Nel contesto della guerra in Sudan, le RSF del generale Hemedti hanno stretto la loro morsa sulla città di El-Fasher. Capitale della regione del Darfur Occidentale, questo centro abitato ricopre una particolare rilevanza strategica e identitaria per l’inerzia del conflitto. Sul piano strategico El-Fasher rappresenta l’ultimo avamposto in mano alle forze regolari delle SAF nella regione e, di conseguenza, la sua conquista garantirebbe ai paramilitari di Hemedti il controllo dell’intera regione, con la possibilità di creare una entità autonoma a livello geopolitico. Secondo alcune fonti, la conquista della regione rafforzerebbe anche la catena logistica delle RSF, poiché verrebbero messe in sicurezza le linee di rifornimento provenienti dalla Libia orientale e dal Ciad. A livello identitario, invece, El-Fasher è stato già epicentro del genocidio del Darfur e il timore della comunità internazionale è che la riconquista del centro abitato possa aprire la strada nuovamente alla pulizia etnica. Le tattiche utilizzate dalle RSF per la conquista della città non lasciano spazio a dubbi al riguardo. I bombardamenti delle strutture sanitarie sono diventati costanti e le sofferenze della popolazione civile sono tali da aver spinto il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a varare una risoluzione che chiede una tregua umanitaria nel contesto dell’offensiva. Nonostante le notizie provenienti da El-Fasher, le forze armate regolari non sembrano per il momento intenzionate a focalizzare i loro sforzi nella riconquista del Darfur. Le SAF continuano, invece, a mobilitare il grosso di uomini e mezzi verso la città di Omdurman – principale via per la riconquista della capitale Khartoum – che garantirebbe, nei piani di Al-Burhan, il pieno e totale riconoscimento del Consiglio Sovrano come solo governo legittimo del paese. In questo contesto, le forze regolari puntano a capitalizzare sui rifornimenti di armi russe che dovrebbero arrivare a Port Sudan nelle prossime settimane a seguito all’accordo concluso con Mosca per la concessione di un porto nelle acque del Mar Rosso. Nel frattempo, l’ONU ha riconosciuto ufficialmente il Sudan come area interessata da una grave crisi alimentare.
Giugno è stato anche il mese delle proteste in Kenya. Dopo settimane di manifestazioni contro il governo di William Ruto il bilancio è di più di 200 arrestati, 24 morti e decine di feriti. Le dimostrazioni guidate dalla Gen Z keniota chiedevano la cancellazione della legge finanziaria proposta dal governo di William Ruto, che prevedeva un sostanzioso aumento delle imposte, tra cui quelle riguardanti l’aumento dei carburanti e le transazioni digitali. Le manifestazioni sono culminate con l’assalto al parlamento keniota del 25 giugno, quando i manifestanti hanno sfondato il cordone di sicurezza delle forze dell’ordine e occupato alcune sezioni dell’edificio per diverse ore, prima di essere sgomberati. Le manifestazioni hanno visto anche un uso diffuso della violenza da parte delle forze dell’ordine, che in alcuni casi hanno aperto il fuoco sulla folla, provocando una dura condanna da parte della comunità internazionale. In questo contesto, il potere giudiziario keniota ha preso posizione contro l’uso della forza da parte della polizia, con l’apertura di alcune inchieste contro le forze di sicurezza. Ruto ha dapprima cercato di placare gli animi, riconoscendo le ragioni delle proteste e dichiarandosi pronto a lavorare con i suoi oppositori. Successivamente, il presidente ha definito i manifestanti “giovani ricchi e annoiati, se non addirittura criminali”. Ruto ha quindi dispiegato l’esercito a difesa dei principali edifici statali, mentre il resto della comunità internazionale (USA in testa) ha fatto pressioni sull’esecutivo affinché cessasse la repressione violenta delle manifestazioni e ascoltasse le ragioni della piazza. Ruto ha quindi ritirato la proposta di legge finanziaria, lasciando insoluto il dilemma dei conti pubblici. Infatti, considerato lo stato attuale delle finanze keniote, il governo dovrà trovare in tempi brevi liquidità aggiuntiva per le casse dell’erario. Si tratta di un prerequisito imprescindibile per lo sblocco degli aiuti del Fondo Monetario Internazionale. Nel frattempo, la mobilitazione va avanti con i manifestanti che, galvanizzati dal ritiro della legge di bilancio, adesso chiedono le dimissioni del presidente.
Il Kenya guida la trasformazione tecnologica, promuovendo inoltre l’inclusione sociale ed economica attraverso le innovazioni digitali.
Mentre nel paese non si esaurisce l’onda di proteste contro il governo, aumenta il rischio di una destabilizzazione interna, che potrebbe avere risvolti anche oltre il continente africano. Il punto di Daniele Ruvinetti
La visita del capo del Quirinale in Kenya arriva in un momento storico in cui tutti gli occhi del mondo sono puntati sulla regione. Tra simbolico e pratico, così il viaggio del Presidente rimette l’Africa al centro della politica estera italiana.
Capo di stato | William Ruto |
Capo del Governo | Dal 2013 la figura del presidente coincide con il capo del governo |
Forma Istituzionale | Repubblica Presidenziale |
Capitale | Nairobi |
Potere Legislativo | Parlamento bicamerale (Assemblea Nazionale, 350 seggi – Senato 68 seggi) |
Potere Giudiziario | Corte Suprema (7 giudici) |
Ambasciatore in Italia | Frederick Lusambili Matwan'ga |
Area Totale | 580.000 km2 |
Terra | 569.000 km2 |
Clima | Tropicale lungo le coste, arido nelle zone interne |
Risorse Naturali | Calcare, sodio, sale, pietre preziose, zinco, gesso, diatomite, energia idroelettrica |
Sintesi Economica | Il Kenya rappresenta il principale hub economico, finanziario e dei trasporti dell’Africa Orientale. Il settore principale rimane l’agricoltura, seguito dal turismo. A fronte di una crescita media del PIL di circa il 5% annuo, l’economia keniota presenta alcuni gravi problemi che ne limitano lo sviluppo, in particolare alti livelli di disoccupazione, diffusa corruzione e mancanza di infrastrutture. Il Kenya è anche spesso vittima di attentati terroristici. |
Pil | $110 miliardi (Dic 2021) |
Pil pro capite (Parità di potere di acquisto) | $1643 (Dic 2021) |
Esportazioni | $11,5 miliardi (2019) |
Export partner | Uganda 10%, Stati Uniti 9%, Paesi Bassi 8%, Pakistan 7%, Regno Unito 6%, Emirati Arabi Uniti 6%, Tanzania 5% (2019) |
Importazioni | $10,4 miliardi (2019) |
Import partner | Cina 24%, Emirati Arabi Uniti 10%, India 10%, Arabia Saudita 7%, Giappone 5% (2019) |
Interscambio con l'Italia | $234 milioni (2021) |
Popolazione | 55 milioni (2022) |
Tasso di crescita della popolazione | +2,12% (2022) |
Etnie | Kikuyu 17,1%, Luhya 14,3%, Kalenjin 13,4%, Luo 10,7%, Kamba 9,8%, Somali 5,8%, Kisii 5,7%, Mijikenda 5,2%, Meru 4,2%, Maasai 2,5%, Turkana 2,1% |
Lingue | Inglese e Kiswahili (ufficiali), parlate anche numerose lingue indigene |
Religione | Cristiani 85,5% (prevalentemente protestanti, cattolici ed evangelici), musulmani 10,9%. |
Urbanizzazione | 29 % (2022) |
Alfabetizzazione | 81,5 % |
Il Kenya è indipendente dal 1963, in seguito al processo di decolonizzazione dell’Africa orientale inglese. È attraversato dall’equatore e confina a nord con l’Etiopia, a nord-ovest con il Sudan del Sud, ad ovest con l’Uganda, a sud con la Tanzania e ad est con la Somalia. A sud-est è bagnato dall’Oceano Indiano. La popolazione ammonta a 55 milioni di abitanti circa; le lingue ufficiali sono lo swahili e l’inglese.
Il Kenya ha ottenuto un livello di stabilità politica e di sviluppo economico rilevante, diventando l’hub economico della regione. Inoltre, Nairobi ha svolto un prezioso ruolo di mediazione col fine di ricomporre le crisi nei paesi territorialmente contigui, come ad esempio in Somalia, in Sudan e, recentemente, in Etiopia. Proprio la complessa situazione nel sud della Somalia, dove al-Shabāb conduce la maggior parte delle sue attività terroristiche, è la principale fonte di preoccupazione per il Kenya, in quanto nel paese si percepisce un serio e costante rischio di spillover. Dal 2012 il Kenya è uno dei principali contributori dell'AMISOM, la missione di stabilizzazione dell'Unione africana in Somalia.
Sebbene ancora condizionata da una grave povertà, l'economia del Kenya può essere considerata la più grande e sviluppata dell'Africa orientale e centrale. Negli ultimi anni il commercio globale tra il Kenya e l'Italia è stato caratterizzato da un forte squilibrio a favore di quest'ultima. Le esportazioni italiane verso il Kenya comprendono: aerei, macchinari industriali, prodotti chimici, alimentari ed elettrodomestici. Le esportazioni del Kenya verso l'Italia comprendono: pelli e cuoio; frutta e verdura; piante, bulbi e fiori da taglio. L'Italia ha inoltre investito massicciamente nel settore del turismo.
Le relazioni tra Italia e Kenya sono più che positive. La comunità italiana in Kenya è la seconda più grande nell’Africa sub-sahariana. Nel 2006, Italia e Kenya hanno sottoscritto un accordo di riconversione del credito, in forza del quale sono stati avviati numerosi progetti a sostegno di quelle fasce di popolazione che versano nelle condizioni più critiche.