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Prospettive della tregua in Siria

L’intervento israeliano in Siria, il rapporto con i Drusi, la situazione interna nel paese. Il punto di vista di Emanuele Rossi

Nel suo primo discorso da quando Israele ha attaccato Damasco, nel pomeriggio di mercoledì 16 luglio, il presidente siriano ad interim, Ahmed al-Sharaa, ha accusato Israele di cercare di trasformare la Siria in un “teatro di caos senza fine”. Ha anche sottolineato che proteggere i cittadini drusi è una priorità assoluta, dopo gli scontri tra truppe e combattenti drusi a Suwayda che avrebbero prodotto l’intervento israeliano.

“Abbiamo scelto l'unità della Siria invece del caos e della guerra. Non permetteremo ad altri di dividerci”, dice il leader siriano. La mediazione americana, araba e turca ha salvato la regione da un destino sconosciuto, rimarca al-Sharaa, che dopo la vittoria contro le forze di Bashar el-Assad – e i suoi protettori, Iran, Russia, Hezbollah – ha rapidamente abbandonato la sua immagine di guerriero, cancellato il nom de guerre che lo ha reso famoso (Mohammed al Jolani), indossato abiti istituzionali e riaperto le relazioni internazionali di Damasco.

Un processo di normalizzazione in cui si è arrivati a ipotizzare che la sua Siria sarebbe, in futuro, potuta entrare nel sistema di relazioni degli Accodi di Abramo – quelli con cui, durante il primo mandato, Donald Trump ha riaperto i canali di dialogo e scambio diplomatico tra Israele e diversi Paesi del mondo arabo. Quanto accaduto potrebbe bloccare inevitabilmente questo processo. Tuttavia, gli Stati Uniti non mollano, e il 23 luglio hanno organizzato sul campo neutro di Parigi un incontro diplomatico tra funzionari siriani e israeliani, il primo del genere in 25 anni: c’è da discutere la stabilizzazione del Sud Siriano nell’immediato e quella al confine israeliano sul più lungo periodo.

Commentando quanto appena accaduto durante un incontro con la stampa nello Studio Ovale, al fianco di Trump, il segretario di Stato statunitense, Marco Rubio, ha detto che potrebbe essersi trattato di un “misunderstandig” tra Israele e la Siria. Ma nella realtà, Tel Aviv potrebbe aver scelto l’azione per un combinato disposto di fattori e interessi diretti.

C’è su tutti, anche a livello formale, la questione dei drusi. Da inizio luglio, nel sud della Siria, sono scoppiati violenti scontri tra le forze di sicurezza siriane e la popolazione drusa. Secondo Israele, questi scontri avrebbero coinvolto repressioni sistematiche contro i drusi, e proprio per questo motivo sono stati lanciati attacchi contro obiettivi governativi siriani, inclusa la capitale Damasco. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato che Israele “sta operando per salvare i nostri fratelli drusi”, indicando una chiara motivazione identitaria e strategica dietro le azioni militari. L’obiettivo dichiarato è dissuadere ulteriori operazioni contro la minoranza, inviare un segnale di protezione, e rafforzare il legame tra lo Stato ebraico e la propria comunità drusa interna.

I drusi sono un gruppo etnoreligioso arabo che conta circa un milione di persone distribuite tra Siria, Libano, Israele e Giordania. La loro religione si è sviluppata nell’Undicesimo secolo come scissione dallo sciismo ismailita, incorporando elementi di varie fedi, tra cui ebraismo, cristianesimo, induismo e filosofia greca. La comunità è storicamente chiusa: non prevede conversioni e proibisce i matrimoni misti, il che ha mantenuto la coesione interna ma anche un certo isolamento culturale. Dal punto di vista sociale, i drusi si suddividono tra "saggi" (al-Uqqal), iniziati alla dottrina religiosa, e "non iniziati" (al-Juhhal), che vivono in modo secolare. Partecipano attivamente alla vita pubblica nei paesi in cui vivono, spesso fondando o sostenendo movimenti politici.

Israele ha un rapporto speciale con la comunità drusa, che gode di un alto livello di integrazione nella società. I drusi israeliani, in particolare, servono nell'esercito, ricoprono cariche pubbliche e sono generalmente ben considerati dall’opinione pubblica. Il legame è rafforzato anche dalla comune posizione di minoranza in un contesto regionale dominato da altre maggioranze religiose. Per questo motivo, la protezione dei drusi in Siria ha una doppia valenza per Tel Aviv: umanitaria e politica. Difendere i drusi fuori dai confini rafforza il patto interno con quelli residenti in Israele e consente al governo di mostrare coerenza e solidarietà in chiave regionale.

Negli ultimi sviluppi del conflitto nel sud della Siria, è emerso un ruolo centrale del leader spirituale druso Hikmat al Hijri, accusato dai rivali come il responsabile della rottura di tre cessate il fuoco consecutivi tra le fazioni druse e i clan beduini. A differenza degli altri due leader religiosi della comunità, Youssef Jarbou e Hammoud al Hannawi, che hanno sostenuto una linea più conciliante, Hijri ha mantenuto una posizione intransigente, rifiutando le tregue e sollecitando l'intervento internazionale a favore dei drusi. Ma questa fermezza, tuttavia, ha suscitato interrogativi anche all'interno della stessa comunità drusa. Secondo rumors locali, non confermabili, Hijri potrebbe mirare ad accrescere la propria influenza politica e territoriale nella regione di Suwayda, superando la tradizionale divisione dei poteri tra i tre leader spirituali. Tali dinamiche, difficili da verificare, rendono evidente la complessità interna alla comunità drusa, divisa tra diverse visioni strategiche e interessi locali. In questo contesto, le rivalità storiche con i clan beduini, la pressione delle milizie governative e le ambizioni personali potrebbero tutte concorrere ad alimentare un conflitto più ampio, difficilmente controllabile e con potenziali ripercussioni regionali.

A ciò si sommano dinamiche interne alla politica israeliana. La comunità drusa in Israele, che costituisce circa il 2% della popolazione, ha esercitato forti pressioni sul governo Netanyahu affinché intervenisse. La leva è stata spingere le autorità israeliane a paragonare gli attacchi contro i drusi in Siria a un “7 ottobre” per quella comunità. Miliziani drusi hanno attaccato agli elmetti i tefillin in segno di comunione simbolica con gli israeliani. In questo clima, il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha dichiarato che l'unico esito auspicabile è l'eliminazione del presidente siriano al-Sharaa, definito “la testa del serpente”.

Tuttavia, non è realistico pensare che l'intervento israeliano sia stato motivato esclusivamente dalla sola solidarietà verso la minoranza drusa. La protezione dei drusi siriani risponde anche a logiche strategiche: rappresentano un potenziale grimaldello per proiettare influenza nel sud della Siria, in un'area sensibile dal punto di vista della sicurezza. Allargare la fascia di protezione attorno a Israele, ridurre il margine operativo del governo di Damasco e, se possibile, stabilire zone controllate da milizie amiche, sono tutti obiettivi coerenti con la postura assunta da Tel Aviv in altri scenari, come il sud del Libano, funzionali anche a rafforzare la sicurezza dei confini del paese in aree fortemente esposte a minacce.

Gli sviluppi degli ultimi giorni suggeriscono che la crisi nel sud della Siria è entrata in una fase di transizione incerta. Il cessate il fuoco, pur significativo, rimane instabile; i colloqui multilaterali lasciano intravedere una finestra diplomatica, ma gli interessi in campo rendono difficile per ora una vera pacificazione. Intanto però Damasco, per confermare la sua credibilità internazionale, ha avviato un processo elettorale annunciato mesi fa, facendo capire che la Siria di al Sharaa continua a muoversi — ma su un crinale fragile tra ricostruzione e frammentazione.

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“Syria Forward: Building Foundations to Address the Political, Security, Economic and Social Challenges” – il forum di Med-Or

L'evento è stato promosso da Med-Or Italian Foundation in collaborazione con il Global Institute for Strategic Research.

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