ahdath Al Maghribia, la casa farmaceutica marocchina Sothema ha avviato la lavorazione del siero con un discreto anticipo rispetto alle autorizzazioni attese. Gli scienziati di Xi Jinping stanno supervisionando in loco l’allestimento di un progetto che, nelle ambizioni della casa regnante, dovrebbe concludersi con una piattaforma continentale di produzione e distribuzione su cui Rabat investirà fino a 500 milioni di dollari.
Ma il consolidamento della sfera d’influenza sino-russa in Nord Africa (vedi l’articolo precedente sui rapporti tra Algeri e Mosca) non deve far perdere di vista la strategia a più ampio raggio messa in campo dal Marocco per puntellare le relazioni occidentali con l’Unione europea, gli Stati Uniti e Israele. Nonché la recente, prima riunione ministeriale “V4-Marocco” ispirata dagli Stati membri del Gruppo di Visegrad e andata in scena a Budapest il 6 dicembre. Obiettivo: rafforzare i legami di cooperazione del regno africano con Ungheria, Polonia, Cechia e Slovacchia. Il ministro degli Esteri di Rabat, Bourita, ha avuto una serie di colloqui con i suoi omologhi per lo più centrati sull’immigrazione, tema su cui maggiormente sensibili si sono dimostrati i quattro Paesi che compongono la frontiera orientale europea. Di là dalle dichiarazioni diplomatiche improntate alla genericità protocollare – a Rabat sono giunti riconoscimenti come Stato-guida nel perseguimento della pace regionale e internazionale e come modello di sviluppo in materia di sicurezza –, il quartetto riconosce nel Marocco un ruolo strategico nel contenimento dei flussi migratori e inviterà i vertici dell’Unione europea a rafforzare le politiche di sostegno allo sviluppo marocchino.
La presidenza del Gruppo di Visegrad, assegnata nel biennio 2021-2022 all’Ungheria governata da Viktor Orbán, invoca un “partenariato ricco e multiforme” che rientra perfettamente nelle corde di Rabat, alle prese con una parallela strategia di diversificazione dei legami internazionali in concorrenza con l’Algeria. Fra le questioni ritenute d’interesse comune, naturalmente, figurano investimenti e scambi commerciali bilaterali, programmi di sicurezza, difesa, energia e tecnologie nucleari, giustizia e cultura. Ma grattando appena sotto la pellicola di superficie, s’indovina subito il tratto profondo che unisce Budapest e Rabat: la progressiva permeabilità all’egemonizzazione da parte di Pechino in fatto di sanità così come di piani infrastrutturali materiali e immateriali. Del resto è noto come Orbán, ora alle prese con la costruzione di una ferrovia che collegherà Belgrado alla capitale grazie a 1,9 miliardi di prestiti cinesi, sia stato l’unico leader europeo ad accogliere il vaccino Sinopharm pagandolo il doppio (32 euro a dose) rispetto al prezzo negoziato con Pfizer per il tramite dell’Unione europea.