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Mediterraneo: un quadrante strategico del pianeta

Nel Mediterraneo si gioca un pezzo della sicurezza globale, in un mondo che proprio tra i due scenari più critici, estremo Oriente e Mediterraneo, sarà sempre più polarizzato.

In questi mesi si è definitivamente dissolta un’illusione ottica: quella che ci presentava il Mediterraneo come un quadrante secondario degli assetti del mondo. Del quale ci si potesse disinteressare a livello globale. Il richiamo della realtà è stato durissimo: se tu non ti occupi del Mediterraneo è il Mediterraneo che si occupa di te. Riproponendo una straordinaria e nuova centralità, e rendendo giustizia alla visione che Fernand Braudel avanzava nel 1949 contro la teoria delle corti cinquecentesche che consideravano quel mare come interno e chiuso. Braudel si riferiva a Filippo II di Spagna, ma intuiva come il Mediterraneo fosse l’attore principale di una nuova civilizzazione, di una vicenda mondiale. Oggi il tema si ripropone. Mai come adesso, in tempi recenti, il Mediterraneo è strategico: perché nel Mediterraneo sono avvenuti cambiamenti politici epocali che solo pochi anni fa erano inimmaginabili.

I cambiamenti hanno due nomi: Turchia e Russia. Entrambe portano a compimento sogni imperiali antichi, esercitando oggi un ruolo importante nel Mediterraneo centrale, attraverso la loro presenza militare in Libia. Che di conseguenza diviene una delle aree più delicate, più divise, potenzialmente più conflittuali del pianeta. Un Mediterraneo sempre meno “mare nostrum”, sempre più esposto ad altri protagonismi. Perché questa nuova centralità? Il Mediterraneo unisce Europa e Africa, continenti le cui sorti sono destinate ad incrociarsi, inevitabilmente. Qui abbiamo tre grandi questioni.

La prima: nel Mediterraneo si specchia la grande questione energetica e delle materie prime; per l’energia tradizionale e quelle rinnovabili. Per le materie prime: c’è un nesso stretto che tiene insieme alcune parti meno sviluppate dell’Africa ricche di materie rare, e le aree più innovative del pianeta. C’è, in sostanza, un filo che lega Cupertino al centro dell’Africa. Il che testimonia anche la fine di un falso racconto: l’Africa non è un continente povero, ma potenzialmente ricco.

La seconda ragione strategica ha a che fare con l’andamento demografico del pianeta. L’Europa cresce poco o nulla, l’Africa cresce impetuosamente. Questo squilibrio va governato, non può essere subìto né delegato alle “regole” odiose e inaccettabili dei trafficanti di esseri umani. Non solo perché il valore dell’umanità è un “concetto assoluto”, ma anche perché non governare lo squilibrio demografico sarebbe una catastrofe per entrambi i continenti.

Il terzo punto riguarda la lotta al terrorismo. Oggi l’Africa è teatro e bersaglio di numerosissimi atti terroristici e contemporaneamente è diventata il principale incubatore di un nuovo terrorismo internazionale. Da Al Qaeda a Daesh nelle innumerevoli varianti autoctone. Se qualcuno avesse dubbi basta fare un ingrandimento su quanto sta avvenendo oggi in Sahel o nel Corno d’Africa. L’Europa ha capito forse tardi che quello è il suo vero fronte meridionale, in un momento in cui quel fronte sud dell’Europa, è attraversata da una drammatica instabilità: il colpo di stato in Chad, un altro in Mali, le tensioni in Niger, e il conflitto in Etiopia. Le fiamme passano da un paese all’altro e potremmo presto trovarci alle prese con un Sahel e un Corno d’Africa incendiato nel quale il terrorismo si muove nel suo elemento naturale.

Se questo è lo scenario torna nuovamente il tema del Mediterraneo come quadrante strategico del pianeta. Qui si gioca un pezzo della sicurezza globale. In un mondo che proprio tra i due scenari più critici, Estremo Oriente e Mediterraneo, sarà sempre maggiormente polarizzato. Viene meno la visione del Pacifico come prima area di tensione: abbiamo scoperto che ce n’è un’altra altrettanto o forse più complessa. Nel Mediterraneo per la forza degli attori in campo si gioca un pezzo molto più ampio di una questione regionale. Una vicenda globale.

Se questa è l’analisi ne risultano quattro conseguenze.

La prima: da questa nuova dimensione geopolitica del Mediterraneo l’Europa è direttamente sfidata. È quindi necessario molto importante che ci sia una forte capacità di triangolazione fra i tre soggetti più capaci d’influenza: Germania, Francia e Italia. Partendo tuttavia da una consapevolezza: la Germania da sola, la Francia da sola e l’Italia da sola non ce la faranno. L’idea che questi tre paesi possano avere tre diverse politiche mediterranee è finita. Per sempre. Nessun singolo paese europeo può farcela, c’è bisogno dell’Europa complessivamente. È necessaria una svolta. E non è una sfida che può essere racchiusa nella questione dei flussi migratori; è molto più ampia, impegnativa e geopolitica.

Punto due: c’è un elemento di significativa novità. Gli Stati Uniti hanno concluso la fase dell’America First, che consente di ricollocare la sfida che l’Europa ha nel Mediterraneo in una rinnovata visione transatlantica. Non era scontato. Mentre è evidente che in momenti chiave, su scenari chiave, abbiamo bisogno degli Stati Uniti. E tuttavia l’Europa deve avere la consapevolezza che per gli Usa la priorità resta il Pacifico. Nel Mediterraneo la Casa Bianca può lavorare assieme agli europei, ma il compito principale spetta a noi. Sapendo che in questo momento stanno venendo al pettine una serie di nodi lasciati irrisolti dall’esito delle Primavere arabe. Con troppa facilità si è passati dall’illusione dell’esportazione della democrazia alla successiva rapida archiviazione di quei movimenti di massa che “comunque” hanno segnato un pezzo di storia.

Il terzo punto riguarda la linea di costa dal Medio Oriente all’Africa settentrionale: Siria, Libano, Israele, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria. Una linea di instabilità. Nel mezzo, il riesplodere del conflitto israelo-palestinese, ricomposto per ora da una tregua in cui si sta rivelando essenziale il ruolo dell’Egitto. Ruolo che ci ripropone principi di geopolitica un po’ più complessi di quanto, a volte, pensiamo. L’Egitto è stato cruciale, molto più dei singoli paesi europei o dell’Europa nel suo complesso.

Infine la fragilità, del mondo sunnita, tra i paesi che hanno firmato il “Patto di Abramo” con Israele, Emirati in testa, e il Qatar e la Turchia sostenitori di Hamas. Dietro alla divisione sunnita c’è la principale potenza sciita, l’Iran. Che fa irrompere il conflitto israelo-palestinese sul tavolo del negoziato nucleare. Questo dice quanto le principali tensioni del mondo si specchino nel Mediterraneo. Qui c’è una chiave che entra direttamente in quel cruscotto che si chiama sicurezza del pianeta.

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