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Le elezioni e la Georgia al bivio. La posta in gioco geopolitica in Europa centro-orientale

Dopo i risultati elettorali, la Georgia si trova di fronte ad un bivio. L’analisi di Giorgio Cella

Nel mondo dell’analisi degli affari internazionali si trovano sovente metafore o formule astratte, talvolta riuscite, talvolta anche infelici, altre volte troppo fantasiose se non fuori luogo. Nel caso della Georgia, immaginarla al bivio, si discosta invece molto poco dalla sua situazione reale. Come indica il titolo infatti, Tbilisi, sia prima delle ultime elezioni che ancor di più (quantomeno) nell’immediato post election-day, si trova in una delicata condizione sul piano geopolitico, inteso in questo caso precisamente sia in termini di collocazione di alleanze nel contesto globale, sia in termini di mera geografia politica, nel cuore del Caucaso, storico crocevia di potenze e di proiezione di influenza delle molteplici civiltà che hanno lasciato il loro segno in queste mitologiche terre. Oggi la situazione si perpetua e, sebbene non vi sia una molteplicità di Stati o Imperi come nei secoli passati che si affacciano militarmente ai confini georgiani, osserviamo un autentico braccio di ferro in termini di proiezioni di potenza tra Occidente e Federazione Russa, considerando come, tutt’oggi, le due regioni oggetto della guerra russo-georgiana dell’estate 2008 siano ancora sotto occupazione militare russa. Ed è da questo magmatico contesto e da questa dimensione di contesa territoriale che riemergono vari spettri, per rievocare il titolo-concetto elaborato da Monica Maggioni. A partire da quelli manifestatisi nel lontano 2008, quando occorse la sopracitata breve guerra dei cinque giorni russo-georgiana (per molti aspetti antesignana della crisi russo-ucraina che si sarebbe prodotta qualche anno più tardi nel 2014), così come da altri spettri di figure politiche anch’esse riemerse, come quella di Mikheil Saakashvili, ad esempio, protagonista al tempo della crisi militare tra Mosca e Tbilisi. Memori di queste annose fratture geopolitiche e sociali interne alla Georgia (e ai rapporti bilaterali tra Georgia e Russia) è possibile partire per riflettere su quanto sta accadendo con le recenti elezioni, e non solo: una situazione che vediamo tra l’altro sussistere (con le ovvie diversità del caso) in varie altre latitudini della vasta quanto diversificata regione centro-orientale europea ed eurasiatica, a partire dalla Moldavia, e in modo diverso anche dal Kazakistan. Del caso moldavo, con le altrettanto recenti elezioni che hanno visto la vittoria della candidata filoeuropea Maia Sandu, ci occuperemo nei prossimi giorni.

Tornando in quel di Tbilisi, le elezioni parlamentari del 26 ottobre scorso, secondo il report finale di OSCE, si sono tenute in un contesto formalmente democratico dove i candidati hanno nel complesso potuto condurre liberamente la campagna elettorale e dove le elezioni sono state indubbiamente partecipate, segno importante che indica un sistema istituzionale che, nonostante varie criticità che vedremo in seguito, continua comunque ad avere un attaccamento (quantomeno popolare) a forme di democrazia rappresentativa. Per quanto concerne le criticità, anch’esse contenute nel report finale della missione elettorale OSCE, sono stati registrati una serie di lati ben meno promettenti che hanno segnato questa tornata elettorale, a partire dal contesto generale di alta tensione e polarizzazione: pensiamo solo alla cosiddetta legge russa, ossia legge sugli agenti stranieri o legge sulla trasparenza dei finanziamenti esteri, che ha acceso gli animi nelle strade e un grande dibattito pubblico interno, in quanto vista da molti osservatori, e da una buona parte dell’elettorato, come il riflesso di un chiaro orientamento politico-gestionale della res pubblica similare a quello in essere nella Federazione Russa. Altro segnale preoccupante è stata l’idea del partito di maggioranza, poi non attuata, di bandire i partiti d’opposizione. Difatti, le elezioni si sono svolte sullo sfondo di una forte contrapposizione nella sfera politica (e nel suo riflesso mediatico) così come in quella sociale, con casi di indebita pressione politica sui votanti e con una disparità in termini di capacità economica dei partiti, con un superiore potere finanziario dispiegato dal partito Sogno Georgiano, realtà partitica creata del potente magnate georgiano Bidzhina Ivanishvili. Sogno Georgiano che, dopo risultati contestati dalle opposizioni e dopo un riconteggio di voti in alcune provincie, è stato confermato partito vincitore delle elezioni.

Alla guida dello Stato caucasico senza soluzione di continuità dal 2012, Sogno Georgiano ha dovuto traghettare il Paese in un fragile quanto complicato periodo post-bellico, ritrovandosi a gestire uno Stato amputato della sua integrità territoriale, con Abhkazia e Ossezia del Sud tutt’oggi sotto il controllo del Cremlino. Ed è su questo sentiero che guarda alla storia recente del Paese che il partito al potere Sogno Georgiano ha impostato il suo messaggio elettorale principale, ossia quello di evitare il ritorno a uno stato di guerra, pace contro instabilità e rischio bellico, rispetto al messaggio più politico-valoriale Occidente contro Russia veicolato dalle opposizioni, con la conseguenza implicita di quest’ultimo messaggio di un possibile futuro autocratico nell’orbita russa, invece di quello all’interno di una democrazia europea. Le cose non sono però divisibili in un così netto schema bianco e nero: con buona probabilità, è evidente che tra gli elettori del partito al potere vi sia stato un certo numero che sebbene abbia votato per Sogno Georgiano, preferiscano e desiderino a un tempo un futuro ancorato all’Unione Europea e più in generale all’orbita occidentale. Sono dello stesso avviso, quantomeno sul piano della narrativa, i leader di Sogno Georgiano, a partire dallo stesso fondatore Ivanishvili – così come lo è il primo ministro Irakli Kobakhidze - che ha sempre sostenuto come la via naturale per la collocazione internazionale di Tbilisi sia l’Europa, ma che, specie dopo la guerra in Ucraina, si debba in qualche modo convivere con Mosca, evitando per quanto possibile scontri e ostilità diffuse con il grande vicino settentrionale, sebbene ciò rechi con sé un rapporto più difficile e teso con Bruxelles e Washington. Con una opposizione non coesa al proprio interno – né durante la campagna elettorale né dopo il risultato elettorale – e per il fatto che il risultato elettorale non sia stato rinnegato dalla comunità internazionale, sembrerebbe poco plausibile la possibilità di un regime change, quantomeno nel futuro prossimo.

Memori delle estese proteste seguite alla legge sugli agenti stranieri, questo plausibile scenario non esclude tuttavia una eventuale continuata o intermittente azione di protesta nella capitale. La questione di una eventuale continuazione di agitazioni di strada è un fattore col quale il governo georgiano nel suo terzo termine dovrà comunque fare i conti. Indicative, da ultimo, da un lato le congratulazioni che sono giunte prontamente da capi di Stato come Orban, Erdgoan e Alyiev, così come da alti rappresentanti cinesi e russi; dall’altro le dichiarazioni da parte di varie cancellerie occidentali ben più caute, se non critiche e preoccupate (vedi Duda per la Polonia e Zelensky per l’Ucraina), e di raccomandazione a non deviare dal binario euro-atlantico.

In conclusione, va considerato il quadro di fondo globale più ampio sul quale anche queste elezioni nello Stato caucasico, come quelle in Lituania o in Moldavia, si sono tenute, ossia in quella macro contrapposizione in atto tra blocco occidentale da un lato e gruppo BRICS dall’altro che, sebbene sia lungi dall’avere una coesa visione strategica e coordinazione geopolitica, risulta in espansione e capace di influenzare gli equilibri di potenza internazionali. A questo nuovo quadro globale diviso tra due grandi raggruppamenti, sebbene in corso di formazione, dobbiamo aggiungere anche l’evento essenziale del nuovo corso della politica mondiale ossia la vittoria di Donald Trump il 5 novembre scorso: un evento le cui onde sismiche consequenziali irradieranno ogni angolo del globo nei mesi a venire. Anche la piccola Georgia e la sua incerta traiettoria nell’avvenire, sarà anch’essa indicativa degli sviluppi in essere di questa competizione globale in fieri.

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