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La diplomazia marocchina tra crisi ucraina e interessi nazionali

Il Marocco sembra avere assunto una posizione di neutralità “positiva” nella attuale crisi ucraina. Il punto di Alessandro Giuli

Dietro la sostanziale neutralità del Marocco rispetto al conflitto russo-ucraino s’intravedono linee di pressione convergenti che rendono la posizione di Rabat particolarmente delicata. Le diplomazie degli Stati in guerra esercitano le loro funzioni con alterna intensità. L’ambasciatrice di Kiev, Oksana Vasylieva, non ha voluto commentare la decisione del Regno di astenersi dal voto dell’Assemblea generale dell’Onu sulla risoluzione di condanna a Mosca. Tuttavia ha rivendicato in sostanza la scelta di pubblicare sulla pagina Facebook dell’ambasciata, il 24 febbraio scorso, un appello rivolto ai volontari stranieri incoraggiati ad andare a combattere sul fronte ucraino. “Il post è stato cancellato dalle nostre pagine ufficiali” – ha detto Vasylieva – spiegando che “sin dai primi giorni il presidente Zelensky ha invitato gli stranieri con un’esperienza militare a raggiungere le armate di Kiev. Un appello al quale hanno risposto circa 20mila volontari da 52 Paesi… ma fra costoro non risulta esserci alcun marocchino”. La precisazione si è resa necessaria poiché le autorità locali hanno immediatamente espresso il proprio disaccordo verso l’iniziativa, pur essendo il Marocco inserito a pieno titolo nella cornice atlantica descritta dagli Accordi di Abramo e avendo urgente bisogno che Kiev continui ad agevolare la protezione della comunità studentesca insediata in Ucraina, la più numerosa dopo quella indiana: i marocchini costituiscono il 10 per cento degli studenti e assommano a circa 9mila. Più di 6mila sono già rientrati in Marocco, 35 risultano da poco evacuati dalla città di Soumy circondata dai soldati di Mosca.

Nel frattempo anche l’omologo russo di Vasylieva stanziato a Rabat, Valerian Shuvaev, si è pronunciato con toni rassicuranti sulla diaspora marocchina ma ha commentato con severità il fatto che alcune sedi diplomatiche degli Stati occidentali, seguendo l’iniziativa dei britannici, abbiano scelto d’issare la bandiera ucraina in segno di solidarietà nei confronti di Kiev. “Gli spettacoli delle luminarie gialloblu e ogni sorta di dichiarazione populista appartengono alla classe politica e non ai diplomatici di professione, la cui vocazione è di perseverare nel dialogo e ricercare minuziosamente soluzioni al conflitto”. Shuvaev ha però espresso apprezzamento per il rifiuto da parte di Rabat di presenziare al voto dell’Onu, giudicando la posizione del Regno “molto responsabile”. In questo fragile crinale, ha creato qualche rumore un’indiscrezione secondo la quale Vladimir Putin avrebbe inviato ufficiosamente un messaggio di ringraziamento alla diplomazia marocchina; circostanza che Shuvaev ha commentato non senza un tratto di ambiguità: “Non possiamo confermare tale informazione”.

Sullo sfondo incombe sempre l’incognita della controversia con l’Algeria sul Sahara occidentale, su cui la Russia – membro permanente del Consiglio di sicurezza – esibisce da tempo un atteggiamento morbido confermato nell’ottobre 2021 con l’astensione dal voto delle Nazioni Unite, pur avendo ricevuto i più alti rappresentanti del Fronte Polisario sostenuti da Algeri. Sulla questione, peraltro, Rabat ha appena incassato un’inattesa svolta da parte della Spagna il cui premier Pedro Sánchez ha comunicato al re Mohammed VI che appoggerà la concessione di un’autonomia limitata agli indipendentisti opponendosi però – come richiesto dal Marocco – al referendum per l’autodeterminazione del popolo Saharawi. Madrid si allinea così a Washington, che dal 2020 riconosce la sovranità marocchina sulla regione. L’Algeria, principale fornitore africano e snodo energetico fondamentale per l’Europa, ha richiamato il proprio ambasciatore a Madrid e lascia presagire ripercussioni negative. Come che sia, la “neutralità positiva” di Rabat è un esercizio di acrobazia diplomatica forse obbligata che sta comportando un discreto dividendo in materia d’interesse nazionale.

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