La Libia sull'orlo del conflitto
Il ruolo dell'Italia tra diplomazia e deterrenza. Il punto di Daniele Ruvinetti

La Libia appare nuovamente sull'orlo di un conflitto armato, ennesima situazione al limite di questo decennio che ha visto il Paese afflitto da un’instabilità ormai sistemica. Tripoli è diventata in questi ultimi mesi il fulcro di una tensione crescente, alimentata dalla volontà del premier Abdul Hamid Dbeibah di consolidare il controllo sulle forze armate dell'ovest e ridimensionare le milizie rivali, in particolare il gruppo Rada (Dispositivo di Deterrenza Speciale). Un tentativo estremo di salvare il suo esecutivo – il Governo di Unità Nazionale, GNU, precedentemente incaricato dall’Onu – da un destino ormai da tempo evidente: il capolinea di un’esperienza che ha visto Debeibah dapprima cercare di unire il Paese, per poi fallire nel tentativo di indire elezioni (già nel 2021) e infine alimentare divisioni e complessità interne. Le mobilitazioni militari intorno alla capitale, i movimenti delle forze di Misurata e Gharyan, le esplosioni sospette a depositi di armi e i posti di blocco nelle strade visti in queste ultime settimane evocano scenari già vissuti, con il rischio concreto che il Paese ripiombi in una spirale di violenza.
Le Nazioni Unite hanno lanciato ripetuti allarmi, mettendo in guardia dal pericolo che un nuovo conflitto a Tripoli possa rapidamente estendersi ad altre regioni – innanzitutto il Mediterraneo, ossia il bacino geostrategico primario dell’Italia. La Missione Onu (Unsmil) e il Comitato 5+5 (l’organismo militare congiunto istituito dopo il cessate il fuoco del 2020 per facilitare la de-escalation e monitorare le intese tra le parti) hanno chiesto a tutte le forze di rientrare nelle basi di appartenenza e di astenersi da azioni unilaterali, sottolineando la necessità di proteggere i civili e di mantenere in vita il fragile processo politico.
Sono innanzitutto le tensioni interne a Tripoli a meritare un approfondimento specifico, perché è da qui che molto nasce. La milizia Rada, ad esempio, non è soltanto un gruppo armato ma controlla infrastrutture strategiche come l’aeroporto e il carcere di Mitiga (dove sono detenuti anche jihadisti di al-Qaeda e ISIS). La sua forza deriva anche da alleanze fluide: contatti con Haftar, rapporti con il Consiglio Presidenziale e un legame ambiguo con la Turchia, che la rendono un attore ibrido e difficilmente incasellabile. In modo del tutto simile, altre milizie si sono fatte largo nel complesso mosaico libico. Finché il GNU è riuscito a mantenere un equilibrio con esse – sostanzialmente foraggiando l’equilibrio di potere – l’instabilità è rimasta controllata. Ma attualmente Dbeibah ha difficoltà a gestire il bilancio, bloccato anche da una diatriba con la Banca Centrale Libica (connessa anche all’accesso ai proventi petroliferi). E quindi sicurezza, fondi, energia – tutto collegato in un caos sistemico.
Intanto la popolazione civile vive in una costante incertezza, tra posti di blocco, spari sporadici e timori di una nuova guerra urbana che aggraverebbe l’emergenza umanitaria. A questo si somma la fragilità istituzionale del GNU, la cui legittimità è stata erosa dal mancato svolgimento delle elezioni del 2021, fattore che ha rafforzato il potere delle milizie come alternative allo Stato. Se le tensioni dovessero degenerare, il rischio è però anche legato alla possibilità che attori esterni – Russia, Egitto, Emirati o anche la stessa Turchia – possano sfruttare il caos per rafforzare la propria influenza.
Accanto alle tensioni interne, emergono infatti nuove manovre regionali. Ankara, storico sponsor del governo di Tripoli, mantiene uomini a Mitiga ma sembra riorientare parte della propria strategia verso un dialogo con Haftar e i suoi alleati. Negli Emirati Arabi Uniti si susseguono incontri che vedono protagonisti Khalifa e Saddam Haftar, e si intensificano i contatti tra la milizia Rada e le forze di Bengasi, fino a ipotizzare un'integrazione sotto l'ombrello dell'LNA (Libyan National Army, la formazione guidata da Khalifa Haftar con base nella Cirenaica). Parallelamente, l'Egitto e gli Emirati rafforzano il loro sostegno agli Haftar, mentre la Russia, attraverso il ridispiegamento di risorse già presenti in Siria, torna a proiettare influenza a est.
In questo quadro instabile, si affacciano anche gli Stati Uniti: la scorsa settimana, a Roma, Massad Boulos, consigliere del presidente Donald Trump per gli Affari Africani, ha preso parte a un incontro senza precedenti tra Ibrahim Dabaiba (nipote e consigliere del premier del GUN di Tripoli) e Saddam Haftar (figlio di Khalifa e vicecomandante dell'LNA), reso possibile dalla mediazione congiunta di Italia e Stati Uniti – il che rappresenta un segnale politico rilevante.
Qui si apre lo spazio dell'Italia, che cerca di confermare la centralità in un dossier storicamente primario nella propria agenda. Il recente incontro a Roma tra il viceministro della Difesa libico Abdulsalam Zoubi, i ministri Guido Crosetto e Matteo Piantedosi e i vertici dell'intelligence italiana, riflette la volontà di sostenere le capacità istituzionali del ministero della Difesa libico, fornendo addestramento e supporto tecnico.
Gli avvertimenti delle Nazioni Unite, i tentativi di mediazione – molti dei quali facilitati anche dall’Italia – tra le fazioni libiche e gli sforzi di Ankara per dissuadere un’azione militare si scontrano con la determinazione del premier di Tripoli a rafforzare il proprio controllo sull’ovest del Paese. In un recente intervento televisivo, Dbeibah ha sottolineato che il governo intende portare avanti il piano di sicurezza, non arretrare nello smantellamento delle milizie e riportare sotto l’autorità statale tutte le infrastrutture strategiche – porti, aeroporti e carceri. Ha definito le formazioni armate gruppi criminali che si rifiutano di integrarsi nelle istituzioni ufficiali, accusandole di agire come un vero e proprio colpo di mano contro lo Stato e di esercitare ricatti sulle strutture pubbliche – anche se proprio queste finora hanno garantito la prosecuzione delle attività governo.
A spiegare la durezza attuale di Dbeibah c’è anche un fattore politico-istituzionale: UNSMIL ha presentato una roadmap della durata di circa due mesi che punta a un’intesa tra Est e Ovest per rimodellare l’Alta Commissione elettorale (oggi incompleta) e creare un nuovo governo unificato di scopo, con l’obiettivo di accompagnare il Paese verso elezioni nazionali. Per il premier, mostrare fermezza contro le milizie diventa dunque una questione di sopravvivenza politica, in risposta all’agenda fissata dalle Nazioni Unite.