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Tunisia: i rischi di uno shock finanziario

Il rischio di una grave crisi finanziaria incombe sulla Tunisia. L’analisi di Alessandro Giuli

Ai fattori d’instabilità che affliggono la Tunisia si aggiunge da ultimo lo spettro d’uno shock finanziario relativo al debito sovrano. Un allarme generale proviene infatti dagli indicatori economici principali dello Stato guidato dal presidente Kaïs Saïed, che nel luglio scorso ha sciolto il Parlamento e “congelato” la Carta preannunciando una “transition roadmap” per condurre il paese al referendum costituzionale fissato per il 25 luglio 2022 e alle successive elezioni legislative programmate per il 17 dicembre 2022. Con un debito pubblico stimato all’82,6% del Pil e la necessità urgente di finanziarsi sui mercati ben al di là del prestito di 100 milioni di euro appena concesso dalla Germania per la riforma del settore bancario e finanziario, su Tunisi incombono nell’ordine:

  • l’immobilismo del Fondo monetario internazionale che attende una svolta politico-istituzionale concreta prima di riaprire i cordoni della sua borsa;
  • i contenuti del recentissimo report stilato dall’agenzia di rating americana Moody’s, che già nell’ottobre scorso aveva declassato il debito sovrano tunisino da “B3” a “Caa1” inserendo la nazione nordafricana nella categoria dei Paesi a forte rischio, e che adesso prefigura esplicitamente l’imminente, drammatica difficoltà di rifinanziamento del debito sovrano sui mercati in assenza di “riforme chiare e profonde” nonché di ristrutturazioni nel sistema di sovvenzionamento delle imprese pubbliche;
  • le previsioni appena pubblicate dalla Banca Mondiale, secondo le quali la ripresa economica tunisina di fronte alla crisi provocata dal Covid-19 dovrebbe essere assai lenta con una crescita del 3% nel 2021 (inferiore alle aspettative) e un tasso di disoccupazione del 18,4% (in aumento di tre punti) particolarmente concentrato nella zona occidentale, nelle fasce giovanili e fra le donne. L’inflazione veleggia intorno al 6,6%. Il deficit si è attestato al 7,6% nell’anno trascorso e difficilmente potrà scendere fino al 5% nel biennio 2022-2023 come da programma. Quanto al debito pubblico sopra citato, aumentato di un terzo rispetto al 52% del Pil nel 2015, la Banca Mondiale sottolinea che la maggior parte dei crediti sono detenuti all’estero e ciò rende ancora più stringente la necessità di un accordo con il FMI per ottenere uno scudo adeguato sui mercati finanziari dal valore di circa 4 miliardi di dollari. Tra i fattori di debolezza, si individuano soprattutto gli effetti della pandemia che ha ristretto drasticamente la mobilità degli individui a causa delle severissime restrizioni sociali adottate e che hanno duramente colpito il settore del turismo. Ma l’impatto esogeno è reso più acuto da cause endogene cronicizzatesi nel tempo in una struttura economica rigida, poco reattiva, inadatta alla riallocazione di risorse infra o inter-settoriali e al rimpiazzamento delle imprese fallite da parte di nuove attività. Pesa su tale quadro un sistema iper-regolatorio nel settore dei beni e dei servizi, essendo lo Stato-imprenditore in una condizione dominante e poco permeabile allo sviluppo della concorrenza. I governi che si sono succeduti dal 2011 a oggi, nel precario arco temporale che ha tenuto dietro alla stagione delle Primavere arabe, non sono riusciti, se non in forma parziale, a realizzare un programma di riforme adeguate tali da attrarre investimenti internazionali e aumentare sia l’occupazione sia il potere d’acquisto dei salariati.

Infine, ma non certo in coda alle urgenze, come segnalato non senza una punta di scetticismo dal Financial Times, Tunisi sconta come prioritario elemento di vulnerabilità le condizioni instabili provocate da una torsione autocratica cui non ha fatto riscontro un solido piano per far fronte al deterioramento delle condizioni di vita generali: “Più i problemi economici resteranno inevasi, più la popolarità di Saïed si eroderà rapidamente e maggiore sarà il rischio di vedere le frustrazioni del popolo tunisino debordare. Un ritorno a una dittatura sul modello di Ben Ali, in assenza di contropoteri, non farebbe che esacerbare le cose. Saïed deve rimettere la Tunisia su una via chiara che conduca alla democrazia e concentrare le sue energie sulla lotta contro i malanni economici…”.

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