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Libia: l’HCS interrompe il dialogo con la Camera dei Rappresentanti

In Libia la crisi non sembra destinata a ricomporsi: quali sono i rischi della rottura tra Alto Consiglio di Stato e Camera dei Rappresentanti? Il punto di Daniele Ruvinetti

Hussein Eddeb / Shutterstock.com

In Libia, l’Alto Consiglio di Stato (HCS) ha votato (68 voti favorevoli su 79 totali) per l’interruzione del dialogo con la Camera dei Rappresentanti (HoR), aumentando il livello di sensibilizzazione su un dossier che è sempre più in disequilibrio.

L’organo istituzionale con sede a Tripoli (che ha una funzione simile al Senato) ha deciso di rompere con l’HoR (che è dal 2014 auto-esiliata a Tobruk, nell’Est del Paese), dopo che questa aveva approvato nei giorni scorsi una legge per istituire una Corte Costituzionale che avrebbe dovuto avere sede a Bengasi (in Cirenaica).

In una dichiarazione, il Consiglio ha affermato che la mossa mostra “disprezzo per il principio della separazione dei poteri e l’indipendenza della magistratura”. Il presidente dell’HCS, Khalid Al-Mishri, ha poi annunciato la sospensione delle comunicazioni con il presidente del Parlamento, Aguila Saleh, fino alla revoca della legge. “Non riteniamo che la legge che istituisce la Corte Costituzionale rientri tra i poteri legislativi. Si tratta piuttosto di una questione costituzionale”, ha dichiarato in un comunicato.

Il Parlamento libico, nel frattempo, ha difeso la mossa legislativa, affermando che essa “realizza le necessità di giustizia della Libia e non ha alcun effetto sul percorso costituzionale”. In una dichiarazione, Saleh ha definito la legge come “un’affermazione della protezione delle libertà e dei diritti e un’aggiunta di una magistratura specializzata in questioni costituzionali”.

Quanto accade complica ulteriormente la situazione nel Paese. Il dialogo tra Alto Consiglio di Stato e Camera dei Rappresentanti è stato lanciato da Mishri e Saleh durante un vertice in Marocco (a ottobre), nel quale i due leader libici si erano impegnati a lavorare per appianare le divisioni, riunificare le istituzioni, redigere una costituzione.

Vale la pena ricordare che in Libia ci sono di fatto due governi privi del riconoscimento completo e del controllo territoriale per amministrare il Paese. A Tripoli c’è l’esecutivo guidato da Abdul Hamid Dbeibeh, che ha perso la fiducia parlamentare ma resta nella capitale sostenuto da alcune milizie locali; a Tobruk c’è il governo di Fathi Bashagha che ha ricevuto l’avallo dall’HoR, ma non ha mai implementato questa fiducia. Nel mezzo si muovono vari gruppi organizzati armati che spesso cambiano casacca, mentre la regione meridionale del Fezzan è parte di dinamiche quasi a sé stanti (legate al controllo tribale sul territorio).

In un simile contesto, la rottura del dialogo istituzionale tra la Camera e il Consiglio rischia di essere deleteria perché potrebbe far aumentare i momenti di attrito, amplificare gli scontri già in essere e allontanare la stabilizzazione.

Ora, mentre la suddetta divisione non pare destinata a ricomporsi, l’Onu ha tentato di muovere le carte lanciando una nuova iniziativa guidata dall’Inviato Speciale delle Nazioni Unite, il senegalese Abdoulaye Bathily, per superare l’impasse insieme al Consiglio Presidenziale. È evidente come l’Onu non possa ignorare nessuna delle anime presenti nel Paese al fine di trovare una soluzione che sia più inclusiva possibile.

Sotto quest’ottica, l’aumento dell’impegno e del coinvolgimento del Consiglio Presidenziale nel cercare di risolvere la crisi è assolutamente apprezzabile. Il Consiglio Presidenziale, retto dall’indipendente Mohamed Younis Ahmed Al-Manfi, ha un compito simile a quello della Presidenza della Repubblica, e potrebbe decidere secondo terzietà e interesse nazionale.

La Libia è in una fase di emergenza. Il Consiglio Presidenziale in questo contesto potrebbe bypassare la crisi tra HoR e HCS e intestarsi il lancio di un nuovo percorso politico-esecutivo che riesca a stabilizzare il Paese e portare i libici alle urne nel più breve tempo possibile. Sembra ormai una ripetizione, ma il rischio che tutto precipiti in un nuovo conflitto – con le vaste conseguenze che questo potrebbe comportare per il Mediterraneo allargato – è più che reale.

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