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Lo Sri Lanka tra crisi economica e incertezza

Lo Sri Lanka, attraversato da forti ondate di protesta dovute ad una sistemica crisi economica e ad un inquietante quadro socio-politico, è un campanello d'allarme per le altre nazioni del Sud del Pianeta. L’analisi di Guido Bolaffi

Which country could go the Sri Lanka way?”

È l’interrogativo con cui, giorni addietro, il canale di informazione televisivo indiano WION apriva la rubrica Gravitas Plus dedicata alla rivolta popolare scoppiata a metà dello scorso aprile nello Sri Lanka. Con l’evidente, meritevole obiettivo di segnalare che le ragioni economiche, politiche e sociali alla base delle proteste – che nonostante le dimissioni del governo continuano a sconvolgere con morti e feriti quella che fino al 1972, anno dell'indipendenza, era indicata sulle carte geografiche con il nome di Ceylon – sono le stesse che affliggono molti altri paesi in via di sviluppo. Lo Sri Lanka, come dicono gli inglesi, “is a canary in a coalmine”. Un campanello d’allarme di una potenziale, pericolosa crisi sistemica che, non differentemente da quella del debito sovrano degli anni 80 del ‘900, potrebbe avere un effetto domino in altre nazioni in difficoltà del Sud del Pianeta.

Ma perché lo Sri Lanka – Stato insulare delle splendide acque del subcontinente indiano, con un territorio grande quanto quelli di Sicilia, Sardegna, Corsica e Baleari messi insieme e che per la sua paradisiaca vicinanza alla costa era soprannominato la “lacrima dell’India” – è finito in tanto marasma?

Per trovare una risposta basta leggere l’articolo Rajapaksas brought own ruin pubblicato dal quotidiano The Print lo scorso 10 maggio: “The ongoing protests against the Rajapaksas – (la dinastia familiare che domina lo Sri Lanka da cinquant'anni) – have no doubt been triggered by the severe economic crisis that have resulted in long food queues, fuel and medicine shortage. Sri Lanka’s reserve are down below $50 million, and the country has gone to International Monetary Fund to obtain a bridging loan to repay some EMIs [...] But there is an underlying fracture between the Sinhala and Tamil communities that the Rajapaksas exacerbated in the wake of civil war that ended in 2009 with the defeat of Liberation Tigers of Tamil Eelam [...] The problem with Sri Lanka’s divided polity is that the President-Prime Minister duo are very strong. What is worse is that the Opposition has refused to show its hand. Sajith Premadasa, the son of the powerful former president Premadasa who leads the Samagi Jana Balawegaya, has said he won’t head an interim government to tide over the economic crisis, neither will he say what the opposition’s plans are”.

Analisi confermata dal Guardian che, sempre il 10 maggio, nell’editoriale Why are people protesting in Sri Lanka? scriveva: “A critical lack of foreign currency has left Sri Lanka struggling to service its ballooning $51bn debt, with the pandemic torpedoing vital revenue from tourism and remittances. There have been unprecedented shortages as a result, with no sign of an end to economic woes. Economists say Sri Lanka’s crisis has been exacerbated by government mismanagement, years of accumulated borrowing and ill-advised tax cuts [...] the foreign exchange shortage forced the government to announce the closure of three of its diplomatic missions in Norway, Iraq and Australia. Three others, in Nigeria, Germany and Cyprus, were shut in January”.

Appare dunque chiaro che le ragioni del baratro in cui rischia di precipitare lo Sri Lanka, che un commento di Nikkey-Asia bollava come “Debt-ridden country’s recent history is a chronicle of default foretold”, non sono figlie della mala sorte, ma del micidiale, perverso intreccio di cattiva politica e pessima amministrazione che il crollo delle entrate del turismo, causato dalla pandemia, ha fatto esplodere senza remissione.

Una verità amaramente sottolineata dal pezzo pubblicato su Indian Express da Raja Menon con il titolo A fatal friendship with Beijing: “Sri Lanka could well have been the country of which a poet said: if there be a heaven on earth it is this (albeit a tropical paradise). But as in paradise, there was a devil with a poisoned apple in the form of Mahinda Rajapaksa, who insisted on a port in his constituency, Hambantota. Against all economic surveys and advice, the port was built, it floundered, and Sri Lanka transferred the land as equity to China for 99 years, reminiscent of the deals struck by the East India Company. From 2012 to 2016 China accounted for 30 percent of all Foreign Direct Investment to Sri Lanka [...] Today the Sri Lanka economy is in complete meltdown with China holding the largest amount of Sri Lanka debt [...] Private banks have run out of funds to finance imports, tourism and remittances have dried up and the country is in crisis”.

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