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L’opzione nucleare del Marocco, tra Russia e Israele

di Alessandro Giuli

Come il Marocco mira all'indipendenza energetica, anche attraverso il nucleare civile. Il punto di Alessandro Giuli

Lontano dai grandi riflettori mediatici, il Regno del Marocco viaggia con una certa sicurezza verso il traguardo di un’indipendenza energetica nucleare per fini civili e pacifici. Sia nel quadro delle tradizionali alleanze occidentali culminate nella sottoscrizione degli Accordi di Abramo nel 2020, e ora premiate con un prezioso trasferimento di tecnologia da parte israeliana; sia attraverso il perfezionamento di un accordo bilaterale con Mosca risalente al 2017, a cinque anni dall’inizio della “operazione speciale” di guerra in Ucraina. A tale riguardo, nei giorni scorsi, il primo ministro russo, Mikhaïl Mishustin, ha appunto ufficializzato la concretizzazione di un accordo bilaterale “in materia di cooperazione nucleare”. Il partenariato si colloca in un quadro di riferimento infrastrutturale che comprende anche impianti di desalinizzazione dell’acqua marina e acceleratori di particelle elementari, ma il cuore dell’accordo pertiene la costruzione di reattori nucleari. Il “gigante” di Stato russo Rosatom si occuperà della gestione del combustibile atomico, dello smaltimento delle scorie, dell’esplorazione di giacimenti d’uranio e della formazione del personale mobilitato dal Centro nazionale dell’energia, delle scienze e della tecnologia nucleare di Rabat (CNESTEN).

Il Marocco dispone al momento di un centro di ricerca nucleare situato a Mâamora, nel quale è attiva la formazione di radionuclidi impiegati nelle terapie oncologiche. Sebbene non sia ancora in grado di produrre energia elettrica, l’avanzamento tecnologico in corso è ritenuto dall’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA) come un segnale positivo che rende “il Marocco un attore chiave in Africa per la diffusione di esperienza, competenza e sviluppo durevole della tecnologia nucleare per un mondo più sicuro, più sano e più giusto”, come ha dichiarato il direttore generale Rafael Grossi nel corso di un incontro con il ministro degli Affari esteri di Rabat, Nasser Bourita.

Contestualmente il Regno di Mohammed VI ha siglato un accordo analogo con Gerusalemme, reso noto dal direttore generale della Commissione israeliana per l’energia atomica (IAEC) Moshe Edri. Il consolidamento della normalizzazione nei rapporti bilaterali tra i due Stati s’inserisce in un contesto regionale complicato dall’annoso conflitto strategico a bassa intensità con l’Algeria e rende attuale l’interrogativo posto sul sito della Israel-Valley dal vice presidente della Camera di commercio israelo-marocchina Daniel Rouach: Rabat si appresta a entrare nel novero delle potenze nucleari globali? In via ufficiale, l’obiettivo è quello di ridurre i costi energetici e le emissioni di anidride carbonica da fonti fossili per accelerare il passaggio verso una “economia verde”. L’accesso all’atomo rientra in un progetto di diversificazione dell’approvvigionamento incoraggiato dalla Francia sin dal 2007, quando l’allora presidente Nicolas Sarkozy preannunciò a Marrakech l’avvio di un accordo quadro dal valore di 3 miliardi in contratti commerciali per la cooperazione sul nucleare civile. L’Eliseo immaginava di controbilanciare il monopolio del rivale algerino sugli idrocarburi attraverso lo sfruttamento dei fosfati marocchini in un “grande cantiere industriale” da costruire sulla base d’uno studio di fattibilità affidato alla francese Areva. Negli anni, l’oscillazione dei rapporti tra Parigi e Algeri ha reso intermittente l’incidenza francese ma non ha rallentato il piano, che anzi ha subìto una decisa accelerazione dal 2015 (come ha confermato la ministra della Transizione energetica Leïla Benali) e ha ricevuto il placet dell’AIEA nel 2016. Oggi si può ragionevolmente sostenere che il Marocco ha accumulato una base importante di conoscenza per la produzione di elettricità dall’atomo, ma l’opzione nucleare di Rabat non rientra più nell’esclusiva sfera d’influenza dell’Esagono.

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