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La Libia e la strategia russa per l’Africa

Instabilità, confini porosi e la posizione centrale del paese potrebbero garantire a Mosca un asset strategico per la sua penetrazione nel continente africano e un nuovo avamposto sul Mediterraneo.

Sharaf Maksumov / Shutterstock.com

Nel corso delle ultime settimane è emerso con evidenza come in Libia stia continuando a crescere l’influenza della Federazione Russa. Facendo perno sulla spaccatura tra l’Est e l’Ovest del paese, Mosca ha negli anni portato avanti una precisa opera di infiltrazione politica, economica e militare, soprattutto nelle aree poste sotto il controllo del generale Khalifa Haftar. Non da ultimo, il 22 febbraio si è svolta a Tripoli la cerimonia di riapertura ufficiale dell’ambasciata russa, con l’ambasciatore, Aydar Aghanin, che ha anche annunciato la futura inaugurazione, entro l’anno, di un consolato generale a Bengasi.

La condizione di instabilità in cui verte la Libia ha, infatti, favorito il proliferare di violenze e attività criminali che hanno costituito anche un terreno fertile per le attività di Mosca nel paese. Nonostante l’opera di mediazione portata avanti dall’Onu e, in particolar modo, da Italia e Ue, tutti i diversi stakeholder nazionali hanno imposto delle condizioni mutualmente escludibili, tali per cui ancora coesistono due governi (Governo di Unità Nazionale di Tripoli e Governo di Stabilità Nazionale di Sirte), due parlamenti (Alto Consiglio di Stato e Camera dei Rappresentanti), un’autorità tripartita a occidente che svolge le funzioni di presidenza (il Consiglio Presidenziale) e un ente attivo nelle regioni centromeridionali che esercita l’autorità de facto – l’autoproclamato Esercito Nazionale Libico (LNA) di Khalifa Haftar.

In questa spaccatura politico-istituzionale si è incuneata la Russia, che, come detto, ha nel tempo ancorato la propria penetrazione nel paese al sostegno nei confronti di Haftar. Da agosto ad oggi, ad esempio, vi sono stati diversi incontri a Bengasi tra il generale dell’LNA e il viceministro della Difesa russo, Yunus-Bek Yevkurov, mentre a settembre Haftar è stato ricevuto a Mosca dal presidente, Vladimir Putin, e dal ministro della Difesa, Sergej Šojgu. Al centro delle numerose interlocuzioni vi sarebbe stata l’intenzione di incrementare l’utilizzo di alcuni asset logistici e militari sotto il controllo dell’LNA, di rafforzare il controllo su parte delle infrastrutture energetiche collegate con l’Europa (quali El-Sharara – il principale sito petrolifero della Libia –, es-Sider, Ras Lanuf e Zuetina) e di controllare e condizionare le rotte migratorie illegali dirette verso il Vecchio Continente.

Ma l’attenzione del Cremlino per il territorio libico si esplica anche nel tentativo di costruire una base militare navale in Cirenaica, nei porti di Tobruk o Bengasi. La posizione geografica del paese nordafricano, centrale sia rispetto al Mediterraneo, verso Nord, che al resto del continente, verso Sud, e la porosità dei suoi confini assicurano infatti alla Russia la possibilità di migliorare la propria proiezione, anche militare, in Nord Africa, nel Sahel e nel Mar Rosso. Ma anche la capacità di influenza e di ingerenza nella regione, al fine di sfruttare eventuali elementi di instabilità e insicurezza.

Il progetto di insediamento in Cirenaica, se realizzato, potrebbe costituire un ulteriore avamposto navale russo nel Mediterraneo, dopo quello siriano consolidato di Tartus e quello più volte auspicato di Port Sudan, nel Mar Rosso. A differenza degli altri due, il porto libico sarebbe però a meno di 700 km dalle coste della Sicilia.

A tal riguardo, è importante anche segnalare come Mosca, sfruttando la presenza in loco delle truppe del Wagner Group (oggi chiamato Africa Corps), sia riuscita a rafforzare le proprie capacità logistiche e ad estendere le connessioni con gli altri paesi dell’area, in primis i confinanti Sudan, Niger e Ciad, oltre a Mali, Burkina Faso e Repubblica Centrale Africana. Tutti paesi dove le milizie mercenarie russe hanno conquistato importanti posizioni.

La “collaborazione” con Haftar ha permesso al gruppo di stabilire posizioni strategiche nel territorio libico, con lo schieramento nel paese di un contingente tra le 800 e le 1000 unità. Il principale nucleo operativo dell’Africa Corps nel paese avrebbe sede nella Libia centrale, presso la base aerea di Al-Jufra – situata in una posizione cruciale per il controllo delle rotte commerciali e dei terminal petroliferi – a cui si aggiungono i siti di Brak al-Shati e di Sirte.

Nel mese di novembre proprio da Al-Jufra sarebbe stato disposto il trasferimento di alcune unità per rinforzare le truppe schierate nella Libia sud-occidentale, così come più di recente sarebbero stati recapitati nella zona orientale ingenti quantitativi di armi ed equipaggiamento militare pesante. Data la vicinanza con i paesi del Sahel, potrebbe darsi che questi rifornimenti vengano inviati a sostegno delle giunte filorusse che popolano la regione. O potrebbero essere impiegati nel teatro libico per una eventuale escalation militare contro Tripoli e per rafforzare la spirale cleptocratica già in essere rispetto ai proventi di petrolio, gas, oro e del narcotraffico.

Anche per questo motivo, l’accresciuta presenza russa in Libia aggiunge un elemento di complicazione al già instabile quadro del paese e dell’area. In linea con quanto avviene nell’intera regione del Mediterraneo allargato, che assiste al consolidamento di un arco di instabilità che dall’Ucraina, tocca il Corno d’Africa, passando per Gaza e per il Mar Rosso e a un parallelo insediamento e allargamento della presenza russa in alcuni paesi strategici. Uno scenario che non lascia dubbi circa i nuovi rischi emergenti per la sicurezza dei confini meridionali dell’Europa e della NATO.

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