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Il Kazakistan apre agli Accordi di Abramo

Il Kazakistan apre all’ingresso negli Accordi di Abramo mentre cresce l’influenza statunitense nei nuovi equilibri di potenza dell’Asia Centrale. Il punto di Giorgio Cella

In un notevole slancio diplomatico e di proiezione di potenza dell’amministrazione Trump, in congiunzione con il governo di Israele, la sfera di espansione degli Accordi di Abramo si estende all’Asia Centrale. La notizia, che risulta di notevole rilevanza anche in termini geopolitici - se si considerano le caratteristiche dell’Eurasia e i suoi equilibri di potere, con la centralità della Shangai Cooperation Organization, capitanata dal duumvirato sino-russo -, riguarda in questo caso il Kazakistan, i cui vertici hanno comunicato ufficialmente la loro volontà circa una futura adesione agli Accordi di Abramo. Gli accordi in questione, o il patto (covenant), sono in memoria di Abraham, primo archetipico patriarca non solo dell’ebraismo ma (indirettamente) di tutte e tre le religioni del libro, dunque figura evocatrice di un metastorico dialogo interreligioso e interculturale per antonomasia. Tali accordi diplomatici (il cui grande architetto è il genero del presidente degli Stati Uniti, Jared Kushner) sono stati plasmati dagli Stati Uniti e da Israele al tempo della prima amministrazione Trump (2020) per normalizzare le relazioni tra lo Stato di Israele e i paesi a maggioranza musulmana del Medioriente, secondo una gran strategy atta a marginalizzare e degradare l’asse sciita capitanato dall’Iran degli Ayatollah: asse ormai fortemente indebolito in seguito ai due anni di guerra di Israele a Gaza e contro i proxies di Teheran (dagli Houthi in Yemen a Hezbollah in Libano sino alla Siria di Bashar al Assad, il cui regime non esiste più).

La decisione di Astana del 6 novembre scorso fa emergere dimensioni d’analisi che decodificano alcune dinamiche di grande rilevanza di politica internazionale in corso, che vediamo di seguito:

  • La prima riguarda il lato simbolico e formale: Astana riconosce infatti da tempo Israele e mantiene con esso legami diplomatici sin dall'indipendenza, ottenuta nel fatidico 1991, anno dirimente della storia delle relazioni internazionali della nostra era. Si osserva dunque una continuità, lungo i decenni, e conseguentemente un rafforzamento, dei rapporti bilaterali tra Astana e Tel Aviv
  • L’entrata in gioco di Astana potrebbe spostare il baricentro degli Accordi di Abramo dall’area Mediorientale a quella Eurasiatica, spostando gli equilibri regionali verso un accrescimento del ruolo e dell’influenza di Washington (e indirettamente altresì di Tel Aviv) anche in Asia Centrale, vista e percepita da secoli come area d’influenza dal Cremlino e, come accennato sopra (leggi SCO), negli ultimi decenni, anche di Pechino: entrambe potenze con cui il Paese centrasiatico intrattiene tuttavia buone relazioni bilaterali
  • L’entrata di Astana rinvigorisce la proiezione estera già in grande spolvero degli Stati Uniti di Trump, in un’azione diplomatica di ampio respiro che dal Medioriente si estende all’Asia Centrale e che, implicitamente, tange i due grandi archi di crisi di Ucraina e Medioriente, palesandone la loro contiguità e intrinseca interdipendenza nel grande gioco di rifacimento e mutamento degli equilibri di potenza globali. Il Kazakistan, la geograficamente più grande e più ricca delle cinque repubbliche centroasiatiche, storicamente stretta dalle due grandi potenze dell’Asia Centrale (Russia e Cina), non perde occasione per guadagnare maggiore status diplomatico e svincolarsi verso una maggiore autonomia e sovranità e, evidentemente, in una tensione in politica estera che guarda anche a Stati Uniti ed Europa. A conferma di tutto ciò, si noti come il Kazakistan sia stato il primo attore regionale ad aprire all’adesione agli Accordi di Abramo. Non è un caso che l’annuncio è arrivato nello stesso giorno in cui Trump ospitava i cinque Paesi della regione centroasiatica alla Casa Bianca, altro tassello di una strategia statunitense di espansione in un’area tanto strategica quanto marginalizzata dagli Stati Uniti negli ultimi decenni
  • L’entrata da parte di Astana nel patto di Abramo potrebbe legarsi altresì, come ormai tratto tipico della diplomazia trumpiana, a logiche palesemente transazionali: il ricco stato centrasiatico, infatti, dispone di molte materie prime oltre ad essere, come noto, tra i più importanti esportatori di energia (con le riserve di gas e petrolio concentrate nell’area del Caspio) su scala mondiale. Astana ha difatti annunciato un accordo minerario di rilievo attraverso una nuova partnership con Washington circa lo sviluppo di uno dei più grandi giacimenti di tungsteno ancora non sfruttati in territorio kazako
  • Last but definitely not least, come fatto notare da vari osservatori degli affari internazionali, la decisione di Astana di aderire agli Accordi di Abramo potrebbe significare l’inizio di una nuova fase, facendo divenire gli accordi, da un'iniziativa di pace in Medio Oriente, a una coalizione informale di Paesi musulmani legata all’orbita occidentale (o quantomeno statunitense). Paesi dediti alla convivenza interreligiosa, che si unisce sinergicamente a strategie di prosperità economica
  • All’iniziale spinta kazaka verso gli accordi anche altri Paesi dell'Asia centrale e del Caucaso hanno mostrato interesse in tal senso, tra i quali Uzbekistan e Azerbaigian, che confinano con l'Iran. Da qui le conseguenze e i calcoli geopolitici e di mutamento delle aree di influenza: inglobare in tale grande macro alleanza attori chiave come Astana e Baku, con ricchi giacimenti di uranio e gas e una posizione strategica alle porte del Mar Caspio, potrebbe contribuire in modo potenzialmente significativo al vantaggio strategico di Stati Uniti e Israele su potenze regionali come Russia e Iran, che hanno tradizionalmente avuto una posizione chiave nelle dinamiche regionali e che hanno, negli ultimi anni, subito cali del loro status di potenza nell’area
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