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Nuovi sviluppi in Libia sul processo di riconciliazione nazionale

Al Cairo si incontrano Menfi, Saleh e Takala, che concordano un percorso verso le elezioni. Permangono dubbi sulle posizioni di Dbeiba e di Haftar. L’analisi di Daniele Ruvinetti

Hussein Eddeb / Shutterstock.com

Le tre maggiori istituzioni della Libia – il Consiglio presidenziale, la Camera dei Rappresentanti e l’Alto Consiglio di Stato – si sono riunite al Cairo per raggiungere la sintesi di un percorso condiviso verso l’istituzione di un governo unitario, che si prefigga lo scopo di portare il paese alle agognate elezioni che mancano dal 2014.

Che l’incontro sia avvenuto nella sede della Lega Araba ha un suo significato. Basti considerare che un tempo la Libia è stato teatro di sfogo per scontri che hanno riguardato anche divisioni all’interno del mondo arabo. Ora le tre istituzioni internazionalmente riconosciute che si muovono nel paese cercano una quadra davanti a una necessità schiacciante: far ripartire lo stato con un ordine istituzionale unitario, che possa produrre l’innesco di un processo di ripresa economica e sociale.

All’opposto, lo stato di stallo prodotto dalle divisioni interne – che tutt’ora in buona parte permangono – sta producendo caos, che si traduce in indebolimento economico (anche legato allo scetticismo delle realtà business internazionali, che non si fidano delle condizioni interne al paese per piazzare nuovi investimenti) e un conseguente depauperamento delle condizioni di vita, che significa tensione sociale e sofferenza per i cittadini.

Lo speaker della Camera dei Rappresentanti, Aguila Saleh, il capo dell’Alto Consiglio di Stato, Mohamed Takala, e il presidente del Consiglio di Presidenza, Mohamed Menfi, hanno “concordato sulla necessità di formare un governo unificato la cui missione è supervisionare il processo elettorale, fornire i servizi necessari ai cittadini e unificare le posizioni sovrane”, si legge in una dichiarazione congiunta diffusa dopo l’incontro nella capitale egiziana.

Nel concreto, questo incontro si è per ora sintetizzato nell’avvio di un percorso che passa dalla cruciale inclusione delle Nazioni Unite, invitate “a sostenere questo consenso per renderlo efficace”, anche appoggiando la creazione di un comitato tecnico che possa lavorare sul metodo, ossia come raggiungere il consenso sul nuovo esecutivo unitario, e contemporaneamente sul merito, ossia sul nome da spendere per guidare il gabinetto che supervisionerà il percorso di voto.

Da qui i problemi, perché vale la pena ricordare che la Libia è di fatto divisa in due: in Tripolitania governa un esecutivo di natura onusiana, che ha fallito nel suo tentativo di portare il paese al voto e ora è di fatto sfiduciato dai libici – sebbene goda di una maggiore apertura dall’HCS – e privo di aspettative da parte della comunità internazionale; in Cirenaica c’è un governo parallelo, in parte sostenuto dal parlamento per interessi condivisi, e in piedi sotto la pressione del controllo militare del generale Khalifa Haftar.

È in quest’ottica che il presidente della Lega Araba, Ahmed Aboul Gheit, ha potuto parlare di un “successo” ben oltre le aspettative a proposito dell’incrocio di volontà che è emerso al Cairo. Sarà il tempo e le necessità dei vari gruppi di interesse a dimostrare quanto questo “successo” potrà concretizzarsi, ma potremmo oggettivamente essere davanti al punto di partenza di un processo di stabilizzazione.

Uno degli step che può essere propedeutico è l’accettazione del percorso da parte del primo ministro tripolino, Abdul Hamid Dbeiba. Nei giorni scorsi si è incontrato con l’inviato onusiano, Abdoulaye Bathily, per parlare degli sviluppi della situazione politica. Un suo passo indietro potrebbe essere effettivamente una presa di responsabilità che apre a una nuova fase.

Certo, ci sono da considerare gli interessi di Dbeiba – e questo rende più complessa la situazione. Il suo ufficio stampa, però, dichiara che il premier intende sostenere gli sforzi delle Nazioni Unite. Da un punto di vista utilitaristico, per Dbeiba potrebbe essere conveniente accettare il flusso e spendere questa sua disponibilità istituzionale nella ricerca di incarichi futuri.

Resta poi il problema Haftar. Il generale di Bengasi è ancora un attore presente e, inoltre, la sua figura rappresenta un pesante collegamento esterno con la Russia. E qui si apre un altro layer di problematiche. La sua milizia ha ricevuto l’appoggio da Mosca tramite l’ex Wagner Gruop, attivo in Libia e in generale in Africa con il nuovo formato che va sotto il nome di “Expeditionary Corps”. C’è dunque una sovrapposizione di interessi: quelli diretti di Haftar e quelli Mosca, che vede nelle postazioni guadagnate in Libia uno snodo logistico fondamentale per l’impegno nel continente africano (che nonostante tutto non sta diminuendo, anzi).

Sul lato dell’influenza esterna, va registrato anche il ruolo della Turchia, attore chiave sul fronte tripolitano, che però è in una fase di maggiore allineamento agli obiettivi egiziani. Il Cairo è attualmente il vettore onusiano sulla crisi, partner delle attività occidentali come quelle italiane, che recentemente sembra aver rotto il legame con Bengasi. Anche per questo l’Egitto ha recuperato un dialogo con Ankara, consapevoli entrambi che lavorando con Onu e comunità internazionale potrebbero ottenere obiettivi di presenza di lunga gittata – mentre tutti vorrebbero la Russia fuori dai giochi.

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