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La crisi tra Iran e Pakistan

Perché Iran e Pakistan, solo poche ore dopo gli attacchi e i contrattacchi aerei di martedì 16 e giovedì 18 gennaio, hanno interrotto la loro confrontation nel Baluchistan? Il punto di Guido Bolaffi

Come mai Iran e Pakistan, appena poche ore dopo gli attacchi e contrattacchi aerei di martedì 16 e giovedì 18 gennaio con morti e feriti tra le rispettive popolazioni delle aree del Baluchistan, hanno fatto pace concordando - per usare l’ironica definizione suggerita da Shekhar Gupta sulle pagine di National Interest - “an equivalent of brotherly pappi-jhappi (hugs and kisses)”?

Domanda solo all’apparenza strampalata. Visto che la singolare rapidità con cui è stata posta la parola fine a questa confrontation rafforza il sospetto che Teheran ed Islamabad siano state “spinte” allo show-down da ragioni che hanno a che vedere solo in parte con la lotta alle fazioni terroristiche che infestano l’immenso territorio (grande poco meno della Francia) che si estende dal Pakistan (per due terzi) all’Iran orientale ed all’Afghanistan meridionale fino all’importante porto di Gwadar sull’Oceano indiano.

Non fosse altro perché qualcuno deve pur spiegare il motivo per cui a differenza del passato decennio, sebbene costellato da ripetuti e sanguinosissimi assalti terroristici, l’Iran - scriveva Indian Express nell’articolo Who are the militant groups Iran, Pakistan have hit in cross-border srtrikes - martedì scorso 16 gennaio ha invece deciso di rompere gli indugi e bombardato il territorio pakistano “with the purported target of two strongholds of Jaish al-Adl (JAA), one of many Sunni Salafist militant groups fighting for independence in Iran’s Sistan and Baluchestan province that emerged in 2012 out of the older Jundallah organisation after its leader Abdolmalek Rigi was captured and executed by Iran two years earlier”.

Ed il Pakistan, due giorni dopo, si è spinto “with a second cross-border attack on a neighbour (the first was when it downed India’s fighter jets and captured an Indian pilot in 2019) to strike Iran-based hideouts of two Baloch militant groups - the Baloch Liberation Front (BLF) and the Balochistan Liberation Army (BLA)”.

Un vero e proprio azzardo che a parere di molti osservatori, oltre alla incandescente tensione geopolitica che dal Medio Oriente si irradia all’Asia centro-meridionale, ed alla faida mai risolta tra musulmani sciiti e sunniti, si potrebbe spiegare con il tentativo dei governanti dei due paesi di sviare l’attenzione interna della pubblica opinione dalle serie difficoltà che, sia pure in diversa misura e modalità, agitano la vita politica delle rispettive nazioni.

Nel caso dell’Iran, infatti, spiegava sul Financial Times Sanam Vakil, direttrice del Middle East programme at Chatham House: “Iran’s number one priority is Iran, and we should never forget that Iran will not mobilise its own forces unless it is directly hit. The regime ultimate goal is self-preservation. It has a forward defence strategy that it has put into place and has tried to push its perceived threats far away”. Atteggiamento reso ancora più battagliero vista l’alta probabilità che in Pakistan, alle ormai prossime elezioni e grazie all’appoggio della strapotente casta militare venga rieletto come Primo Ministro Nawaz Sharif. Lo stesso che, spiegava Arjun Sengupta nel pezzo Iran, Pakistan and the Baloch militancy After becoming Prime Minister in June 2013 moved to undo Pakistan’s pro-Iran tilt, strengthened relationships with other Arab allies and blocked the Iran-Pakistan gas pipeline project”.

Mentre per quel che riguarda il Pakistan basta leggere le note pubblicate da Christina Goldbaum e Salman Masood sul New York Times del 19 gennaio: “For the Pakistani military was important to send a clear message that violations of its sovereignty would not be tolerated [but] quickly forward its retaliatory action with another message that signaled that it was seeking de-escalation by calling the two nations brotherly countries and urging dialogue and cooperation”.

Infatti, spiegava Michael Kugelman rispondendo ad un quesito postogli dai due editorialisti del quotidiano newyorkese: “At a moment when Pakistan is experiencing some of its most serious internal turmoil in years if not in decades, the last thing it can afford is more escalations and a heightened risk of conflict with Iran [...] For Pakistan to be locked in serious tensions with not one or two but three neighbors it’s a geopolitical worst-case scenario”.

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