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L’Egitto di Al-Sisi, tra sfide attuali e incognite future

In Egitto, al perdurare della grave crisi economica si aggiungono l’instabilità del Mar Rosso e le ripercussioni del conflitto nella vicina Striscia di Gaza. Il punto di Daniele Ruvinetti

La riconferma elettorale per Abdel Fattah al-Sisi arriva in un momento in cui l’Egitto si trova ad affrontare due dossier concatenati e altamente complessi, che fanno da misura alla continuità delle sfide che coinvolgono il paese. Da un lato c’è la cogestione della guerra israeliana a Gaza, dall’altro la destabilizzazione del Mar Rosso a causa degli attacchi degli Houthi.

Su Gaza, Il Cairo ha diritto di prelazione. Storico attore chiave negli affari palestinesi, l’Egitto è coinvolto ancora di più nel contesto attuale, con il rischio che i profughi fuggiti dalla Striscia arrivino a sensibilizzare un problema interno – l’immigrazione – e a creare pressione su un governo che deve fare i conti con l’economia non certo eccezionale.

Su essa pesa la situazione nel Mar Rosso. I continui attacchi dei miliziani yemeniti hanno distrutto il traffico commerciale che usa Suez come collegamento rapido tra Europa e Asia. Non è secondario per un paese che ogni anno trae 9 miliardi di introiti (record raggiunto nel 2023) dai diritti di passaggio lungo lo stretto. Passaggio che in futuro – esposto com’è alle intemperie degli scalmanati attori regionali, statali e non – potrebbe essere bypassato da altre forme di collegamento.

Sotto quest’ottica, dato che il risultato elettorale è tutt’altro che sorprendente, diventa fondamentale valutare a distanza come Sisi cavalcherà certi flutti. Problemi extra rispetto a quelli che affliggono l’Egitto e che il nuovo/vecchio presidente dovrà affrontare contemporaneamente.

L’Egitto sta vivendo una crisi economica senza precedenti, la più grave dalla rivoluzione del 2011. L’alta inflazione rende inaccessibile il costo della vita per molti e mette sotto pressione la vita quotidiana degli egiziani, i cui salari non sono riusciti a tenere il passo con l’aumento dei prezzi dei beni sussidiati. La brusca caduta della sterlina egiziana rispetto al dollaro ha portato a una maggiore competizione per la valuta forte, necessaria per pagare beni stranieri, e un conseguente calo delle importazioni.

Il governo attribuisce la malattia economica alla pandemia da coronavirus, alla guerra in Ucraina e ora alla guerra nella vicina Striscia di Gaza, insistendo sul fatto che tali circostanze sfuggono al controllo dell’esecutivo.

È chiaramente un proxy narrativo, che in parte ha anche facilitato la rielezione di Sisi. Ma il governo sta anche aumentando il debito nazionale, inclusa l’acquisizione di prestiti internazionali, per finanziare progetti infrastrutturali giganteschi – come quelli per una nuova capitale – senza un reale potenziale di ritorno finanziario. Anche questi sono parte della narrazione e di una necessità strategica per mantenere vivo il paese nel contesto internazionale.

Questione che passa anche dalla crisi di Gaza e del Mar Rosso, sebbene a livello di percezione popolare la sfida principale per Sisi sia proprio la gestione della situazione economica – arrivata a un livello tale che circa un terzo della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Il contesto che continua a deteriorarsi potrebbe portare a un malcontento popolare in grado di destabilizzare notevolmente il sistema politico egiziano. È già successo, la storia insegna sempre.

Mentre la struttura legale che assicura l’assenza di una vera opposizione è rimasta invariata dalle elezioni del 2018, quando al-Sisi ha ottenuto il 97 percento dei voti, il passaggio ai tre candidati “simbolici” rivela un cambiamento nella strategia politica del presidente. L’obiettivo delle elezioni è stato prevenire eventuali fratture all’interno delle élites, che potrebbero minare l’equilibrio attorno al potere.

L’autorità presidenziale ha, infatti, bisogno di un impegno di fedeltà da parte dell’élite, specialmente in mezzo alle crescenti critiche sul modello di sviluppo previsto per la green economy egiziana. Questione strategica interna, con la sopravvivenza di al-Sisi che dipende dal successo della sua Vision 2030.

È vero che ci sono probabili nuovi prestiti in arrivo, come l’ipotetica iniezione di ulteriori 5 miliardi di dollari da parte dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti nella banca centrale, oltre alla potenziale espansione del prestito di 3 miliardi dal Fondo Monetario Internazionale. Ma essi sono più un riflesso della significatività strategica dell’Egitto – riaffermata anche dal ruolo del Cairo nella guerra a Gaza – che un impegno di Sisi a intraprendere una nuova direzione politica.

Anche perché una parte significativa di eventuali nuovi prestiti verrà probabilmente destinata a coprire i cospicui debiti dell’Egitto. Il paese è, infatti, obbligato a pagare 29,2 miliardi di dollari per il servizio del debito esterno nel 2024, e per onorare certi impegni Il Cairo è sempre più dipendente dall’assistenza esterna. È evidente che per gran parte della comunità internazionale l’Egitto è di estrema importanza, a causa delle dimensioni della sua popolazione e della sua posizione geopolitica. E dunque nessuno vuole che Il Cairo fallisca, anzi. Ma oltre agli aiuti esterni, il nuovo mandato di Sisi avrà bisogno di azioni concrete interne.

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