La difficile strada del governo libanese per ottenere il monopolio delle armi
La priorità per il disarmo è il sud del paese, “culla” di Hezbollah al confine con Israele e teatro dei continui scontri tra le milizie sciite e l’IDF. Il punto di Anna Cossiga

Uno degli obiettivi del cessate il fuoco firmato da Hezbollah e Israele il 27 novembre 2024, è il disarmo dei gruppi armati, le milizie di Hezbollah e i movimenti palestinesi in particolare, come previsto anche dalla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU 1701 del 2006, che metteva fine alle ostilità tra Tel Aviv e il Partito di Dio. L’obiettivo, tuttavia, perseguito con impegno dal presidente Aoun e dal nuovo governo di Nawaf Salam, non appare facile. Già a fine marzo, Aoun aveva annunciato che la priorità per il disarmo era il sud del paese, “culla” di Hezbollah al confine con Israele e teatro dei continui scontri tra le milizie sciite e l’IDF. Il presidente libanese ha dichiarato che il partito di Dio stava cooperando nel disarmo della zona meridionale, ma che i prossimi passi sarebbero stati fatti dopo un dialogo interno.
Riottenere il monopolio delle armi in Libano è lo scopo del governo, ma non scatenando una guerra civile: questo, in breve, il messaggio di Aoun. A metà aprile, l’esercito libanese ha detto di aver smantellato il 90% delle strutture militari di Hezbollah a sud del fiume Litani, vicino al confine con Israele. Tre mesi dopo, il premier Nawaf Salam che, insieme al presidente, è impegnato ad attuare le riforme richieste dalla comunità internazionale, ha dichiarato che l’esercito libanese ha smantellato più di cinquecento installazioni e di depositi di armi di Hezbollah nel sud del paese, allo scopo di riprendere il controllo di tutto il Libano e di tutti gli armamenti presenti nel paese. Qualche struttura delle milizie sciite, tuttavia, dev’essere ancora presente nel sud del Libano; o, almeno, così farebbero pensare i bombardamenti e gli attacchi dell’IDF, l’ultimo dei quali, il 5 giugno scorso, ha distrutto alcune strutture sotterranee, nella periferia di Beirut, dove le forze aeree di Hezbollah continuerebbero a produrre droni. Quanto al Partito di Dio, i messaggi sul proprio disarmo sembrano discordanti. Il leader Naim Qassem aveva annunciato che nessuno avrebbe disarmato il movimento e che Hezbollah non abbandonerà la lotta di resistenza contro Israele. Le posizioni si sono poi ammorbidite e il Partito di Dio si è detto disposto a discutere il disarmo, ma solo a condizione che Israele si ritiri completamente dal Libano, dove continua, invece, ad occupare cinque postazioni necessarie, a suo dire, per la propria sicurezza. Sul fronte Hezbollah, dunque, la questione degli armamenti pare non essere ancora del tutto risolta.
L’altro obiettivo del governo libanese è disarmare i numerosi gruppi palestinesi presenti sul territorio. Il Libano ospita 250mila palestinesi, il 45% dei quali vive nei 12 campi profughi presenti nel paese sin dalla guerra arabo-israeliana del 1947-48. A fine maggio, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmud Abbas, ha incontrato a Beirut il presidente libanese Aoun per discutere della situazione all’interno dei campi e i due leader hanno promesso di lavorare insieme perché le milizie palestinesi rinuncino alle armi. Nei campi, però, operano vari gruppi armati, tra cui Fatah, guidato da Abbas; Hamas; la Jihad Islamica; il Fronte popolare per la liberazione della Palestina; e vari gruppi islamisti più piccoli. Qualunque decisione prendano Abbas e Fatah in merito al disarmo, non è detto che verrà rispettata dagli altri gruppi. Intanto, gli Stati Uniti fanno pressione perché i termini del cessate il fuoco riguardo gli armamenti vengano rispettati celermente e lo stesso fanno i francesi; entrambi i paesi hanno mediato il cessate il fuoco e ne osservano l’andamento.
Intanto, il 3 giugno, è giunto a Beirut il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, che ha incontrato il presidente Aoun, il primo ministro Salam e il ministro degli Esteri libanese Joe Rajji. Il rappresentante di Teheran ha dichiarato che il suo paese appoggia pienamente l’indipendenza del Libano, la sua sovranità e la sua integrità territoriale e che spera che tra i due paesi potranno esserci relazioni basate sul rispetto reciproco e sulla non interferenza nella politica interna di ciascuno. Una dichiarazione che suona imprevista, ricordando i rapporti sino ad ora intercorsi tra i due paesi e gli stretti rapporti tra l’Iran e Hezbollah. Il disarmo di quest’ultimo è un argomento delicato nei rapporti tra Beirut e Teheran, ma il ministro Rajj ha sollevato comunque la questione con Araghchi, ricordando che è stato proprio il Partito di Dio a mettere il Libano in difficoltà quando è entrato in guerra contro Israele in seguito agli eventi del 7 ottobre 2023, supportando Hamas.
In quella che potremmo definire la fitta “tela di ragno” del Levante, un Libano che cera di risollevarsi da decenni di conflitti si trova, comunque, strettamente collegato alle sorti di Hezbollah, primo alleato di Teheran nella lotta di resistenza a Israele; e a quelle di Hamas, anch’esso parte dell’Asse della Resistenza, ancora presente, e armato, nei campi palestinesi del paese. Entrambi i moventi islamisti, sia quello sciita, sia quello palestinese, sono stati estremamente indeboliti dal comune nemico israeliano, come lo è stato l’Iran, che dell’Asse è il principale esponente. C’è da domandarsi, però, se i tre siano stati davvero sconfitti del tutto. Lo stato ebraico, poi, ancora presente nel sud del Libano, non sembra disposto, per adesso, a rinunciare alla lotta contro Hezbollah. Situazione a dire poco complessa, per il Paese dei cedri. A tutto questo, si aggiungono i sostenitori di Beirut, in modo particolare gli USA e la Francia, che la mettono sotto pressione perché ottenga al più presto il monopolio assoluto delle armi. Forse, Washington e Parigi dovrebbero avere maggiore comprensione: Aoun e Salam sembra che ce la stiano mettendo tutta non solo per ricostruire il paese, ma anche per ottenere una stabilità interna che tenga conto delle sfaccettature della società libanese e non faccia ripiombare il paese nelle lotte intestine.