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Sri Lanka, un anno dopo

Continuano le difficoltà economiche e politiche per lo Sri Lanka, a un anno di distanza dalle proteste popolari. Il punto di Guido Bolaffi

Ruwan Walpola / Shutterstock.com

Lo Sri Lanka non riesce a rialzarsi. È infatti passato un anno dalla sanguinosa rivolta popolare culminata, nel marzo 2022, con la cacciata del governo dell’onnipotente dinastia dei Rajapaksas e la nomina di Ranil Wickremasinghe come nuovo Capo dello Stato. Eppure questa meravigliosa isola - nei secoli antecedenti l’indipendenza del 1948 segnata dalle carte geografiche col nome di Ceylon - continua a brancolare nel buio e nell’incertezza più assoluti.

Una situazione emblematicamente fotografata dalla tortuosa vicenda del prestito di 2,9 miliardi di dollari messo a disposizione dal Fondo Monetario Internazionale già nel settembre del 2022. Ma rimasto bloccato fino a pochi giorni fa a causa dell'impossibilità delle autorità di Colombo di superare il niet del governo cinese alla ristrutturazione del suo stratosferico debito con l’estero. Come invece richiesto dal FMI prima di procedere alla sua erogazione. Solo ai primi di marzo di quest’anno, infatti, una nota del Presidente Wickremasinghe rendeva finalmente noto che “Key creditor China had offered new assurance on Sri Lanka’s debt seen as key stumbling block toward winning the IMF assistance [...] The President expects an IMF green light either in the third or fourth week of March”.

Un passo forse importante per evitare al paese di precipitare nel default finanziario con l’estero, ma non per alleviare le condizioni di vita della popolazione. Come testimonia il reportage “Sri Lanka says IMF aid in reach after year of anger, hunger and fear” di Munza Mushtaq, “IMF support would not mean immediate relief for average Sri Lankas hit by a 66% electricity tariff hike in February, on top last year’s 75% and new income taxes as high as 36%. Last week, the central bank raised its key interest rates again to try to curb inflation hovering around 50%, while public-sector workers stormed out of hospitals, banks and ports to protest the cost of living. A just-released survey by Save the Children indicated that half of Sri Lankan families have been forced to reduce the amount they feed their kids. At the same time, IMF bailout would not ease simmering anxiety over the future of democracy in the nation of 22 million”.

La verità è che il duro programma di austerity propugnato dal Wickremasinghe dopo gli sperperi fatti per lunghi anni dai Rajapaksas per risanare il disastrato bilancio statale di un paese con un sistema fiscale tra i meno efficienti del mondo è stato accolto, per usare un eufemismo, con sospettosa ostilità dai partiti dell’opposizione e di larghi settori della pubblica opinione. Per due ragioni.

La prima: gli antichi, ambigui legami politici di Wickremasinghe con il vecchio partito dei Rajapaksa, lo Sri Lanka Podujana Peramuna Party. Tanto è vero che, scriveva nel succitato articolo Munza Mushtaq, “Wickremasinghe was not exactly popular - he lost in the 2020 parliamentary election and only kept a seat thanks to a bonus system - but has alienated many citizens by repeatedly deploying security forces to keep a lid on protests earning the nickname Ranil Rajapaksa”.

La seconda: molti srilankesi, a fronte dei pesanti sacrifici loro richiesti, non hanno percepito, nonostante l’arrivo della nuova nomenclatura, sostanziali mutamenti nella corrotta e poco efficiente infrastruttura politico-istituzionale del paese. Che sui 180 della classifica stilata nel 2022 dal Transparency International’s Corruption Perceptions Index occupa il posto 101.

Tanto è vero che, spiegava la costituzionalista Bhavani Fonseca, “last year’s protests resulted in regime change but did not follow through on demands for reform of the entire system […] Long-term transformation requires institutional-building, education and a dismantling of the big-money politics that created this economic and political crisis”.

Un’ostilità politica ulteriormente aggravata dalla decisione del Presidente Wickremesinghe, da molti bollata come un’inaccettabile scusa, di rinviare a tempo indeterminato le elezioni regionali ormai alle porte. Nonostante il parere opposto della Corte Suprema di Giustizia usando l’argomentazione, queste le sue testuali parole, “The country cannot afford the estimate 10 billion rupees it will take to hold them”.

Una mossa giudicata dal politologo dell’Università di Colombo Jayadeva Uyangoda gravida di pericolose, imprevedibili conseguenze: “It could mark the beginning of a very serious crisis [...] The present political class, beneficiaries of a corrupt and ineffective system of governance, needs to be substantially reformed or replaced”.

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