L’haussa è la nuova lingua ufficiale del Niger
La de-colonizzazione parte dalla lingua. L'analisi di Ginevra Leganza

Se “la lingua è la casa dell’essere”, l’idioma haussa è tornato a casa. E cioè in Niger. Dove il francese, sino al 26 marzo lingua ufficiale della nazione del Sahel – che, in precedenza, assumeva le lingue di tutte le comunità “in piena uguaglianza” quali lingue nazionali – è adesso derubricato a idioma d’ufficio. Il francese è “lingua di lavoro tra le altre”, nella nazione africana. Che, nel contesto di decolonizzazione culturale, ha annunciato il suo ritiro dall’Organizzazione Internazionale della Francofonia, sulla scia del Burkina Faso e del Mali. A maggior ragione se la diffusione della lingua europea si estende, invero, ad appena il 13 per cento della popolazione. Fintanto che l’haussa è parlato da più della metà dei nigerini ed è compreso dalla quasi totalità.
La riforma linguistica che impone l’haussa quale lingua ufficiale s’inscrive perciò nella cornice di riaffermazione della sovranità culturale del paese africano che, negli ultimi mesi, ha portato a de-francesizzare persino lo spazio pubblico in quella che parrebbe, secondo una lente occidentale, un’opera di cancel culture (in questo caso assai più fondata rispetto alla “cancellazione” sorta in seno ai campus dell’anglosfera). Per avere un’idea, basterebbe pensare al viale Charles de Gaulle di Niamey che – svanendo da Google Maps – è ora chiamato Avenue Djibo Bakary, in onore del politico sostenitore dell’indipendenza ottenuta nel 1960. Il quotidiano francese Libération, che segue con particolare attenzione le vicende nigerine, segnala come il monumento tributato al comandante ed esploratore francese Perfect-Louis Monteil, scolpito in pietra, sia stato sostituito da una targa del burkinabé Thomas Sankara, rivoluzionario patriota che – nelle parole del colonnello Amadou – ispira ancora i popoli del Sahel nei cambiamenti che “segnano una nuova èra”. Particolarmente rimarchevole è poi il caso di Place de la Francophonie oggi ribattezzata “Piazza dell’Alleanza degli Stati del Sahel” (Aes), come pure l’interruzione della binazionalità del centro culturale franco-nigerino, da pochi giorni tributato al regista Moustapha Alassane. Ma ecco: tutti questi stravolgimenti toponomastici, conseguenti alla proclamazione della nuova lingua, s’incardinano in realtà nell’articolo 12 della nuova costituzione, la “Carta della rifondazione”, promulgata il 26 marzo scorso in sostituzione della carta sospesa dopo il colpo di stato del 26 luglio 2023 – ora giorno di festa nazionale – e in concomitanza con l’ascesa al potere del presidente Abdourahamane Tchiani.
Poste dunque le basi (anzitutto linguistiche) per un nuovo ciclo di vita nazionale, la domanda è: in che termini, e in quale misura, la lingua haussa è heideggerianamente la casa dell’essere nigerino? Perché la decolonizzazione, oggi, riparte proprio da questa lingua? Qual è il suo peso specifico nel bacino culturale del Sahel e in Niger, considerando ancora la presenza di decine di idiomi autoctoni nigerini corrispondenti alle altre etnie (dallo zarma al tuareg)?
Ebbene, stando alle più recenti pubblicazioni di Ethnologue, l’haussa è parlato nel 2022 da 77 milioni di abitanti nel mondo. Di questi, 10 milioni fanno riferimento a Niamey – là dove il Niger ha 26 milioni di abitanti. La nuova lingua ufficiale è dunque la più parlata nel paese, seguita dallo zarma-songhau nella parte occidentale (22 per cento della popolazione). Sicché la scelta di Naimey – che segue la direzione tracciata da Uagadugu nel 2023 – è nel solco di un approccio “regionalista” volto a insediare la lingua franca del Sahel nelle istituzioni. Pur con tutte le criticità che ne conseguono. Dalla formazione dei funzionari alla produzione di documenti in una lingua che, pur includendo la maggioranza della popolazione, esclude altre minoranze secondo un impianto gerarchico. Ma la storia stessa della lingua haussa – e soprattutto del suo alfabeto – ci pare emblematica rispetto all’ascendente europeo. A ben vedere, l’haussa stesso porta con sé i sedimenti, e forse anche i simboli impliciti, del rapporto tra Africa ed Europa. Segni di una tensione dialettica assai difficile da “cancellare”.
Lingua di riferimento dell’omonimo gruppo etnico di religione musulmana sunnita, l’haussa è la lingua ciadica più diffusa nell’intero Sahel. Secondo studi sul Dna delle popolazioni africane, essa è probabilmente di ascendenza nilo-sahariana (come la seconda lingua etnica del paese, lo zarma). Quanto alla sua evoluzione, l’haussa letterario si basa sul dialetto nigeriano della città di Kano, capitale commerciale della sfera linguistica haussa, nonché fulcro della koinè e centro della produzione cinematografica (Kannywood è il nickname che tradisce l’influsso occidentale sui paesi subsahariani). Ma l’aspetto a nostro giudizio più interessante, dal punto di vista simbolico, riguarda l’alfabeto della nuova lingua ufficiale.
Scritto a lungo in alfabeto arabo, l’alfabeto ajami, dal 1912 l’haussa è scritto anche in alfabeto latino. Uno dei più importanti studi linguistici – la pubblicazione, nel 1934, del dizionario compilato dal reverendo britannico George Percy Bargery (circa 40 mila voci) – dimostrava l’importante numero di prestiti dall’arabo e, dal periodo coloniale, dell’inglese e del francese quali tre fonti linguistiche di innovazione lessicale. Ma tornando all’alfabeto latino – che, come nel caso di altri idiomi africani, dà carattere ai fonemi con l’aggiunta di lettere modificate – esso è chiamato boko. Laddove ajami sta dunque per “straniero”, boko – che potrebbe derivare dall’inglese book – è più suggestivamente ricondotto al significato haussa di “frode, inganno”. In sintesi, per l’uomo haussa, latino è uguale e inganno, in ragione del fatto che l’alfabeto latino è abissalmente inferiore all’ajami, legato invece al Corano. Ancora più in generale boko indica, con accezione evidentemente spregiativa, la cultura “occidentale” nella sua complessità. Si pensi, in tal senso, al nome del gruppo terroristico jihadista Boko Haram, che alla lettera – in haussa – indica il divieto (Haram) di tutto quanto annetta all’occidente (Boko).
Se dunque l’ortografia boko è impiegata per l’istruzione, per l’editoria, e altri scopi per così dire commerciali, l’ajami è ancora usato nelle scuole islamiche allorché si approcci alla letteratura coranica. Più in generale l’ajami è l’alfabeto della letteratura haussa antica. La letteratura classica. Ironicamente, potremmo dire che l’alfabeto ajami è l’alfabeto della nostra letteratura latina; e l’alfabeto latino, il boko, è quello del nostro inglese. Per avere un’idea, in ajami sono scritti i poemi di Usman dan Fodio, il politico e scrittore che nel 1807 fondò il califfato di Sokoto (comprendente Nigeria, Niger, Camerun, Burkina Faso), uno degli stati più potenti prima della colonizzazione, nonché i testi della figlia, Nana Asmaʾu, che raccontò in prosa il “jihad fulani”, intrapreso dal padre. L’alfabeto latino, di contro, presta i suoi caratteri non solo alla letteratura moderna haussa – che spesso riprende i temi morali tipici della tradizione orale – ma anche al più recente fenomeno dei romanzi rosa haussa. Una su tutte, la nigeriana Balaraba Ramat Yakubu – forse la più nota esponente del genere – dichiarò di scrivere in haussa per non aver ricevuto un’educazione occidentale in seguito al precoce matrimonio forzato. Balaraba Ramat Yakubu è, tra l’altro, sceneggiatrice, produttrice e regista a Kannywood dove intreccia la questione femminile islamica a trame sentimentali che ricordano la letteratura di consumo a noi prossima.
Il cammino di decolonizzazione culturale del Niger – che parte dalla parola intesa come principio e comando – non è perciò forse un sentiero piano. L’haussa è la casa dell’essere, in Niger, certo. Dove, per dirla con Franco Battiato, “il giorno della fine non ti servirà l’inglese”. E tuttavia la cancellazione è, come sempre, ostica. Le contaminazioni risaltano nella stessa lingua, i contrasti si accendono in un’unica parola. Nei romanzi rosa come nei coni d’oscurità. Da Kannywood a Boko Haram.