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Più vecchi oggi, pochi domani?

Le possibili evoluzioni demografiche globali nell’analisi di Guido Bolaffi

Sulla Terra oggi siamo troppo vecchi e domani, forse, troppo pochi. Queste l’Alfa e l’Omega, o per meglio dire la causa e l’effetto del paradosso demografico per cui mentre nel mondo la popolazione continua a crescere, già si intravvede, all’orizzonte, un suo possibile, precipitoso crollo.

A tale riguardo, va segnalato il magistrale articolo di Dean Spears – studioso del Population Research Center at University of Texas, Austin –, che, sull’inserto del week-end del New York Times di settembre scorso, scriveva: “Children born today will very likely live to see the end of global population growth. A baby born this year will be 60 in the 2080s, when demographers at U.N. expect the size of humanity to peak. And then we shrink. Humanity will not reach a plateau and then stabilize. It will begin an unprecedented decline [...] Over the past 100 years the global population quadrupled, from two billion to eight billion. As long as life continues as it has and if family sizes remained small then in the 22th or 23rd century our decline could be just steep as our rise [...] Population would fall from a peak of around 10 billion to less than two billion over perhaps 10 generations”.

Questo processo – anni addietro definito da Michel Noblecourt “tranquillo” e da Charles C. Mann, più brutalmente, The coming death shortage – ha preso il via all’inizio del Novecento. Con gli abitanti della Terra che nei primi cinquant’anni sono aumentati da 1,6 miliardi a 2,5, nei secondi a 6,5 fino agli 8 di oggi. E nel 2020, per la prima volta nella storia del Pianeta, il numero delle persone di età pari o maggiore di 60 anni superava quello dei bambini da 5 anni in giù.

Una crisi demografica a due facce. O, come si usa dire, due problemi in uno. Per la semplice ragione che oggi si nasce poco perché si muore ancora meno. Tanto è vero che se nel 2017 si contava 1 over 60 ogni 8 abitanti, nel 2030 se ne conterà 1 su 6 e nel 2050 1 su 5.

Una dinamica resa ancor più inquietante dalla velocità con cui il combinato invecchiamento-calo delle nascite dalle regioni ricche ed opulente del Nord si è esteso a quelle del Global South.

Modificando significativamente la geometria della demografia che da piramidale si è fatta cilindrica per il restringimento alla base delle giovani classi di età ed il “rigonfiamento” verso l’alto di quelle anziane.

Oggi, afferma Dean Spears, “Most people live in places with below replacement fertility: Europe crossed the threshold in 1975, China in the early 1990s, Brazil in the early 2000s and India crossed below 2 in its most recent survey. Africa is the only higher-fertility region remaining”.

Un mutamento a diversi stadi ma simultaneo, per capire il quale basta confrontare quanto di recente scriveva, parlando degli USA, Thomas B. Edsll nell’articolo The Red Blue Divide Goes Well Beyond Biden and Trump: “The most important shift here and in other developed countries is the steady decline in the number of prime age workers and the steady growth of the retirement age population”.

E le simili ma non meno preoccupanti previsioni demografiche di due colossi della popolazione quali sono Cina e India.

Nel caso della prima, in aggiunta alle stime di fonte governativa secondo cui “By 2035 an estimated 400 million people in China will be age 60 and over, representing 30% of the population”, va segnalato che l’Accademia delle Scienze Sociali di Shanghai sostiene che “China’s population could be pushed down to 587 million in 2100 [...] That would mean for every 100 working-age Chinese would be 120 elderly people to support”.

Mentre per quanto riguarda l’India, in base all’ultima indagine (2019-2021) sulla condizione delle famiglie condotta dal Ministero delle Politiche Sociali di Delhi, risulta che l’indice di natalità (cioè il numero medio di figli che si calcola una donna avrà nel corso della sua vita) è ormai inferiore a quello richiesto per evitare, sia pur tra decenni, un calo assoluto della popolazione. Non a caso, riferiva in un articolo pubblicato su National Interest il sempre ben informato editorialista Shekhar Gupta: “Minister Nirmala Sitharaman in her budget speech introduced the idea of a special committee to look at the challenge of Indian population growth”.

Al momento non si sa se sia possibile o meno invertire questo pericoloso crinale demografico. Perché, ammettevano Melissa S. Kearney e Phillip B. Lavine nel paper The Causes and Consequences of Declining US Fertility: Countries have attempted policies to mitigate that trend. But the evidence on these pro-natalist policies leads us to conclude that incremental policy responses are unlikely to reverse this trend”.

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