L’Italia nelle esercitazioni dell’Indo Pacifico
Assetti militari italiani hanno partecipato a importanti esercitazioni nell’Indo Pacifico: Roma prende parte alle manovre per la costruzione dell’architettura di sicurezza nella regione
Ci sono immagini eccezionali pubblicate dalla Marina militare italiana sui propri social media che immortalano un momento per certi versi storico: il pattugliatore d’altura Nave Montecuccoli e il veliero Amerigo Vespucci navigano insieme nell’Oceano Pacifico, al largo delle coste di Honolulu. In quelle acque, il Montecuccoli ha partecipato a RIMPAC 2024, la 29ª edizione dell’esercitazione biennale denominata “Rim of the Pacific”, mentre il Vespucci – protagonista di un tour globale – ha fatto scalo in diversi porti portando con sé il genio e la cultura italiani, con manifestazioni ed eventi.
RIMPAC è la più grande esercitazione marittima internazionale al mondo, tenuta intorno alle isole Hawaii dal 27 giugno al 1 agosto: vi hanno preso parte 29 nazioni, con 40 navi di superficie, tre sottomarini, 14 forze terrestri nazionali, oltre 150 aeromobili e più di 25.000 unità di personale. L'esercitazione mira a migliorare le capacità di guerra multi-dominio attraverso vari scenari come la guerra antisommergibile, la guerra di superficie multi-nave, gli sbarchi anfibi multinazionali e la difesa multi-asse dei gruppi d'attacco delle portaerei. RIMPAC 2024 ha enfatizzato significativamente la promozione e il mantenimento delle relazioni cooperative tra i partecipanti, per garantire la sicurezza delle rotte marittime e la sicurezza globale. Ospitata dagli Stati Uniti, non include più le forze armate cinesi, ed è questa un’indicazione sul senso (il contenimento dell’espansionismo di Pechino) che Washington intende ormai dargli.
Vedere il Vespucci al fianco del Montecuccoli indica il senso della presenza italiana in quella regione solo apparentemente remota. Roma abbina con certe missioni l’implementazione della cultura nazionale, non solo militare, attraverso la cosiddetta “naval diplomacy”, con l’acquisizione di capacità operative di nuovi assetti, sempre più tecnologici e importanti per la sicurezza regionale. In quest’ottica, tali assetti acquisiscono anche un’importanza di carattere commerciale, un successo già incassato lo scorso anno, quando un altro pattugliatore d’altura, Nave Morosini, fu impegnato nell’Indo Pacifico chiamando diversi porti e incassando feedback assolutamente positivi per le sue qualità tecnologiche (che si traducono in commesse per le aziende italiane, che significano anche penetrazione strategica per il nostro Paese).
Di questo impegno — anche di carattere culturale, politico e commerciale — non può però essere trascurato il primario valore tecnico-militare. L’attività italiana in RIMPAC24 si abbina infatti a quella in “Pitch Black 24”, l’altra grande esercitazione aerea che si è svolta sempre in queste settimane tra i cieli di Darwin, in Australia. Sono queste manovre, insieme a quelle tenute successivamente in Giappone, che hanno permesso al carrier strike group di Nave Cavour (prima portaerei a partecipare nella lunga storia di questa esercitazione) di acquisire la Initial Operational Capability (IOC) “Sea-based” dei velivoli F-35B, con l’Italia che è diventata unica nazione dell’Unione Europea in grado di garantire questa capacità – e con Marina e Aeronautica a bordo del Cavour per sviluppare capacità interforze nazionali, manovrare in mare aperto e lanciarsi in aree lontane.
Un passaggio cruciale per le capacità di proiezione e azione delle Forze armate, e più in generale per le potenzialità geostrategiche e geopolitiche dell’Italia. Va infatti detto che la gran parte delle dinamiche indo-pacifiche è caratterizzata da elementi di geopolitica marittima, e contemporaneamente gran parte dello sviluppo delle relazioni di sicurezza internazionali ruota attorno alle capacità tecniche-militari di integrare le proprie capacità operative con quelle degli alleati.
In queste settimane tale elemento è stato evidenziato sia dagli incontri regionali (con filippini, giapponesi e sudcoreani) del capo degli Stati maggiori congiunti statunitensi, CQ Brown, che dalle riunioni del Nato Summit tenutosi a Washington. Interoperabilità tecnica che si abbina a una più eterea – e cruciale – condivisione di valori e di lenti con cui leggere il mondo. Quest’ultima è il collante che tiene insieme l’Occidente e i cosiddetti paesi “like-minded”, che preservano il modello democratico basato sulle regole della governance internazionale, davanti a un gruppo di stati allineato dal solo intento revisionista (a proprio svariato interesse) di quell’ordine. Questo contesto, che segnerà le dinamiche globali future, si sintetizza nella sempre maggiore vicinanza tra Nato e IP4 (gli “Indo-Pacific 4”, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda). E contemporaneamente si manifesta con la cooperazione pratica, nell’interoperabilità tra forze armate. Dall’altro lato, vediamo che la Cina propone sostegno dual-use alla Russia per l’invasione su larga scala dell’Ucraina, mentre Pyongyang aumenta la collaborazione con Mosca e assetti russi e cinesi si esercitano nell’Oceano indiano con l’Iran; sconfinano per la prima volta in Alaska, manovrano come ogni anno dal 2012 a nord del Giappone, si coordinano per lo sfruttamento della logistica russa in Libia.
Lavorare con partner e alleati diventa dunque la chiave di volta di un mondo multipolare, dove interscambiabilità e interoperabilità sono le password per far muovere le leve di integrazione dei Paesi dell’ordine basato sulle regole e sulla democrazia (rappresentanti anche nella Nato con i suoi partner internazionali), che condividono sempre di più destini e sfide. In quest’ottica, mentre per l’Italia resta fisso l’interesse prioritario del Mediterraneo, diventa sempre più importante essere presente anche in un quadrante nevralgico come l’Indo Pacifico.
Se non per la sola condivisione d’ideali con partner sempre più importanti (per esempio il Giappone, con cui, restando in ambito militare, si condivide insieme al Regno Unito il grande progetto del Global Combat Air Programme per il caccia del futuro), ma anche per ragioni pratiche. Perché la destabilizzazione prodotta dagli Houthi nel Mar Rosso, per esempio, potrebbe ripetersi in altri choke-point (come lo Stretto di Malacca) e mettere in difficoltà anche altrove i fondamentali collegamenti commerciali Europa-Asia. E questo potrebbe richiedere altri impegni e coinvolgimenti dell’Italia. È qui che il concetto di Mediterraneo allargato si espande, si muove via via verso Oriente delineando un Indo-Mediterraneo in cui si riflettono già gli interessi e le necessità politico-diplomatiche e securitarie del nostro Paese.