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Tra Teheran e Riyadh c’è di mezzo Pechino

Lo scorso 10 marzo, l’Iran e l’Arabia Saudita hanno sottoscritto un accordo per il ripristino, a sette anni di distanza dalla loro interruzione, delle relazioni diplomatiche. Il ruolo cinese nell’accordo e le prospettive per la regione.

Lo scorso 10 marzo, l’Iran e l’Arabia Saudita hanno sottoscritto un accordo per il ripristino, a sette anni di distanza dalla loro interruzione, delle relazioni diplomatiche. Potrebbe trattarsi dello sviluppo più significativo nella regione dopo gli Accordi di Abramo (2020). Possibile preludio di un nuovo processo di distensione regionale tra i due rivali per antonomasia nello scenario politico mediorientale, la normalizzazione dei rapporti bilaterali tra Teheran e Riyadh ha acceso i riflettori anche su un terzo attore: la Cina. La fotografia che immortala il Direttore della Commissione per gli Affari Esteri del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, Wang Yi, a fianco del Ministro di Stato e Consigliere per la sicurezza nazionale saudita, Musaad bin Mohammed Al-Aiban, e del Segretario del Supremo Consiglio per la Sicurezza Nazionale dell’Iran, Ali Shamkhani, è l’immagine simbolo della cerimonia di firma dell’accordo che ha avuto luogo a Pechino, e del successo diplomatico della Cina.

Il nuovo ruolo cinese

Quanto concordato dai rappresentanti iraniani e sauditi nella capitale cinese ha definito il primo, storico, avvenimento nella regione senza un ruolo degli Stati Uniti. Tale aspetto non deve essere sottovalutato se si considera come il Medio Oriente e, nello specifico, la regione del Golfo, stia acquisendo una progressiva centralità strategica nel contesto della crescente competizione sino-americana e della guerra in Ucraina. Sotto tale ottica, il traguardo politico e mediatico raggiunto dalla leadership di Pechino nel negoziare l’accordo tra Teheran e Riyadh, così come la proposta del governo di ospitare, entro la fine del 2023, un summit tra l’Iran e i paesi membri del GCC a favore del processo di de-escalation regionale, rappresenterebbero la prova tangibile di una nuova, più proattiva, politica estera cinese su scala internazionale, non più ascrivibile alla sola logica di proiezione economico-finanziaria del paese.

Benché risulti improbabile che, nel breve-medio periodo, la Cina subentri agli Stati Uniti come nuovo security provider nell’area mediorientale, l’eventuale realizzazione del vertice Iran-GCC, così come la possibilità che Pechino espanda la propria proiezione militare nella regione mediorientale attraverso l’eventuale costruzione di nuove basi, lascerebbero comunque intendere l’intenzione della Cina di sfidare la leadership americana nel dominio della sicurezza nel quadro della nuova “Iniziativa di Sicurezza Globale” (2023) – la cornice teorico-concettuale della visione cinese del mondo. La Cina sta assumendo un ruolo più attivo nell'affrontare questioni globali “di alto profilo”, come dimostrato anche dalla proposta di 12 punti presentata dal paese per portare Russia e Ucraina al tavolo negoziale.

Inoltre, grazie al consolidamento dei rapporti diplomatici con i principali attori mediorientali e all’ampliamento della cooperazione bilaterale su settori strategici di mutuo interesse, la Cina si è progressivamente affermata come un rilevante interlocutore in un Medio Oriente sempre più diversificato in termini di alleanze e partnership. Il fatto stesso che Pechino abbia assunto il ruolo di broker in un dossier così spinoso come quello tra l’Iran e l’Arabia Saudita non può essere scisso dalle ottime relazioni instaurate dalla Repubblica Popolare Cinese sia con Teheran che con Riyadh. Oltre a confermarsi come primo partner commerciale di tutti e due i paesi (benché vi sia un sbilanciamento economico di Pechino in favore del Regno saudita), è importante sottolineare come la Cina abbia elevato i rapporti bilaterali con entrambi i governi al rango di Comprehensive Strategic Partnership nel 2016.

Nell’offrire garanzie e supporto ad entrambe le parti, la Cina ha contribuito in maniera significativa alla conclusione dei tavoli negoziali (nel Joint Trilateral Statement è stato, tuttavia, ricordato l’importante ruolo di mediazione dell’Iraq e dell’Oman nel quadro dei Baghdad Talks). Tra i vari punti dell’accordo si annoverano un imminente incontro tra i Ministri degli Affari Esteri iraniano e saudita; la riapertura delle rispettive ambasciate e missioni diplomatiche entro i prossimi due mesi; il ripristino dell’accordo di collaborazione multisettoriale (1998) e di cooperazione in tema di sicurezza (2001). Tuttavia, sarà il tema della sovranità territoriale e della non interferenza negli affari interni a costituire il fondamento per il successo o meno dell’accordo, e per il raggiungimento di progressi tangibili tra i due paesi.

Sebbene il processo di distensione regionale degli ultimi tre anni – dagli Accordi di Abramo (2020) a quelli di Al-Ula (2021), passando per la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra gli Emirati Arabi Uniti (EAU) e l’Iran e il riavvicinamento degli EAU e dell’Arabia Saudita con la Turchia (2022) – lasci intendere il forte interesse da parte dei paesi del Golfo nel voler ridurre al minimo le tensioni intraregionali, è opportuno volgere lo sguardo anche alle variabili interne per poter comprendere appieno gli incentivi sottostanti l’avvicinamento diplomatico tra Teheran e Riyadh. Priorità nazionali ed esigenze di carattere securitario risultano tra i principali drivers del ripristino delle relazioni bilaterali tra i due paesi.

Il punto di vista di Teheran

Le sfide domestiche hanno giocato un ruolo significativo nel nuovo processo di distensione dell’Iran verso l’Arabia Saudita. Di fronte alla prospettiva di un isolamento diplomatico e di sanzioni occidentali permanenti (fattori determinanti: il collasso dei negoziati sul nucleare; la brutale repressione dei manifestanti; il supporto tecnico-militare fornito da Teheran alla Russia nella guerra in Ucraina), l'Iran sta guardando al Golfo e all'Asia come partner commerciali privilegiati. Non è un caso che il Presidente Ebrahim Raisi abbia presentato l’accordo con Riyadh come un importante successo della politica estera iraniana, incentrata sul miglioramento dei rapporti con i vicini arabi e orientata al “Looking to the East”. La tempistica della ripresa dei colloqui con l’Arabia Saudita deve essere ricondotta, in ultima istanza, anche all’affievolirsi del movimento di protesta popolare contro il regime e, conseguentemente, all’attenuarsi delle accuse contro l’ingerenza saudita negli affari interni del paese.

Non si registra, invece, alcun sviluppo sostanziale in merito al processo negoziale per il ripristino dell’accordo sul nucleare iraniano (JCPOA) – ancora in una fase di stallo. La possibilità che il JCPOA venga rilanciato nel breve-medio termine risulta minima, a causa dell’assenza di una concreta volontà politica – sia da parte iraniana che statunitense – di superare lo status quo del “no deal, no crisis”. La brutale repressione delle proteste interne al paese e la scelta di Teheran di schierarsi a fianco della Russia nel conflitto in Ucraina hanno, infatti, spostato il focus occidentale e reso il rilancio dell’accordo politicamente “poco attraente”. Al contempo, l’apparente riluttanza dell’Iran nell’ammorbidire la propria posizione sulle principali questioni di disaccordo tra le due parti è un ulteriore ostacolo a un effettivo superamento dell’impasse negoziale. Nemmeno la recente visita, a Teheran, del Direttore Generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), Rafael Grossi, ha prodotto un risultato concreto per il rilancio del tavolo negoziale. A tale riguardo, sebbene le relazioni tra l’Iran e l’AIEA siano leggermente migliorate, il dossier sul programma iraniano di alto arricchimento dell’uranio – ultima, la scoperta di tracce di uranio arricchito all’83,7% – rimane tuttora irrisolto.

Il ruolo in ascesa dell’Arabia Saudita

L’allentamento delle tensioni con l’Iran riflette l’approccio pragmatico della politica estera saudita, incentrata sulla salvaguardia della sicurezza nazionale, nonché sulla creazione di un ambiente regionale stabile e sicuro per lo sviluppo economico del Regno nel quadro della Vision 2030 La fine della guerra civile in Yemen – che negli ultimi anni ha portato a innumerevoli attacchi missilistici Houthi sul suolo saudita – figura tra le priorità dell’agenda nazionale del paese, mentre il rischio di uno scenario no-deal con un Iran “nuclearizzato” e la potenziale escalation di tensioni tra Teheran e Tel Aviv rimangono tra le principali preoccupazioni della leadership saudita. Di fronte a un mutato contesto internazionale; alla percezione del progressivo ritiro statunitense dalla regione mediorientale; e al fallimento della diplomazia occidentale vis à vis l’Iran, l’Arabia Saudita, seguendo l’esempio di altri attori regionali, sta optando per un processo di diversificazione dei propri partner, e, al contempo, di apertura verso attori critici per la propria sicurezza, quali l’Iran. Seguendo tale logica, il rinnovo delle relazioni con Teheran non rappresenta di per sé un ostacolo a una possibile normalizzazione dei rapporti diplomatici con Tel Aviv. Su quest’ultimo aspetto, saranno le considerazioni del Regno in merito al rapporto con Washington, alla questione palestinese e all’implementazione dell’Arab Peace Initiative, nonché al ruolo rivestito dal paese come Custode delle due Sacre Moschee a condizionare l’eventuale distensione saudita verso Israele.

Il contesto globale sempre più mutevole sta, inoltre, offrendo all’Arabia Saudita ampi margini di manovra per rafforzare la propria influenza su scala internazionale. Difatti, lo scoppio della guerra in Ucraina e la crisi energetica da essa innescata hanno dato nuova centralità strategica al paese del Golfo. La serie di visite ufficiali di alcuni leader occidentali in Arabia Saudita, inclusa quella del Presidente statunitense Joe Biden a Gedda (luglio 2022), e l’arrivo del Presidente cinese Xi Jinping a Riyadh (dicembre 2022) testimoniano il nuovo protagonismo saudita. A tale riguardo, il cambiamento più significativo concerne la posizione neutrale assunta dal paese nei confronti sia della guerra in Ucraina che del braccio di ferro tra Washington e Pechino. La consacrazione del partenariato strategico con la Cina; la scelta di non imporre un regime sanzionatorio contro la Russia e di mantenere, al contempo, aperti i canali di comunicazione con Kiev; la decisione, in sede OPEC+, di non assecondare le richieste del tradizionale partner statunitense e di tagliare la produzione di due milioni di barili al giorno (ottobre 2022) lasciano sottintendere il nuovo percorso di politica estera del Regno e la sua ambizione a giocare un ruolo di primo piano nei principali teatri di crisi regionali e internazionali.

Prospettive future

La complessità delle sfide inerenti alle relazioni bilaterali tra l’Iran e l’Arabia Saudita, e le profonde divergenze ideologiche rappresentano il principale ostacolo al superamento della sfiducia e dell’incomprensione reciproca tra i due paesi e all’instaurazione di un dialogo realmente costruttivo. Un miglioramento delle relazioni saudite-iraniane dipenderà, pertanto, dalla capacità di Teheran e di Riyadh di contenere escalation di tensioni nei principali spot di conflitto, in cui permangono interessi divergenti. Teatri di guerra per procura, quali quello yemenita, siriano, libanese, o iracheno, rappresenteranno il primo vero banco di prova per la materializzazione dei buoni propositi enunciati nel Joint Trilateral Statement.

Dinanzi a dossier così critici e dalle profonde implicazioni securitarie (v. nucleare iraniano), è inoltre lecito interrogarsi – un quesito a cui difficilmente si potrà dare una risposta nel breve termine – sull’effettiva volontà politica della Cina nel farsi garante dell’accordo, correndo il rischio di lasciarsi “trascinare”, laddove i termini dell’intesa vengano meno, in dinamiche conflittuali svantaggiose per i propri interessi nazionali.

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