Il mese di luglio è stato caratterizzato da un ulteriore allargamento delle linee di faglia della regione. Nell’ambito della guerra in corso in Sudan, il mese si è aperto con l’aggravamento della crisi diplomatica tra Ciad e Sudan, con il Consiglio Sovrano guidato da Al-Burhan che ha deciso di richiamare in patria il proprio ambasciatore in servizio a N’Djamena. L’episodio rappresenta un nuovo apice dell’escalation diplomatica tra i due stati, con i vertici delle SAF che accusano il Ciad di supportare le RSF del generale Hemedti tramite il supporto emiratino. Già a dicembre, il governo di N’Djamena aveva espulso quattro diplomatici sudanesi, mentre Khartoum aveva risposto con un provvedimento analogo contro tre diplomatici ciadiani. Queste accuse sono state mosse anche di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel marzo scorso, quando il rappresentante permanente del Sudan alle Nazioni Unite, Al-Harith Idris, ha accusato il Ciad di essere la principale linea di rifornimento per le RSF. L’accusa agli EAU appare utile per giustificare l’andamento deludente delle proprie iniziative nel Darfur e nelle regioni occidentali del paese, dove le RSF hanno preso il sopravvento, ma comunque fa salire il livello di instabilità ben oltre la soglia di guardia.
La crisi diplomatica va avanti sullo sfondo della più grande crisi umanitaria sul pianeta. Per questo motivo, le Nazioni Unite hanno ospitato a Ginevra, sul finire del mese, il convegno sulla protezione dei civili, un’iniziativa nata su impulso dell’inviato speciale ONU per il Sudan, Ramtane Lamamra. Ufficialmente, il vertice è stato finalizzato esclusivamente alla discussione della crisi umanitaria in corso nel paese, con la possibilità di negoziare dei cessate il fuoco circoscritti e finalizzati esclusivamente all’afflusso di aiuti umanitari verso il paese. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, però, nel lodare l’iniziativa, non ha nascosto la speranza che questi “negoziati di prossimità” possano comunque favorire una de-escalation nel paese. Speranze che si scontrano contro la postura di entrambi i belligeranti, che per il momento non mostrano alcuna intenzione di considerare la soluzione diplomatica al conflitto. Tra boicottaggi, critiche e aut-aut, l’iniziativa di mediazione onusiana sembra destinata a fallire proprio come la piattaforma di Gedda supportata da USA e Arabia Saudita e quelle tentate da IGAD e Unione Africana.
A fianco all’iniziativa onusiana, il mese è stato caratterizzato dalla timida ripresa del dialogo tra Al-Burhan e gli Emirati Arabi Uniti. Grazie alla mediazione del primo ministro etiope, Abiy Ahmed, il leader delle SAF ha avuto un colloquio telefonico con il presidente degli EAU, Bin Zayed, a quasi un anno dal loro ultimo colloquio. Al-Burhan ha rinnovato le accuse agli Emirati di supportare le RSF di Hemedti, mentre a quanto si apprende, Bin Zayed ha voluto ribadire il proprio supporto alle iniziative per un cessate il fuoco, oltre a respingere le accuse del presidente del Consiglio Sovrano. Un incontro che non modifica la situazione sul campo, ma che comunque segna una riapertura del dialogo tra SAF e Abu Dhabi, fattore divenuto ormai rilevante per la soluzione diplomatica del conflitto. Sul finire del mese arrivano i dati aggiornati sulla crisi umanitaria in corso nel paese. La guerra in Sudan ha generato la più grande crisi di sfollamento al mondo, con oltre 11 milioni di persone costrette ad abbandonare le proprie case e, attualmente, 755.000 persone a rischio carestia nei prossimi mesi.
Anche nelle tensioni tra Somalia ed Etiopia la diplomazia stenta a decollare. La Turchia ha provato una mediazione nell’ambito della crisi per l’accesso alle acque del Mar Rosso, guidata personalmente dal ministro degli Esteri, Hakan Fidan. Nonostante il primo round di incontri (rispetto a cui vige il più completo riserbo) non abbia condotto a risultati tangibili, l’apertura di un canale di dialogo tra Mogadiscio e Addis Abeba lasciava ben sperare per la risoluzione della disputa in vista dei nuovi incontri tra i rappresentanti dei due paesi che si dovrebbero tenere ad Ankara il prossimo settembre. I vertici politici dei due paesi non sembrano però intenzionati a risolvere la crisi. Il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed ha invitato la controparte somala a risolvere la disputa tramite colloqui diretti con Addis Abeba invece di rivolgersi a mediatori terzi ed ha ribadito come l’intesa con il Somaliland non metta in discussione l’unità nazionale somala. Dichiarazioni rispedite al mittente dal presidente somalo, Hassan Sheikh Mohamoud, che, intervenendo all’apertura dei lavori del parlamento a Mogadiscio, ha dichiarato che “l’Etiopia non è pronta per risolvere le tensioni tra i due paesi tramite il dialogo”. Hassan Sheikh ha dichiarato come allo stato attuale, l’iniziativa di mediazione turca non possa avere futuro, criticando Addis Abeba per il fallimento dei precedenti tentativi di mediazione a causa dell’intransigenza del primo ministro.
Scarica il report di luglio 2024Dall’assertività dell’Iran alle tensioni tra gli attori del Corno d’Africa, passando per la pirateria e il terrorismo: il peso degli stretti strategici nella nuova instabilità del quadrante Golfo-Mar Rosso.
La Fondazione Med-Or ha organizzato un workshop dedicato alla crisi nel Mar Rosso e alle sue implicazioni per l’Italia, con lo scopo di fornire una analisi approfondita delle dinamiche della regione, dei rischi principali e delle considerazioni chiave per la sicurezza e la stabilità internazionale e per l’Italia.
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L’intesa con la Somalia permette ad Ankara di aprire l’Anatolia al resto del mondo attraverso il mare, rafforzando la sua presenza in Africa e nel Mediterraneo allargato. Il punto di Emanuele Rossi
Capo di stato | Hassan Sheikh Mohamud |
Capo del Governo | Hamza Abdi Barre |
Forma Istituzionale | Repubblica federale parlamentare |
Capitale | Mogadiscio |
Potere Legislativo | Bicamerale, Camera Alta (54 parlamentari), Camera del Popolo (278 parlamentari) |
Potere Giudiziario | Corte Costituzionale |
Area Totale | 637.657 Km² |
Terra | 627.337 Km² |
Clima | tropicale, desertico- arido |
Risorse Naturali | Uranio e riserve largamente non sfruttate di oro, gesso, bauxite, rame, gas naturale, possibili giacimenti di petrolio. |
Sintesi Economica | Non vi sono molti dati sulla situazione economica del Paese. Nonostante la carenza di una governance nazionale efficace, esiste un’economia informale basata in gran parte sull’esportazione di bestiame, soprattutto verso l’Arabia Saudita, lo Yemen e gli Emirati Arabi, anche se dipende in larghissima misura dagli aiuti umanitari e dalle rimesse degli emigrati. |
Pil | $7.29 milioni (Dic. 2021) |
Pil pro capite (Parità di potere di acquisto) | $1186 (Dic. 2021) |
Esportazioni | $ 276 million (2020) |
Export partner | Emirati Arabi Uniti 47%, Arabia Saudita 19%, India 5%, Giappone 5% (2019) |
Importazioni | $4.2 miliardi (2020) |
Import partner | Emirati Arabi Uniti 32%, Cina 20%, India 17%, Turchia 7% (2019) |
Interscambio con l'Italia | $38.8 milioni (2021) |
Popolazione | 12.386.248 (2022 est.) |
Tasso di crescita della popolazione | +2,42% (2022) |
Etnie | Somali 85%, Bantu e altri non somali 15% (inclusi 30.000 arabi) |
Lingue | Somalo, arabo |
Religione | Musulmani 99,9, altri 0,1% |
Urbanizzazione | 47,3% (2022 est.) |
Alfabetizzazione | 37,8% |
La Somalia è uno stato dell’Africa orientale, sito nel Corno d’Africa. Confina a sud-ovest con il Kenya, a ovest con l’Etiopia e a nord con il Gibuti e ad est con l’Oceano Indiano, mentre a nord si affaccia sullo strategico Golfo di Aden. La popolazione ammonta a 12,3 milioni di abitanti circa, mentre le lingue ufficiali sono il somalo e l’arabo.
La Somalia è diventata indipendente nel 1960, dall’unione dell’Amministrazione fiduciaria italiana della Somalia e del protettorato britannico del Somaliland. Ad oggi, il Somaliland ha una gestione totalmente autonoma da Mogadiscio e sostiene di essere uno stato indipendente. La guerra civile scoppiata nel 1991 ha gettato il paese in un clima di grave instabilità politica e sociale, favorendo anche l’insediamento di gruppi terroristici tra i quali al-Shabāb nel sud del paese.
La Somalia resta ancora oggi un paese con profonde relazioni con l’Italia. Oltre ai rapporti di tipo economico, Italia e Somalia hanno collaborazioni nel campo della sicurezza e difesa, con riferimento al ruolo svolto negli ultimi anni dall’Italia nelle missioni internazionali presenti nel territorio somalo, ma anche alle operazioni di antipirateria. La Somalia è ai vertici della lista dei paesi prioritari per l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo: le iniziative principali hanno riguardato l’assistenza umanitaria e la realizzazione di infrastrutture strategiche, volte a facilitare la ricostruzione del sistema-paese e a favorire lo sviluppo economico e il rafforzamento delle istituzioni. Ulteriori interventi hanno interessato i settori dell’agricoltura, della pesca e dell’allevamento.