Somalia

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Somalia: report di luglio 2024

Il mese di luglio è stato caratterizzato da un ulteriore allargamento delle linee di faglia della regione. Nell’ambito della guerra in corso in Sudan, il mese si è aperto con l’aggravamento della crisi diplomatica tra Ciad e Sudan, con il Consiglio Sovrano guidato da Al-Burhan che ha deciso di richiamare in patria il proprio ambasciatore in servizio a N’Djamena. L’episodio rappresenta un nuovo apice dell’escalation diplomatica tra i due stati, con i vertici delle SAF che accusano il Ciad di supportare le RSF del generale Hemedti tramite il supporto emiratino. Già a dicembre, il governo di N’Djamena aveva espulso quattro diplomatici sudanesi, mentre Khartoum aveva risposto con un provvedimento analogo contro tre diplomatici ciadiani. Queste accuse sono state mosse anche di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’ONU nel marzo scorso, quando il rappresentante permanente del Sudan alle Nazioni Unite, Al-Harith Idris, ha accusato il Ciad di essere la principale linea di rifornimento per le RSF. L’accusa agli EAU appare utile per giustificare l’andamento deludente delle proprie iniziative nel Darfur e nelle regioni occidentali del paese, dove le RSF hanno preso il sopravvento, ma comunque fa salire il livello di instabilità ben oltre la soglia di guardia.

La crisi diplomatica va avanti sullo sfondo della più grande crisi umanitaria sul pianeta. Per questo motivo, le Nazioni Unite hanno ospitato a Ginevra, sul finire del mese, il convegno sulla protezione dei civili, un’iniziativa nata su impulso dell’inviato speciale ONU per il Sudan, Ramtane Lamamra. Ufficialmente, il vertice è stato finalizzato esclusivamente alla discussione della crisi umanitaria in corso nel paese, con la possibilità di negoziare dei cessate il fuoco circoscritti e finalizzati esclusivamente all’afflusso di aiuti umanitari verso il paese. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, però, nel lodare l’iniziativa, non ha nascosto la speranza che questi “negoziati di prossimità” possano comunque favorire una de-escalation nel paese. Speranze che si scontrano contro la postura di entrambi i belligeranti, che per il momento non mostrano alcuna intenzione di considerare la soluzione diplomatica al conflitto. Tra boicottaggi, critiche e aut-aut, l’iniziativa di mediazione onusiana sembra destinata a fallire proprio come la piattaforma di Gedda supportata da USA e Arabia Saudita e quelle tentate da IGAD e Unione Africana.

A fianco all’iniziativa onusiana, il mese è stato caratterizzato dalla timida ripresa del dialogo tra Al-Burhan e gli Emirati Arabi Uniti. Grazie alla mediazione del primo ministro etiope, Abiy Ahmed, il leader delle SAF ha avuto un colloquio telefonico con il presidente degli EAU, Bin Zayed, a quasi un anno dal loro ultimo colloquio. Al-Burhan ha rinnovato le accuse agli Emirati di supportare le RSF di Hemedti, mentre a quanto si apprende, Bin Zayed ha voluto ribadire il proprio supporto alle iniziative per un cessate il fuoco, oltre a respingere le accuse del presidente del Consiglio Sovrano. Un incontro che non modifica la situazione sul campo, ma che comunque segna una riapertura del dialogo tra SAF e Abu Dhabi, fattore divenuto ormai rilevante per la soluzione diplomatica del conflitto. Sul finire del mese arrivano i dati aggiornati sulla crisi umanitaria in corso nel paese. La guerra in Sudan ha generato la più grande crisi di sfollamento al mondo, con oltre 11 milioni di persone costrette ad abbandonare le proprie case e, attualmente, 755.000 persone a rischio carestia nei prossimi mesi.

Anche nelle tensioni tra Somalia ed Etiopia la diplomazia stenta a decollare. La Turchia ha provato una mediazione nell’ambito della crisi per l’accesso alle acque del Mar Rosso, guidata personalmente dal ministro degli Esteri, Hakan Fidan. Nonostante il primo round di incontri (rispetto a cui vige il più completo riserbo) non abbia condotto a risultati tangibili, l’apertura di un canale di dialogo tra Mogadiscio e Addis Abeba lasciava ben sperare per la risoluzione della disputa in vista dei nuovi incontri tra i rappresentanti dei due paesi che si dovrebbero tenere ad Ankara il prossimo settembre. I vertici politici dei due paesi non sembrano però intenzionati a risolvere la crisi. Il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed ha invitato la controparte somala a risolvere la disputa tramite colloqui diretti con Addis Abeba invece di rivolgersi a mediatori terzi ed ha ribadito come l’intesa con il Somaliland non metta in discussione l’unità nazionale somala. Dichiarazioni rispedite al mittente dal presidente somalo, Hassan Sheikh Mohamoud, che, intervenendo all’apertura dei lavori del parlamento a Mogadiscio, ha dichiarato che “l’Etiopia non è pronta per risolvere le tensioni tra i due paesi tramite il dialogo”. Hassan Sheikh ha dichiarato come allo stato attuale, l’iniziativa di mediazione turca non possa avere futuro, criticando Addis Abeba per il fallimento dei precedenti tentativi di mediazione a causa dell’intransigenza del primo ministro.

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