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Il Mediterraneo centro di connessioni (sottomarine)

Il Mediterraneo, sempre più ponte tra Est ed Ovest, è centrale per la diffusione di infrastrutture internet sottomarine. L’analisi di Emanuele Rossi

The Official CTBTO Photostream, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons

La recente firma tra Grecia e Arabia Saudita sulla joint venture per la costruzione di un cavo Internet sottomarino, il cosiddetto “East to Med data Corridor” – avvenuta durante la visita del principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, ad Atene – riaccende i riflettori su quanto il Mediterraneo sia centrale per la diffusione di questo genere di infrastrutture. Su come le sue acque e la sua disposizione geografica fungano da ponte Est-Ovest. Su come interessi di attori internazionali vi siano concentrati.

I cavi sottomarini sono le arterie di Internet: da lì scorrono i dati, sia quelli più sensibili sia quelli che riguardano dozzine di milioni di cittadini che quei cavi collegano. Recentemente anche l’Italia ha alzato l’attenzione su di essi, creandovi attorno un sistema di monitoraggio e sicurezza frutto di partnership pubblico-privato.

Poter osservare – o al limite controllare, alterare – quei flussi, la linfa vitale digitale che vi scorre, sarebbe una ricchezza enorme per lo spionaggio, e dunque per gli interessi strategici, di qualsiasi Paese. Un’interruzione per ragioni diverse – un incidente, un sabotaggio – può isolare dal punto di vista digitale non solo uno stato ma un’intera regione. Quasi inutile aggiungere che gli effetti diventerebbero potenzialmente distruttivi.

Le moderne tecnologie consentono ormai un facile accesso alla dimensione subacquea, con yacht civili che possono impiegare sottomarini o droni sottomarini ed essere usati come unità “in borghese” anche per attività sui cavi. C'è quindi una crescente necessità di costruire una accurata “consapevolezza situazionale”, come viene definita in termini tecnico-militari, nell’ambiente sottomarino per monitorare e proteggere quelle infrastrutture critiche, che trasportano oltre il 95% del volume di Internet nel mondo.

Molto della sicurezza della regione del Mediterraneo si basa d’altronde sullo scambio di informazioni: proiezioni batimetriche, sorveglianza e monitoraggi degli stendimenti sottomarini, diventano allora la base della protezione di queste linee di comunicazione su cui viaggia gran parte di quelle informazioni. E dunque i cavi sono parte dell’architettura di sicurezza regionale da tutelare.

Le infrastrutture Internet subacquee sono ormai un’aliquota nevralgica del dominio sottomarino, componente cruciale per la protezione degli interessi nazionali. Ambienti strategici da tutelare in mezzo alle varie evoluzioni che attraversa il Mediterraneo – bacino che sta riacquisendo centralità anche come riflesso della guerra russa in Ucraina e su cui potrebbero riversarsi rivalità.

Da tempo i membri NATO hanno aperto dialogo e pianificazione su scenari in cui unità rivali possono compiere sabotaggio o spionaggio sui cavi sottomarini (non è detto che non sia già successo). E il Mediterraneo anche in questa dimensione subacquea ha una sua rilevanza. Il bacino è tagliato Est-Ovest dalle connessioni che viaggiano sull’asse Europa-Asia e su quello che da lì riparte verso l’Atlantico. Un quadro che segna anche in questo caso come la regione sia un fulcro delle connessioni globali. Gibilterra e Suez (attraversato da 19 cavi), e il corridoio del Canale di Sicilia, segnano lineamenti di passaggio di questa talassocrazia sottomarina. L’isola italiana ha una connotazione geografica (e dunque geopolitica) perfetta per farla essere Point-of-Presence, un nodo strategico del network digitale che guida i dati tra Europa meridionale, Medio Oriente e Nord Africa.

I cavi sottomarini, la cui lunghezza totale è stimata sugli 1,3 milioni di chilometri, sono infrastrutture in cui l’investimento richiede alta cooperazione internazionale. Prendere per esempio il “I-ME-WE” (acronimo di India, Middle East, Western Europe) che collega Marsiglia a Mumbai. Sforzo da 480 milioni di dollari, estenso per 13.000 Km a servizio di otto paesi: India, Pakistan, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Egitto, Libano, Italia e Francia. O ancora, la dorsale digitale “SEA-ME-WE-3”, lunga 39.000 chilometri (più o meno la circonferenza terrestre), che mette in connessione 32 paesi (con 92 investitori), partendo dal Nord della Germania per tagliare l’intero bacino mediterraneo, il Mar Rosso, il Mar Arabico, scendere per l’Oceano Indiano e allargarsi al Pacifico (dall’Australia alla Penisola coreana).

Nel 2008 un danneggiamento a questo cavo lasciò quasi due milioni di persone senza connessione internet. Il paese più colpito furono gli Emirati Arabi Uniti, un hub finanziario e commerciale internazionale che isolato dal mondo digitale va in evidente sofferenza. Comprensibile come mai nel corso dell’ultimo decennio queste infrastrutture internet sottomarine – componente fisica di un mondo virtuale – e la loro sicurezza abbiano acquisito via via importanza anche per certi attori.

“La Russia ha sviluppato la capacità di mettere in pericolo quei cavi sottomarini e potenzialmente sfruttare quei cavi sottomarini” a proprio vantaggio, ha dichiarato a inizio anno al Times l’ammiraglio Sir Tony Radakin 56 anni, capo delle Forze armate britanniche con oltre trent’anni di esperienza. L’attenzione ai cavi è parte di quel sistema complesso con cui Mosca porta avanti le proprie attività in forma aggressiva: azioni ibride, orientate ai domini convenzionali quanto a quelli informatici e digitali (la chiamano dottrina Gerasimov per via della sua mente, il generale capo delle forze del Cremlino).

Se si considera la percentuale delle comunicazioni Internet che passa dai cavi sottomarini e con loro 10 miliardi di dollari di transazioni finanziarie giornaliere, se si aggiunge il valore che queste infrastrutture hanno nelle dinamiche di digitalizzazione di regioni cruciali come il Medio Oriente o l’Africa (il cui sviluppo dipende dalla digitalizzazione), se si pensa che le forze armate russe hanno dotato il Direttorato principale della ricerca sottomarina, noto anche con l’acronimo russo Gugi o come Unità militare 40056, di particolari sommergibili per missioni speciali, allora diventa più comprensibile quel che ha portato la Nato a concentrarsi su questi lineamenti e perché l’Unione europea li inserisca nel dibattito sulla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi.

Secondo un recente briefing della Casa Bianca, inoltre, la Cina avrebbe stanziato 600 milioni di dollari per realizzare lo stendimento di sei cavi sottomarini che dovranno collegare Singapore alla Francia passando per le acque del Corno d’Africa e risalendo per l’Egitto. Gli Stati Uniti si sono preoccupati soprattutto del potenziale “controllo” cinese sul flusso di informazioni. La presenza di Pechino all’interno di questo genere di infrastrutture rafforzerebbe il ruolo della Cina in Africa, e si andrebbe a unire al progetto ambizioso del cavo PEACE, che dovrebbe a unire Gwadr (porto pakistana che dà sbocco sull’Oceano Indiano alla Belt and Road Initiative) con Marsiglia.

Questo genere di attività cinesi all’interno del mondo delle infrastrutture digitali nel Mediterraneo rappresenta un elemento di particolare attenzione politica e geopolitica, ed è una delle attività che Pechino compie nel bacino, e che ha portato Bruxelles a sollevare accuse di dumping. La Repubblica popolare cinese non gioca secondo regole europee, in termini di concorrenza e di policy generali, e talvolta l’azione diretta, bilaterale, con i singoli attori può essere facilitata da queste deregolamentazioni offerte dal modello cinese.

È la dimensione politica quella determinante, quella su cui l’Europa è chiamata alla sfida per dimostrare capacità di muoversi nel futuro. Sul Mediterraneo si muovono connessioni che, anche nel caso dei cavi sottomarini, hanno il potenziale per costruire aliquote di sovranità europea – nello specifico sovranità digitale. L’Europa ha la possibilità di farsi attore di riferimento per i propri vicini usando il bacino del Mediterraneo allargato come moltiplicatore di attività strategiche come sono appunto le connessioni digitali. Facilitarne programmi per tenerle al sicuro è una di queste attività.

“Se l’UE non riesce a proiettare il proprio ruolo nella regione, altri attori globali riempiranno questo spazio. Lo faranno creando dipendenze tecnologiche, come gli standard stabiliti dalla Cina, che potrebbero rivelarsi dannose per gli interessi dell’UE”, ha scritto l’European Council on Foreign Relations in un policy paper di maggio 2021.

Mentre si parla con massima attenzione delle infrastrutture di collegamento per l’energia – tornate cruciali di fronte allo scombussolamento del mercato energetico prodotto dal conflitto in Ucraina – il ruolo dei collegamenti digitali è altrettanto centrale. Dalla connettività digitale passano infatti processi di sviluppo sia economico-commerciale che industriale, ma soprattutto umano, sociale e politico.

Attività su cui l’Unione Europea avrebbe tutti gli interessi a muoversi in forma compatta, sistemica, anche a tutela dei lineamenti in regioni cruciali come il Nord Africa, il Sahel e il Medio Oriente. D’altronde, uno dei temi chiave del recente viaggio del presidente statunitense, Joe Biden, tra Israele e Arabia Saudita ha proprio riguardato l’interesse strategico di Washington nell’allargare il legame tra i Paesi della regione del Golfo (e mediorientale) e Cina e Russia – individuati come rivali sistemici anche dall’Europa. Uno dei punti di partenza di questo complesso obiettivo è propri quello delle telecomunicazioni.

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