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La crisi in Tunisia parla all’Europa

La democrazia in Tunisia è stata messa in pausa. Il flusso di maturazione istituzionale innescato circa un decennio fa è stato pericolosamente bloccato da una crisi istituzionale delicatissima non solo per il paese, ma per tutta la regione del Mediterraneo Allargato.

Quanto accade a Tunisi non è sorprendente, certamente. A dieci anni dalla Primavera araba ci si è già trovati a riflettere su come l'unico risultato di successo, la creazione di un sistema democratico in Tunisia appunto, sia fragile. Indebolito da condizioni endemiche (corruzione, clientelismo, scarsa capacità statuale) e da una spaccatura interna tra le condizioni di vita sulla costa e quelle delle aree interne (dove l'abbandono e la miseria sono rimasti gli stessi del 2011).

Quella attuale è la più grande crisi che soffre il paese dalla Rivoluzione dei Gelsomini che portò alla rimozione dell'autocrazia di Ben Ali, ed è frutto dell'assenza di un'adeguata implementazione al processo democratico. Mancanza su cui pesano responsabilità degli attori interni sicuramente, ma anche quelle di un'assistenza poco convinta arrivata dall'esterno. In particolare dall'Europa.

Ora delusione, disincanto e povertà guidano il paese. A peggiorare la già critica situazione è poi arrivata la pandemia. La diffusione del SarsCoV-2 corre, la variante Delta è feroce, la curva dei nuovi contagiati cresce, gli strumenti di risposta mancano. La situazione è delicatissima: la Tunisia è uno dei paesi con più alta percentuale di morti su contagiati.

Davanti a questo, l'Italia e l'Europa dovrebbero fare uno scatto e provvedere in forma diretta ad aiutare il sistema sanitaria del paese, che significa in definitiva aiutare i tunisini – vittime innocenti come lo sono sempre le collettività.

Va chiaramente aggiunto che quanto accade in Tunisia è pericolosissimo perché si rischiano saldature e moltiplicazioni di instabilità in una regione di mondo che è prioritario interesse geostrategico per Roma, e centro delle attenzioni del mondo. Dunque il coinvolgimento va visto anche nell'ottica dell'interesse nazionale.

La crisi tra istituzioni in Tunisia non è per niente diversa a quella libica e a quella libanese. A Tripoli si fatica a trovare la via del voto, già fissato dall'Onu per dicembre, passaggio necessario per dare consistenza al processo di stabilizzazione. A Beirut lo stesso: da un anno manca il governo, aggiungendo ulteriore instabilità in un paese che ha pagato come nessun altro gli effetti della devastante guerra civile siriana.

L'Italia ha tutti gli interessi a porsi come attore di mediazione in grado di guidare l'attenzione dell'Ue su certi scenari. Attenzione imprescindibile: è proprio l'Europa a essere chiamata in causa per spingere un processo di stabilizzazione ampio (che con ogni probabilità può partire proprio dall'assistenza sanitaria, emergenziale quanto foriera di ulteriori risoluzioni più ampie).

L'Europa d'altra parte ha tutto l'interesse nel promuovere un'agenda funzionale, dialogante e comprensiva, sul proprio Vicinato Meridionale. Molti degli Stati membri hanno attenzioni nel contribuire a far uscire la Tunisia dal baratro, a costruire una forma di partenariato più privilegiato con Tunisi su molteplici settori e creare un precedente costruttivo per tutto il Maghreb e per l'area che si allunga fino al Sahel.

L'Italia ha le potenzialità per muovere le proprie carte nel teatro comune europeo. Con la Spagna per esempio, o con la Francia. L'avvicinamento tra Parigi e Roma e tra Roma e Madrid segna un importante fattore all'interno delle dinamiche intra-unione e può certamente portarsi dietro una maggiore attenzione alle policy lungo il confine meridionale dell'Europa.

Il mondo non è statico, le dinamiche sono in continua evoluzione ed è illusorio un disinteressamento a certe aree. Rinviare il problema a discussioni successive non lo risolverà, anzi ne esaspererà le condizioni critiche. Il rischio più evidente è l'innescarsi di flussi migratori sull'asse libico-tunisino verso il Mediterraneo e l'Europa, ma con Tunisi e Tripoli, con Rabat o Niamey, non si può parlare solo di immigrazione. Ossia, non si può parlare solo di noi.

Anche perché sulla crisi tunisina (così come sulle altre crisi del Mediterraneo) si muovono altri attori esterni interessati a capitalizzarne le evoluzioni e ad allargare la loro area di influenza.

Scenari di cui l'Europa (e ovviamente l'Italia) devono avere consapevolezza e in cui il peso politico e diplomatico, nonché le capacità tecnologiche e operative dell'Ue possono muovere leve di moderazione e ordine in contesti che rischiano di scivolare nel caos.

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