Approfondimenti

Italia, Niger. Europa, Africa. Due continenti. Un unico destino. L’intervento del Presidente Mohamed Bazoum

Pubblichiamo in esclusiva l’intervento del Presidente della Repubblica del Niger, Sua Eccellenza Mohamed Bazoum, alla conferenza promossa da Med-Or presso la Luiss Guido Carli di Roma dal titolo “Italia, Niger. Europa, Africa. Due continenti. Un unico destino”

Presidente Marco Minniti, Presidente della Fondazione Med-Or, Onorevoli Ministri, Signore e signori,

È un onore per me rivolgermi a voi, un pubblico di personalità eminenti, civili e militari, esponenti della diplomazia, responsabili di alto livello, italiani e stranieri; un vero privilegio per me. Vorrei ringraziare l’università Luiss che ci accoglie in questa bella chiesa trasformata in una sala conferenze, e ringraziare Minniti così come tutti coloro che hanno fatto in modo che questo pomeriggio potessimo avere questa grande opportunità.

Sono molto felice di essere in Italia, sono molto felice per la sostanza della cooperazione che si sviluppa in modo importante tra il Niger e l’Italia. Per certi versi il lavoro svolto insieme all’allora ministro Minniti, nel 2016-2017, riguardo alle problematiche legate alla migrazione, ha contribuito a far conoscere il Niger e a dare consistenza alle relazioni tra i nostri due paesi. Abbiamo ricevuto numerose ed eminenti personalità italiane in Niger. Il presidente del Niger, Issofou Mahamadou, il mio predecessore, era stato ricevuto qui in Italia nel 2019. In questa sala riconosco alcuni volti, il Generale Caravelli, che è molto spesso con noi, che è un attento conoscitore delle questioni di sicurezza nel Sahel, il ministro Guerini, grazie al quale la nostra cooperazione in ambito militare è cresciuta in maniera importante. Come ho avuto modo di dirgli, c’è un prima e un dopo Guerini, nelle relazioni tra l’esercito del Niger e l’esercito dell’Italia. Per cui è per me veramente un onore essere qui oggi e avere la possibilità di parlarvi del mio paese, ma non solo del mio paese, per parlare del Sahel, questa che, non voglio definire come nuova frontiera, ma questa frontiera che è ormai la frontiera dell’Europa. Fino ad oggi gli europei erano in una situazione comoda, dove hanno potuto pensare che il mondo finisse al Mediterraneo, alla sua costa settentrionale. In seguito, questo spazio si è esteso e si è fermato al Maghreb. Oggi, per forza di cose, per gli sviluppi della scienza, della tecnologia, per i fenomeni di mobilità le frontiere hanno la tendenza a diventare più sfumate e ciò che era piuttosto lontano si è avvicinato, e il Sahel, proprio per via degli avvenimenti in corso e a causa delle problematiche che si sviluppano al suo interno ma che si propagano a livello internazionale e non si fermano al suo interno, è diventato la frontiera meridionale dell’Europa. E gli europei lo hanno capito bene, poiché in effetti a causa della presenza del terrorismo nel Sahel e delle sfide che questo rappresenta per i nostri stati, chi è che abbiamo trovato al nostro fianco e che ci aiuta ad affrontare questa crisi? Sono gli europei. Io ho l’abitudine di dire ai miei interlocutori, di fare attenzione, perché non ci mancano i partner sul piano economico in tutto il mondo. Anche paesi molto lontani da noi sono dei partner economici, tuttavia non sono presenti quando si tratta di affrontare il problema più cruciale, la lotta al terrorismo, quello che noi ci troviamo a fronteggiare oggi. Chi sono invece quelli presenti al nostro fianco? Sono i nostri vicini, sono gli europei.

Abbiamo oggi una cooperazione militare che si è tradotta con interventi sotto varie forme, nel campo della sicurezza. A parte i paesi europei, tra cui l’Italia, ci sono solo gli Stati Uniti d’America, che sono coinvolti con noi nella lotta al terrorismo nel Sahel. Gli Stati Uniti sono un grande paese, hanno grandi responsabilità e hanno la coscienza dei loro interessi e sono presenti in questa lotta al nostro fianco. Ma a parte gli Stati Uniti, nessun altro paese, tranne i paesi europei, è al nostro fianco. Questo perché i paesi europei sono i nostri vicini e sanno che se la situazione del continente africano, e soprattutto in questo spazio preciso, in questo spazio del Sahel, ebbene se la situazione peggiora avrà delle ripercussioni sull’Europa, molto più che in Giappone, Cina o gli Stati Uniti. Per cui noi ci consideriamo come facenti parte della sponda sud del Mediterraneo e di conseguenza siamo partner che hanno un rapporto particolare con l’Europa. Ecco perché abbiamo intrapreso ormai da lungo tempo sforzi per capire quali sono i problemi per l’Europa e di rispondere nella maniera più appropriata, per rispondere alle sollecitazioni che provengono dal continente europeo.

Per questo abbiamo preso parte nel 2015 alla famosa conferenza sulle migrazioni a La Valletta, a Malta. e il nostro governo, quello del Niger, ha deciso di prendere degli impegni precisi, spiegando ai nostri partner quello che possiamo fare, quali sono le nostre responsabilità e i nostri compiti. Questi sono gli impegni che abbiamo preso alla conferenza de La Valletta ed è in quell’occasione che ho incontrato il ministro Minniti ed è a quell’epoca che noi, in Niger, senza alcun tipo di complesso abbiamo cominciato a definire le nostre politiche sulle questioni migratorie. Il Niger, per coloro che non lo sapessero, non è un paese di partenza dei migranti verso l’Europa. I nigerini non sono abbastanza istruiti, scolarizzati per immaginare di attraversare il Mediterraneo e venire in Europa. Di solito i nigerini si spostano nei paesi limitrofi la Libia o l’Algeria, ma non oltrepassano mai questi paesi. Tuttavia, il Niger, per via degli eventi in Libia, a partire dal 2011, e del buco nero che è diventata la Libia a partire da quel momento, è diventato la rotta migratoria più importante verso l’Europa. Proprio alla conferenza de La Valletta, quando, come sappiamo, le sollecitazioni sono divenute pressanti noi abbiamo definito la nostra dottrina e di conseguenza il nostro contributo per il contrasto alle reti criminali che sfruttano l’immigrazione dal momento che non c’è più uno stato in Libia, e che hanno creato numerose rotte anche se queste rotte comportano dei pericoli enormi, anche se numerose vite erano esposte al rischio sia nella traversata del deserto e poi alla traversata del mediterraneo. Noi siamo un paese membro della CEDEAO, cioè della Comunità Economica dei Paesi dell’Africa Occidentale e chiaramente aderiamo al principio della libera circolazione delle persone e dei beni. E in virtù di questo impegno comunitario noi permettiamo a chiunque, a qualsiasi abitante dell’Africa dell’Ovest di venire in Niger e di circolare liberamente. La dottrina che abbiamo definito consiste nel fatto che fintanto che un cittadino di un paese membro dell’Africa dell’ovest si trova all’interno del territorio del Niger, può farlo. È suo diritto, e deve godere del privilegio, della libertà, della sua facoltà di circolare liberamente.

Ma qualora persino dei cittadini dei paesi membri della CEDEAO viaggino su veicoli che in realtà non sono adibiti per il trasporto perché non hanno le licenze necessarie a questo tipo di attività, e che si trovano sprovvisti dei documenti di viaggio necessari a provare la loro identità e che non possono assicurare la sicurezza del viaggio che stanno per intraprendere allora capiamo subito che queste persone sono prese in ostaggio da reti criminali che li portano in Libia e che queste reti si sono sviluppate sempre più con l'apparire del fenomeno del terrorismo in Mali. Noi abbia compreso quindi tutti i legami che esistono tra il traffico di migranti e il traffico di armi. Perché tutte le armi, e questo fin dal 2011, che sono utilizzate dai gruppi terroristi che hanno preso piede in Mali e che poi si sono allargate in tutto il Sahel, vengono per circa l’82% dalla Libia che è diventata grande negozio per tutti questi tipi di armamenti. Noi abbiamo capito il legame che c’è a tra tutti i traffici: il traffico di droga, il traffico di migranti e il traffico di armi.

Il traffico di droga nello spazio del Sahel risale agli anni 2000, all’inizio degli anni 2000. Soprattutto si trattava di cannabis, poi droghe provenienti dall’America Latina. Abbiamo delle prove di tutti gli scali, di tutte le tappe di questi traffici, e il traffico di droga ha sviluppato un’economia criminale che non riguardava solo i gruppi terroristi, ma che si è ampliata, che ha criminalizzato l’economia di diversi spazi che è ciò che ha portato all’economia del terrorismo oggi. C’era un nesso tra questi tre fenomeni: lottare contro uno di questi traffici, trascurando gli altri non avrebbe alcun tipo di senso. Ecco perché il nostro impegno è un impegno su tre livelli: abbiamo deciso di lottare contro il traffico di armi, di lottare contro il traffico di droga e di lottare contro il traffico di migranti. Perché in effetti dobbiamo porci la domanda: com’è possibile che in questo spazio arido come il Sahel e il Sahara possano esistere dei gruppi che da ormai più di un decennio resistono, che non danno alcun cenno di debolezza, di stanchezza? Nulla può spiegare questo fatto se non la loro capacità di disporre di mezzi finanziari importanti che vengono procurati loro dai traffici e oggi i gruppi terroristi che sono attivi in Sahel, che si trovino nel bacino del Lago Ciad, come Boko Haram, o che si tratti di quelli che sono usciti dalla matrice del territorio del Mali, Al Qaeda o Daesh, hanno delle capacità, degli equipaggiamenti militari di livello superiore a quelle dei nostri eserciti. Almeno per quanto riguarda certe armi specifiche che sono quelle più utilizzate, in questo tipo di conflitti. Tra i gruppi terroristi l’M80, è diventata un’arma come il Kalashnikov, ha sostituito il Kalashnikov. Noi, i nostri stati non riescono a fare in modo che ognuno dei nostri soldati abbia a disposizione un M80, è troppo caro, ma i terroristi li hanno. L’RPG7, il lanciarazzi, i terroristi ne dispongono in quantità enormi più di quante ne possano avere i nostri eserciti. Allora mettendo insieme queste conoscenze e valutando il rapporto di forza sul campo, diventa evidente che questa guerra non possiamo che perderla. Di conseguenza vogliamo sviluppare le nostre capacità in altri ambiti a dai quali riuscire a diventare superiori, avere la superiorità. I mezzi blindati e i mezzi aerei. Ecco perché la cooperazione con i nostri partner è una cooperazione importante. Ed è questo che spiega perché il Niger abbia accettato di aprirsi, senza alcuna forma di complesso, a tutti questi partner, in particolare agli europei che hanno deciso di venire e di aiutarci. Posso dirvi che noi riceviamo da parte dei nostri partner, che siano francesi, che siano italiani, che siano tedeschi, che siano americani o altri ancora, riceviamo un aiuto prezioso per la formazione dei nostri militari. Una formazione per le forze speciali, specifica, di alta qualità, che conferisce alle nostre forze armate delle capacità che non avrebbero mai potuto avere. Ecco perché non ci sentirete mai fare discorsi sulla sovranità, noi non abbiamo questo complesso, noi siamo in relazioni senza complessi con i nostri partners non abbiamo queste difficoltà perché noi siamo consapevoli che gli europei hanno capito che la sicurezza del Sahel determina la sicurezza dell’Europa, perché siamo vicini. Il Mediterraneo non è un ostacolo, più semplicemente è diventato un ponte, è diventato un passaggio. Il Mediterraneo ci unisce, piuttosto che diventare una barriera, non ci divide, ma ci unisce. Per questo tutta la nostra diplomazia, tutta la nostra strategia si basa su questo postulato. Nel contesto delle nostre difficoltà, siamo un paese che soffre di due problemi su cui vorrei dilungarmi un pochino, per darvi un’idea delle sfide che ci troviamo ad affrontare, al di là delle questioni di sicurezza e migrazione.

Il Sahel è la zona al mondo, forse mi sbaglio, ma lo penso veramente, è la zona al mondo più colpita dal fenomeno del cambiamento climatico. Forse solo qualche piccolo stato insulare, con il fenomeno dell’innalzamento del livello del mare, può dire di essere altrettanto colpito da questo fenomeno

I paesi del Sahel hanno un’economia basata sull’agricoltura, sono dei paesi poveri sfortunatamente, hanno un’economia che si basa sull’agricoltura, sul settore primario. Questa economia è colpita dal cambiamento climatico e non è un caso se sono i pastori, i giovani pastori, ad essere più impegnati nelle organizzazioni terroristiche in Sahel. Il modello economico, lo stile di vita pastorale, è perturbato, destrutturato, disorganizzato dal cambiamento climatico. La biodiversità si è drammaticamente ridotta, e questo è un vero problema. I giovani hanno sempre più difficoltà a vivere in territori che sono diventati troppo stretti perché le risorse naturali si sono rarefatte, ma al tempo stesso, purtroppo, assistiamo a un fenomeno di crescita demografica senza precedenti. I nostri paesi hanno un tasso di crescita demografica del 4% l’anno, la media in Niger è di circa il 3,5% l’anno. Sono solito dire, raccontare, un aneddoto ai miei interlocutori quando parlo di questo problema: qualcuno che è venuto in Niger nel 1973 mi diceva, era un danese, quando è venuto mi diceva “Quando sono venuto in Niger nel 1973 la popolazione era di 5 milioni, come quella del mio paese. Oggi la popolazione in Niger è di 25 milioni, mentre quella Danimarca è rimasta a 5 milioni.” Vedete che tipo di sfide che questa situazione ci pone per scolarizzare i bambini. Per cui se la Danimarca potesse utilizzare le stesse risorse del 1973, noi avremmo bisogno di 5 volte tanto oggi. Lo stesso vale per la salute, lo stesso vale per le abitazioni, lo stesso vale per l’acqua, lo stesso vale per tutti i servizi che noi dobbiamo assicurare alla nostra popolazione. Ecco due grandi sfide e i dibattiti che noi portiamo avanti nell’ambito della COP ogni anno. Sono dibattiti che arrivano a conclusioni che in realtà non potrebbero mai soddisfarci. Questi dibattiti sul cambiamento climatico devono essere portati avanti, ma in altri termini, in modo diverso rispetto a quanto fatto finora, in occasione delle varie COP che si sono succedute. In effetti, siamo d’accordo, per avere un comportamento che possa favorire un miglioramento della situazione, ma non alle condizioni che ci vengono poste dai nostri partner.

Nel contesto attuale non godiamo di quell’accesso al credito che ci permetterebbe di promuovere le energie rinnovabili. È troppo caro per noi, sono investimenti che non sono alla nostra portata, non è possibile per noi. Perché per avere in prestito del denaro le condizioni imposte dalle banche non sono alla nostra portata, non possiamo rispettarle, e non possiamo continuare a vegetare nella povertà che è enorme in nome della necessità di salvare il pianeta. Non è più possibile per noi, per cui occorre cambiare il paradigma di questo dibattito, per fare in modo di poter convergere, tenendo in considerazione anche le esigenze anche dei paesi poveri come il nostro. E dobbiamo anche promuovere la scuola. Perché se questa parte dell’Africa o l’Africa in senso generale resta in queste condizioni, avremo sempre più bambini che non potranno essere istruiti, e che diventeranno una bomba, non solo per noi, ma per tutto il pianeta, non solo per gli europei, nostri vicini. Possiamo prendere tutte le misure che volete per contenere la migrazione disordinata, ma non ci riusciremo. Ecco perché abbiamo deciso di porre l’accento sull’agricoltura. Un paese come il Niger è un paese che ha un grande potenziale agricolo con delle acque nel sottosuolo che hanno quantità molto importanti e accessibili. Degli spazi molto ampi. Delle tecnologie devono essere meno care. Bisogna trovare delle formule che ci permettano di avere accesso a questi capitali. E le imprese italiane, le imprese europee, devono poter venire in Niger e investire nella nostra agricoltura. Abbiamo un potenziale importante e non siamo troppo lontani dall’Europa. Un giornale italiano mi ha chiesto di sapere quali sono i paesi più presenti nell’economia del Niger e ho riposto che le imprese più presenti sono quelle cinesi, indiane e turche. E subito dopo mi ha chiesto: “Perché non ci sono imprese europee?” e io ho risposto: “è questo il paradosso. Siamo vicini ma le aziende europee, chiedono un livello di assicurazione sul rischio che le altre non hanno chiesto, ma è un’assicurazione hanno deciso di inventare perché guardano il nostro paese attraverso una lente del tutto errate e quindi se aziende turche, cinesi, indiane possono venire a investire in Africa e guadagnare soldi, perché non potrebbero farlo le imprese europee? Eppure non lo fanno.” Tuttavia, è in parte colpa nostra il fatto di non aver creato delle condizioni che garantiscano la sicurezza, la certezza del diritto, e la sicurezza degli investimenti tout court. È vero che da noi, in particolare nel Sahel, ci sono situazioni come quelle di cui ho parlato prima, ma non costituiscono la regola generale, assoluta e generalizzata del continente africano, e soprattutto non riguardano tutti i paesi del Sahel allo stesso modo. La prova è che noi, in Niger, che siamo vicini della Libia, del Mali, del Burkina Faso, ci siamo permessi il lusso di organizzare elezioni democratiche grazie alle quali nel 2021 un presidente democraticamente eletto ha passato il testimone ad un altro presidente eletto democraticamente.

Quindi stiamo promuovendo uno stato di diritto che non ha assolutamente complessi in termini di attuazione del rispetto dei diritti rispetto a come viene fatto nei paesi europei. Di conseguenza, abbiamo deciso di industrializzare l’agricoltura in modo da dare opportunità di lavoro a quante più persone possibili in età lavorativa, anche se non hanno un’istruzione, creando le condizioni di una formazione che permetta loro proprio di vivere dell’agricoltura, e abbiamo deciso anche di porre l’accento sull’educazione. L’educazione è importantissima. Tuttavia, diciamo che da noi è proprio attraverso l’istruzione che la situazione potrà migliorare. Per esempio, da noi c’è una crescita demografica vertiginosa. Come possiamo rimediarvi? Attraverso l’istruzione, la scuola. Abbiamo quindi deciso di conseguenza di attuare le riforme necessarie al nostro sistema scolastico per renderlo più efficiente, in modo da permettergli di conferire ai ragazzi le competenze e il sapere che sono necessari affinché possano andare bene a scuola, imparare cose nuove ed essere preparati con le competenze che permettano loro di avere accesso a posti di lavoro e guadagnare dei redditi piuttosto che tornare nei villaggi ed essere esposti al rischio di avere come unica possibilità quella di arruolarsi nelle forze criminali che attualmente offrono loro forse, più prospettive. Inoltre, noi poniamo un accetto particolare sull’educazione delle donne.

Quello che accade in questo momento in Niger è che ci siamo sforzati con i nostri partner e alleati per avere scuole funzionanti in tutti le zone rurali e in tutti i villaggi. Il livello qualitativo delle scuole lascia a desiderare, questo devo dirlo, e forma poche competenze. Quello che accade più spesso è che una volta che il ragazzo ha terminato il ciclo della scuola primaria e passa alla scuola media, noi non abbiamo le possibilità di costruire collegi in tutti i villaggi e quindi lo facciamo solo in alcuni villaggi ben determinati e i ragazzi di quei villaggi dove non ci sono scuole medie si spostano in quelli dove invece ce ne sono. Ma molto spesso i genitori non permettono ai loro ragazzi, soprattutto alle femmine, di ritrovarsi nella precarietà totale, quindi hanno la tendenza a farli uscire dal sistema scolastico e quindi delle ragazze che magari a 12-13 anni dovrebbero rimanere nel sistema scolastico, da noi vengono date in moglie a qualcuno e per questo in alcune zone del nostro paese l’età media della prima gravidanza è 15 anni perché hanno lasciato la scuola. Abbiamo deciso quindi di creare delle scuole, per fare in modo che all’interno delle scuole medie rurali ci siano dei collegi dove queste ragazze possano rimanere all’interno del circuito dell’istruzione e possano quindi proseguire gli studi sino alla scuola secondaria. Quando una ragazza diventa maggiorenne in una scuola dove avrà migliorato le sue competenze, anche quando questa finisce gli studi e si sposa, l’avremo messa la riparo da due gravidanze precoci di media.

Se noi riusciamo quindi a riprodurre questa politica su vasta scala, siamo confidenti sul fatto che tramite questa iniziativa potremmo avere degli effetti tangibili sul fenomeno delle gravidanze precoci ed avremo un impatto sull’andamento demografico e sul tasso di natalità dei bambini. Ecco, quindi, quello che avevo desiderio di dirvi e farvi conoscere del nostro paese. Cambiamento climatico, forte crescita demografica e soprattutto un potenziale enorme per cui vale la pena lottare. Questa è la politica che io ho deciso di intraprendere nel mio paese e sulla quale desideriamo sensibilizzare i nostri alleati. E queste problematiche del cambiamento climatico e dell’inefficienza del sistema scolastico se non se n’è coscienti e se non ci mobilitiamo tutti insieme per farvi fronte, parleremo per sempre di immigrazione, di terrorismo. Ma continueremo ad attaccarne gli effetti e mai la causa, di questi fenomeni. Tuttavia, alcuni territori dove esistono grandi potenzialità di ricchezza in un paese come il Niger, c’è molta acqua e quindi molte fonti energetiche, una popolazione giovane, fattori che sono favorevoli per gli investimenti e che permettono di aprire a nuove opportunità e prospettive.

Ecco perché le società, le aziende, le imprese europee devono interessarsi all’Africa per investire nel nostro continente e per creare le condizioni per la produzione della ricchezza di cui abbiamo bisogno per lottare contro il fenomeno del cambiamento climatico e per migliorare l’efficienza, l’efficacia del nostro sistema scolastico in maniera da permetterci di affrontare queste due piaghe di cui vi parlavo. E soprattutto affinché il terrorismo non trovi più forma di espressione nel nostro paese. Ecco cari amici ciò che volevo dirvi per presentarvi il mio paese, il Niger. Grazie della vostra attenzione.

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