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La Turchia alla luce delle elezioni locali

Il 31 marzo in Turchia si sono svolte le elezioni locali. Una breve analisi dei risultati a cura di Denise Coco e Giovanni Caprara

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Le elezioni locali turche del 31 marzo hanno segnato un “punto a sfavore” per il Partito di Giustizia e Sviluppo (AKP) del presidente Erdoğan. Secondo i dati diffusi dal Consiglio supremo elettorale turco (YSK), le consultazioni, che si sono tenute a meno di un anno di distanza dalle elezioni presidenziali del 14 maggio, hanno visto un’affluenza alle urne del 78,7%, un calo rispetto alla partecipazione elettorale del 84,6% delle precedenti elezioni amministrative del 2019. Il Partito repubblicano del popolo (CHP), principale forza di opposizione, ha ottenuto il 37,77% dei voti. La maggioranza delle preferenze si è registrata ad Ankara e a Istanbul, dove, nel 2019, fu eletto sindaco Ekrem İmamoğlu, rendendo le due città le nuove roccaforti dell’opposizione.

Figura di spicco nell’attuale panorama politico turco, İmamoğlu gode di un’ampia popolarità soprattutto tra i più giovani che vedono in lui un’opportunità per la modernizzazione del paese riguardo i diritti civili. Il partito di governo, invece, ha raggiunto il 35,49% dei consensi, concentrati per lo più nell’Anatolia centrale e nelle zone rurali del paese. Anche se la differenza potrebbe sembrare non particolarmente significativa, si tratta, comunque, di uno dei risultati più bassi della storia politica del CHP. Una vittoria, dunque, per l’opposizione che domenica ha ottenuto 26 dei 39 distretti di Istanbul, tra cui anche la circoscrizione di residenza di Erdoğan. Ottimi risultati anche per il partito islamista YRP e per il partito progressista e filo-curdo HEDEP (ex HDP), che hanno ottenuto rispettivamente il 6,19% e il 5,70% dei voti nelle province orientali del paese, a maggioranza curda, colpite dal devastante terremoto del 6 febbraio dello scorso anno. Un dato interessante, quest’ultimo, se si considera che all’indomani del sisma del febbraio 2023 gli elettori turco-curdi avevano premiato l’AKP alle elezioni presidenziali, consentendo a Erdoğan di riconfermarsi alla guida del paese per un’altra legislatura.

Per quanto riguarda l’alleato di governo di AKP, MHP, (ex Lupi Grigi) ha raggiunto il 4,99% dei consensi, mentre il partito di opposizione IYI, guidato da Meral Akşener, ha ottenuto il 3,77%. La bassa percentuale di voti ottenuti da IYI è legata alla spaccatura in seno alla coalizione d’opposizione emersa durante la campagna elettorale dello scorso maggio: Akşener proponeva la nomina di İmamoğlu come candidato dell’opposizione; il CHP, forza trainante dell’alleanza, suggeriva la candidatura di Kilicdaroglu, ex leader del partito. Dopo la riconferma di Erdoğan, Akşener ha pubblicamente accusato il CHP di aver nominato un candidato poco carismatico e lontano dai giovani, elementi che avrebbero portato alla sconfitta di Kilicdaroglu.

Si tratta, dunque, di una vittoria significativa per gli equilibri nella maggioranza di governo, perchè restituisce l’immagine di una Turchia in evoluzione che chiede alla classe politica un cambio di passo. Durante la campagna elettorale i media filo-governativi descrivevano il CHP come un partito “elitario”, visto il forte sostegno espresso nelle aree occidentali e più industrializzate del paese. Tuttavia, i risultati di domenica scorsa mostrano un ampliamento della base elettorale dell’opposizione anche in Anatolia centrale, territorio storicamente controllato da AKP. Quest’ultimo continua, invece, ad avere una presa significativa nelle province che si affacciano sul Mar Nero, complice anche, sull’altra sponda del bacino, il sostegno alla campagna elettorale dell’AKP più volte espresso dal presidente Vladimir Putin.

Il CHP, però, non è stato l’unico avversario con cui il partito di maggioranza ha dovuto fare i conti. Nel contesto politico determinato dalle elezioni, infatti, è utile prendere in considerazione anche le forze politiche emergenti, espressione di diversi elementi della società turca in evoluzione. Il partito islamico e nazionalista YRP si conferma come terzo polo politico, ponendosi in contrapposizione con il movimento islamico supportato da AKP, Hüda Par. Con la sua visione nazionalista, che unisce l’identità turca a quella islamica, YRP, pur non facendo parte della coalizione di opposizione nota come Tavolo a Sei, ha sottratto voti al partito del presidente in Anatolia centrale, favorendo indirettamente l’ascesa del CHP. Al centro dello scontro politico tra le due fazioni, vi è stata l’aspra critica di YRP che, in campagna elettorale, ha accusato Erdoğan di mantenere rapporti commerciali con Israele nonostante il netto schieramento della Turchia a sostegno della causa palestinese.

Malgrado l’apparente contraddizione, la vittoria di YRP potrebbe rappresentare il “punto di svolta” per un rinnovamento dell’AKP. Sebbene Erdoğan non abbia espressamente parlato di “sconfitta elettorale”, ha riconosciuto le mancanze del proprio partito, aggiungendo che queste elezioni hanno restituito l’immagine di un cambiamento nella mentalità degli elettori che non si riconoscono più in alcuni valori del partito di maggioranza. A questo proposito, un possibile avvicinamento dell’AKP con l’YRP potrebbe aumentare i consensi e ampliare il sostegno elettorale al partito del presidente. Lo storico alleato di maggioranza, MHP, movimento estremista e nazionalista, sembra non riuscire più a soddisfare le richieste dei cittadini, che vorrebbero una forza più moderata ed equilibrata, seppur conservatrice. D’altro canto, Hüda Par, noto per la sua vicinanza alle milizie di Hezbollah, nelle scorse elezioni parlamentari ha ottenuto solamente quattro seggi, segnando un punto a sfavore per il presidente che aveva contato molto sul consenso della fascia di elettori islamista e tradizionalista. Elementi, questi, che potrebbero rimescolare le carte in tavola per il quinquennio di Erdoğan.

Cos’altro ci dicono i risultati elettorali appena esaminati? Le difficoltà economiche del paese sono indubbiamente uno dei motivi principali della sconfitta del partito al governo. L’elevata inflazione, che si attesta al 68,5% nel mese di marzo, ha colpito profondamente l’elettorato di AKP. In particolare, servizi di primaria importanza come l’educazione, la sanità e i trasporti hanno subito le oscillazioni più rilevanti. Inoltre, un recente sondaggio condotto da Middle East Eye mostra come la fascia d’età dei soggetti pensionati, che storicamente supportano AKP, è in maggioranza delusa dalle politiche del governo. Infatti, se lo scorso anno, prima delle elezioni generali, il governo aveva adottato misure quali la riduzione dell’età pensionabile e l’aumento del salario minimo, oggi la portata di tali provvedimenti è attenuata dalla condizione di crisi dell’economia turca. Dopo la vittoria alle elezioni presidenziali, comunque, Erdoğan ha invertito la tendenza generale della politica monetaria del paese e le nomine di Mehmet Şimşek al Tesoro e di Hafize Gaye Erkan (poi sostituita da Fatih Karahan) alla Banca Centrale turca (CBT) segnano un ritorno a una politica economica ortodossa da parte di Ankara.

Tuttavia, l’inflazione non è l’unica causa di natura economica ad aver determinato la sconfitta di AKP. Come ha affermato l’economista turco Hakan Kara, osservare l’indice di fiducia dei consumatori aiuta a comprendere le ragioni del risultato elettorale. L’indicatore si attesta al 79% e, secondo Kara, nei casi definiti critici” scende al di sotto dell’80%. Negli ultimi 12 anni, solo in un altro momento si era registrato un indice di fiducia simile: alle elezioni locali del 2019, quando AKP aveva ottenuto complessivamente una vittoria, seppur perdendo il governo delle città più importanti del paese. Nonostante la sconfitta subita il 31 marzo, sembrerebbe che Erdoğan sia orientato a mantenere le politiche economiche adottate nel 2023, che prevedono un marcato incremento dei tassi di interesse di riferimento, la ricerca di capitali sul mercato estero e l’attuazione di partnership economico-commerciali a livello internazionale. Proprio il mese scorso, i tassi della CBT hanno subito un altro incremento, dal 45% al 50%, per via della mancata riduzione dell’inflazione. Il comitato di politica monetaria della Banca centrale ha sottolineato che l’orientamento monetario restrittivo sarà mantenuto fino a quando non si osserverà un calo significativo e duraturo della tendenza di fondo dell’inflazione mensile.

In conclusione, la reazione misurata di Erdoğan di fronte alla sconfitta elettorale potrebbe rassicurare gli investitori sull’operato del governo in politica monetaria e, dopo una fase di iniziale incertezza sui mercati, la prospettiva sul medio-lungo periodo appare più stabile rispetto agli anni passati. Quel che sembra evidente è che, nei prossimi mesi, l’operato del governo sarà focalizzato sul risanare l’economia e riavvicinarsi all’elettorato conservatore turco.

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