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Perché il Mar Rosso è cruciale per l'Indo-Pacifico

Il canale di Suez e il Mar Rosso sono l'asse talassocratico indispensabile per collegare a livello marittimo l'Oriente con l'Europa. L’analisi di Emanuele Rossi

La centralità del Canale di Suez sta crescendo ulteriormente in questa fase, sia dal punto di vista commerciale che da quello geostrategico globale. Emersa con chiarezza quando lo scorso anno l'incagliamento del super tank "Ever Given" in sei giorni alterò la catena degli approvvigionamenti globali (al costo di 9,6 miliardi di dollari al giorno), ora il chokepoint egiziano diventa ancora più centrale se si pensa che da lì, oltre che il 12 per cento del totale dei commerci marittimi, passa il 10 per cento del petrolio globale e l'8 di gnl.

Cruciale in un momento in cui la guerra in Ucraina ha reso evidente la necessità di sganciamento dalla dipendenza energetica russa per l'Europa: sganciamento che passerà anche per l'acquisto di materie prime come petrolio e gas naturale liquefatto che dovrebbero sfruttare il canale egiziano per i transiti (vedi quelli dal Qatar e resto del Golfo).

Di più: il canale di Suez e il Mar Rosso sono l'asse talassocratico indispensabile per collegare a livello marittimo l'Oriente con l'Europa, e, con le policy occidentali sempre più orientate verso il quadrante indicato come Indo-Pacifico (come testimoniato anche nel viaggio del presidente Joe Biden in Giappone e Corea del Sud), quel tratto di territorio del Mediterraneo allargato assume un'ulteriore centralità. Un ruolo che le strategie di Stati Uniti, Regno Unito e Unione Europea non possono ignorare.

Come detto ai tempi dell'incidente della Ever Given dall'ex consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense John Bolton, "questo [incidente] non riguarda solo la geografia, ma anche i rischi politici più ampi che oggi gravano sul commercio mondiale, che vanno da una nave errante a Suez al confronto con l'enorme sfida politica, militare ed economica della Cina".

Suez ha un'importanza geostrategica evidente anche nel contesto di deterrenza militare prodotto dal crescente confronto tra potenze (che vede da un lato il fronte delle democrazie, Usa e Ue, dall'altro gli autoritarismi come Cina e Russia). Un blocco del canale impedirebbe alle navi militari americane ed europee di scendere verso il Mar Arabico, il Golfo, e in definitiva l'Indo Pacifico – e dunque l'Asia – senza i tempi e i costi della circumnavigazione dell'Africa.

Alla luce di questo, l'Egitto – uno dei principali alleati militari statunitensi extra-Nato – vede accrescere le proprie opportunità per essere integrato in un'ampia, ulteriore cooperazione strategica e geo-economica. Anche perché senza questa integrazione parte della strategia verso est occidentale diventerebbe vulnerabile.

Anche perché Pechino ha individuato in Suez uno dei nodi fondamentali della contro-strategia go-west: non a caso la Cina è il principale investitore del progetto "The Suez Canal Corridor Area Project" che farà della regione del canale un'area produttiva globale (la Cina ha in mente un'ampia gamma di investimenti, dalle auto elettriche alla manifattura, connettendo la Belt & Road Initiative con la Vision 2030 del Cairo).

La visione dell'Indo Pacifico per come è intesa dagli Stati Uniti e in buona parte dagli europei non può prescindere da Suez, dunque. Il canale torna snodo di competizione strategica. È la porta occidentale dell’Indo Pacifico, come dice la geografia stessa, l'imbocco – stretto e dunque pieno di sensibilità.

E tra queste sensibilità c'è quella connessa al terrorismo, con la Wilayath al Sinai che occupa parte della penisola orientale dell'Egitto e costantemente attacca le forze armate del Cairo. Che succederebbe se prendesse di mira, in forma convenzionale o cyber, i passaggi nel Canale (per quanto sorvegliati e fortificati sotto tutti i punti di vista)?

Scendendo di qualche centinaio di chilometri a sud, il punto simmetrico meridionale di Suez, Bab el Mandab, è oggetto delle scorribande degli Houthi, tracciando un asse nord-sud di complicazioni verso l'Indo Pacifico.

Proprio in quelle acque del Mar Rosso meridionale, nei giorni scorsi la fregata della Marina militare italiana “Nave Bergamini” è intervenuta in soccorso di un’imbarcazione attaccata dai pirati. La Bergamini è parte della missione dell’Unione europea Eunavfor-Operazione Atalanta, che combatte la pirateria nella regione.

Tutto è avvenuto al largo della costa yemenita, a sud-est di Hodeidah, un tempo uno degli scali portuali più importanti dello Yemen, dopo Aden. La guerra civile scatenata nel 2015 dal rovesciamento del governo di Sanaa per mano dei ribelli Houthi ha prodotto una moltiplicazione della crisi securitaria nella regione.

La multidimensionalità della minaccia – dal terrorismo alla pirateria fino alla destabilizzazione statuale – segna la complessità dell’area, cruciale per il collegamento Europa-Oriente che attrae l’attenzione di potenze locali e regionali. Un’area geografica su cui tenere gli occhi fissati anche pensando alle instabilità del Corno d’Africa (sponda occidentale di quel continuum geopolitico).

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