Approfondimenti

Il passato che non passa: l’ideologia della dualità sudanese

Le origini ideologiche del conflitto che insanguina il Sudan nell’analisi di Ginevra Leganza

El Fasher, oggi, è ben più di un’eco del massacro passato. La capitale del Darfur settentrionale è la pietra di paragone della tenuta dell’ordine giuridico internazionale. E forse è altresì la soglia di quel “mai più” pronunciato vent’anni fa con il genocidio e la presidenza di Omar Al-Bashir.

A distanza di due decenni, dopo l’inizio della guerra nel 2023 tra l’esercito regolare (Saf) e le forze di supporto rapido (Rsf), la regione occidentale del Sudan è il teatro di un’ulteriore pulizia etnica. Un’operazione del generale delle Rsf, Hemmedti – i cui esiti giungono a mezzo satellitare e non solo – mirata contro i gruppi africani non arabizzati Zaghawa e Masalit. Un’eco del passato, appunto, che pungola in queste ultime settimane l’inerzia mediatica di due anni. Le analisi della Yale Humanitarian Research Lab confermano, a nord e a ovest della capitale della regione, la presenza di aree bruciate e fosse comuni. Lo stesso ente di ricerca – incrociando il dato delle 500.000 persone sfollate dalla regione – rileva che le distruzioni non rispondono a logiche militari bensì a obiettivi di pulizia demografica: dalla demolizione di infrastrutture sanitarie e religiose all’eliminazione fisica dei leader comunitari. Uno schema già osservato – nelle province di Genina e Nyala – che riproduce il canone del 2003, a riprova di un mai celato continuum tra le forze di supporto rapido e le milizie Janjaweed (dove lo stesso Hemmedti ebbe vent’anni fa ruoli di comando). E soprattutto a conferma di un terreno ideologico e culturale che, ancor prima del 2003, ha delineato il profilo dell’uomo sudanese.

Il filo invisibile di Janjaweed e l’ideologia Ja'al

Janjaweed – il cui significato in arabo è “diavolo a comando” – è dunque il filo invisibile che poco a poco diventa rosso. L’anello tra i 300.000 civili uccisi dal 2003 a oggi e i 2 milioni e mezzo di sfollati. Oltre al dato bruto dei numeri, però – e alla crisi che in Darfur riverbera il massacro dei primi anni Duemila – il conflitto sudanese si radica in un preciso terreno culturale. In un lievito ideologico e politico di cui la pulizia etnica è un corollario finanche banale. La cosiddetta “dualità sudanese” – che intacca l’essenza del cittadino, definendolo “puro” o “impuro” – si radicalizza infatti oltre trent’anni fa. Latente sotto il dominio britannico, emerge decenni dopo l’indipendenza, culmina con il massacro del Darfur e poi, in altro modo, con la secessione del Sudan del Sud.

Ma per tentare di cogliere il seme “culturale” della dualità, bisogna risalire perlomeno al colpo di stato che nel 1989 eleva Omar Al Bashir alla presidenza del paese. Da quel momento, l’Islam è la radice cui s’innesta definitivamente la cosa pubblica. Nei suoi alti e bassi con il governo di Al Bashir, l’uomo di stato Hasan Al Turabi ispira – già prima del 1989 – il pensiero dell’organizzazione Fratelli Musulmani, che contribuisce all’affermazione del Fronte Islamico Nazionale. Una forza sovente definita la più influente del fondamentalismo islamico moderato, ossia il catalizzatore del dualismo etnico tra sudanità africana e arabizzata. Sono anni, quelli dei governi post-coloniali e soprattutto di Al Bashir, in cui la cosiddetta ideologia Ja’alin affascina le élite sudanesi.

È a partire dalla sua presidenza, infatti – egli stesso era membro del gruppo tribale e settentrionale dei musulmani Ja’alin – che si può rintracciare l’origine più recente del dualismo da cui oggi promana il massacro. Le etnie africane – strette tra Saf e Rfs di Hemmedti – subirono in quegli anni una stretta sul piano della vita civile. La tribù arabizzata si considerava discendente del leggendario Ibrahim Ja'al, collegato alla stirpe abbaside dell’Arabia. Nord e sud del paese si radicalizzarono, da allora, nelle rispettive (mitiche) ascendenze sconfinanti nella diffusione di un’identità nazionale, ancorata al cristallizzarsi dell’islamizzazione.

Al Bashir, negli anni Novanta, fu il fautore del cambiamento dei nomi dei villaggi (si ricordano Umbala che diventa Umkhier: “madre della benedizione”, e poi Fugo Kafur ora Jabel Moia: “la montagna d’acqua”) e dell’introduzione della Sharia. Senza considerare la diffusione dell’educazione in arabo unificato e il conseguente progetto educativo dell’allora ministro degli Esteri Al Osman Mohammed Taha noto come “Progetto civiltà”. Un programma a tutto tondo che, nel teorizzare la divisione tra Sudan puro e impuro, ebbe esito pratico nel licenziamento del corpo docente di etnia africana. Anche i libri di testo – come non di rado accade in condizioni che preludono a massacri etnici – furono rivisti, con omissioni sulla storia del Darfur e un forzato nesso tra la prosperità del XVII e XVII secolo e l’operosità del Sudan settentrionale: il nord arabo-musulmano. Oggi, a distanza di oltre trent’anni, il Darfur rappresenta più che mai un banco di prova non solo per la stremata resistenza civile, ma anche per la responsabilità internazionale. Pur provenendo da contesti tribali differenti – Hemmedti dai Rizeigat arabizzati e Al Bashir dai Ja’alin del nord – il legame tra le loro azioni risalta dalle riprese che in questi giorni sbrecciano il muro del silenzio. Eppure le operazioni del Rapid Support Forces sono la conseguenza di schemi già adottati. La prosecuzione con altri mezzi – le armi – di un fattore ideologico e culturale. Il frutto avvelenato di un albero avvelenato. E dunque il frutto di un lungo processo di marginalizzazione delle etnie africane.

Approfondimenti

Sudan: un bilancio sugli sforzi di mediazione

Dallo scoppio della guerra in Sudan, si è prestata poca attenzione agli sforzi di mediazione e alla mancanza di progressi nel porre fine al conflitto. L'analisi di Chepkorir Sambu

Leggi l'approfondimento
Approfondimenti

Riflessi geopolitici delle recenti elezioni in Moldavia

Le conseguenze del voto moldavo per il contesto regionale centro-orientale europeo nell’analisi di Giorgio Cella

Leggi l'approfondimento
Notizie

Ingrandimenti: il report mensile di Med-Or

Online il report mensile di Med-Or Ingrandimenti per il mese di Aprile

Leggi la notizia