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Kenya: report di giugno 2024

Nel contesto della guerra in Sudan, le RSF del generale Hemedti hanno stretto la loro morsa sulla città di El-Fasher. Capitale della regione del Darfur Occidentale, questo centro abitato ricopre una particolare rilevanza strategica e identitaria per l’inerzia del conflitto. Sul piano strategico El-Fasher rappresenta l’ultimo avamposto in mano alle forze regolari delle SAF nella regione e, di conseguenza, la sua conquista garantirebbe ai paramilitari di Hemedti il controllo dell’intera regione, con la possibilità di creare una entità autonoma a livello geopolitico. Secondo alcune fonti, la conquista della regione rafforzerebbe anche la catena logistica delle RSF, poiché verrebbero messe in sicurezza le linee di rifornimento provenienti dalla Libia orientale e dal Ciad. A livello identitario, invece, El-Fasher è stato già epicentro del genocidio del Darfur e il timore della comunità internazionale è che la riconquista del centro abitato possa aprire la strada nuovamente alla pulizia etnica. Le tattiche utilizzate dalle RSF per la conquista della città non lasciano spazio a dubbi al riguardo. I bombardamenti delle strutture sanitarie sono diventati costanti e le sofferenze della popolazione civile sono tali da aver spinto il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a varare una risoluzione che chiede una tregua umanitaria nel contesto dell’offensiva. Nonostante le notizie provenienti da El-Fasher, le forze armate regolari non sembrano per il momento intenzionate a focalizzare i loro sforzi nella riconquista del Darfur. Le SAF continuano, invece, a mobilitare il grosso di uomini e mezzi verso la città di Omdurman – principale via per la riconquista della capitale Khartoum – che garantirebbe, nei piani di Al-Burhan, il pieno e totale riconoscimento del Consiglio Sovrano come solo governo legittimo del paese. In questo contesto, le forze regolari puntano a capitalizzare sui rifornimenti di armi russe che dovrebbero arrivare a Port Sudan nelle prossime settimane a seguito all’accordo concluso con Mosca per la concessione di un porto nelle acque del Mar Rosso. Nel frattempo, l’ONU ha riconosciuto ufficialmente il Sudan come area interessata da una grave crisi alimentare.

Giugno è stato anche il mese delle proteste in Kenya. Dopo settimane di manifestazioni contro il governo di William Ruto il bilancio è di più di 200 arrestati, 24 morti e decine di feriti. Le dimostrazioni guidate dalla Gen Z keniota chiedevano la cancellazione della legge finanziaria proposta dal governo di William Ruto, che prevedeva un sostanzioso aumento delle imposte, tra cui quelle riguardanti l’aumento dei carburanti e le transazioni digitali. Le manifestazioni sono culminate con l’assalto al parlamento keniota del 25 giugno, quando i manifestanti hanno sfondato il cordone di sicurezza delle forze dell’ordine e occupato alcune sezioni dell’edificio per diverse ore, prima di essere sgomberati. Le manifestazioni hanno visto anche un uso diffuso della violenza da parte delle forze dell’ordine, che in alcuni casi hanno aperto il fuoco sulla folla, provocando una dura condanna da parte della comunità internazionale. In questo contesto, il potere giudiziario keniota ha preso posizione contro l’uso della forza da parte della polizia, con l’apertura di alcune inchieste contro le forze di sicurezza. Ruto ha dapprima cercato di placare gli animi, riconoscendo le ragioni delle proteste e dichiarandosi pronto a lavorare con i suoi oppositori. Successivamente, il presidente ha definito i manifestanti “giovani ricchi e annoiati, se non addirittura criminali”. Ruto ha quindi dispiegato l’esercito a difesa dei principali edifici statali, mentre il resto della comunità internazionale (USA in testa) ha fatto pressioni sull’esecutivo affinché cessasse la repressione violenta delle manifestazioni e ascoltasse le ragioni della piazza. Ruto ha quindi ritirato la proposta di legge finanziaria, lasciando insoluto il dilemma dei conti pubblici. Infatti, considerato lo stato attuale delle finanze keniote, il governo dovrà trovare in tempi brevi liquidità aggiuntiva per le casse dell’erario. Si tratta di un prerequisito imprescindibile per lo sblocco degli aiuti del Fondo Monetario Internazionale. Nel frattempo, la mobilitazione va avanti con i manifestanti che, galvanizzati dal ritiro della legge di bilancio, adesso chiedono le dimissioni del presidente.

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