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Il confronto tra Turchia ed Emirati Arabi Uniti: una importante occasione di dialogo

L’incontro al palazzo presidenziale di Ankara tra Recep Tayyip Erdoğan e il consigliere per la Sicurezza nazionale del principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed (MbZ) potrebbe aprire a una potenziale nuova fase della politica internazionale, e nuove dinamiche geopolitiche, a cavallo dell’area del Mediterraneo allargato.

L’incontro al palazzo presidenziale di Ankara tra Recep Tayyip Erdoğan e il consigliere per la Sicurezza nazionale del principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed (MbZ) potrebbe aprire a una potenziale nuova fase della politica internazionale, e nuove dinamiche geopolitiche, a cavallo dell’area del Mediterraneo allargato. Ankara e Abu Dhabi sono attivi su una serie di dossier (dalla Libia al Corno d’Africa all’Afghanistan) e lo scenario che un qualche genere di accordo tra i due paesi potrebbe portarsi dietro è largo, con possibile influenza su alcune situazioni in particolare, ma anche più in generale sulla stabilizzazione regionale.

L’avvicinamento tra Ankara e Abu Dhabi è un passo di realpolitik che sembra mettere da parte una divergenza ideologica per anni giocata tra i teatri critici della regione, dall’Egitto alla Libia, dalla Penisola arabica alla Siria. E dunque ha tutte le potenzialità per diventare un importante un fattore di distensione all’interno del mondo sunnita.

Impossibile non registrare certi movimenti, così come sarebbe impossibile per l’Europa non fare parte di questo tentativo di dialogo. Bruxelles dovrebbe farsi partecipe di quanto sta accadendo, con interessi diretti sia alle relazioni internazionali che alla geopolitica, tanto quanto a questioni più connesse con il settore economico-commerciale. Per esempio, se è vero come è vero che c’è il rischio che in Afghanistan, tornato di nuovo sotto l’oppressione talebana, possa crearsi un cluster migratorio – sui cui l’Ue dovrebbe muoversi in avanti, pensando a un migration compact europeo per gestire i flussi – è altrettanto vero che quei due attori sono interessati al tema.

Altrettanto vale per ciò che riguarda la potenzialità di sfruttare quanto potrebbe accadere tra Turchi ed Emiratini come elemento di facilitazione per il business europeo. Non solo perché una stabilizzazione regionale favorirebbe la prosperità rispetto alla (o alle) crisi, ma anche perché creerebbe direttamente un’opportunità per lo sviluppo di nuove e approfondite relazioni economico-commerciali. Nonostante le divergenze strategiche, al momento Emirati e Turchia hanno obiettivi complementari per certi versi. Con quest’ultima che ha interesse nello sfruttare la proiezione internazionale per spingere le proprie aziende, in sofferenza davanti alla crisi economico-finanziaria che sta colpendo il paese; mentre gli Emiratini sono più orientati ad un dialogo geopolitico che possa garantire la stabilità regionale.

Tema quest’ultimo che è tra quelli di primario interesse per l’Europa e per l’Italia, condiviso assolutamente da tutti i paesi del Mediterraneo allargato. Basta notare quanto accaduto nel Sahel come effetto collegato – quanto meno per tempistiche – alla rifondazione dell’Emirato islamico talebano in Afghanistan: nuovi attacchi terroristici connessi a quelle sigle come al Qaeda e Daesh che, seppure da posizioni diverse rispetto ai Talebani, potrebbero trarre dal successo degli jihadisti a Kabul nuovo coraggio, ispirazione, forza per spingere il proselitismo. L’effetto domino è un rischio per tutto il bacino mediterraneo, e anche in quest’ottica l’Ue ha tutto l’interesse a seguire i contatti in corso sull’asse Ankara-Abu Dhabi.

Le intelligence di Emirati e Turchia hanno infatti iniziato a parlarsi, e l’obiettivo è proprio quello di costruire una collaborazione che potrebbe cambiare la direzione di alcuni dossier, ma soprattutto essere un fattore di sponda per la lotta contro il terrorismo organizzato dei vari gruppi armati che infestano diverse aree di Africa e Medio Oriente. E i cui effetti possono sentirsi in Europa, come visto. Aree per altro in cui sia i paesi europei che quelli mediorientali proiettano parte dei propri interessi.

In tutto questo non si può non notare come gli Stati Uniti vogliono stabilità nel bacino mediterraneo e sul perimetro che lo circonda. Tra le varie attività hanno incoraggiato sia gli accordi di Abramo firmati nel 2020 tra Emirati ed Israele e la riconciliazione di al Ula, con cui Emirati, Arabi Saudita e altri paesi hanno riaperto le relazioni con il Qatar – chiuse nel giugno 2017. Doha è un alleato cruciale per Ankara, ma la riapertura delle relazioni intra-Golfo permette ai turchi di riavviare il dialogo strategico con altri paesi della regione, così come agli Emirati di offrirsi come ulteriore sponda nell’area.

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