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Rimesse globali degli immigrati e pandemia. Cosa è successo nel 2021

Nel 2021, le rimesse degli immigrati, nonostante il sostanziale blocco dell’immigrazione causato dal COVID-19, non sono crollate come invece aveva ipotizzato la Banca Mondiale. La situazione nei paesi dell’Asia Meridionale nel punto di Guido Bolaffi

Nel 2021 le rimesse globali degli immigrati, con sicuro sollievo per i Paesi dell’Asia Meridionale, sono diminuite meno del temuto. Una buona notizia resa però amara da quella relativa all’enorme, preoccupante aumento mondiale dei cosiddetti displaced people. Come spiega con encomiabile chiarezza l’ultimo IOM’s World Migration Report 2022 pubblicato lo scorso mercoledì 1 dicembre. Che sulla base degli ultimi dati e delle più recenti indicazioni forniti da varie istituzioni internazionali ha fatto il punto sull’immigrazione internazionale nel 2021: “to show how long-term trends have been altered by COVID-19 and how migrants worldwide have been affected”.

In particolare per quanto riguarda una contraddizione che ha fatto del 2021 uno degli anni più complicati nella storia della moderna immigrazione. Che Antonio Vitorino, Direttore Generale dell’OIM, con la sua riconosciuta chiarezza, ha così fotografato: “We are witnessing a paradox not seen before in human history. While billions of people have been effectively grounded by COVID-19, tens of millions of displacement events have forced many others from their homes”. Infatti – spiegano con numeri e tabelle i ricercatori dall’Agenzia ginevrina dell’ONU – se è vero che: “COVID-19 related immobility has become the great disrupter of immigration”, è altresì vero che, in contemporanea, è aumentata come mai in passato la massa di coloro che sono stati costretti a migrare a causa di guerre, violenze o calamità naturali. Per cercare rifugio lontano dalle loro case o dai loro paesi.

Alla fine del 2020, secondo l’OIM, lo stock degli immigrati internazionali, cioè di coloro che per ragioni di lavoro, familiari o studio avevano lasciato il loro paese di nascita, si è fermato a 281 milioni (il 3,6% del totale della popolazione mondiale). Questo perché a causa della pandemia: “it is estimated that may have reduced the growth by around two million. In other words, had there not been COVID-19 the number of international migrants at the end of 2020 would have likely been around 283 million”.

Uno stop a cui ha però fatto da contraltare la preoccupante crescita numerica dei displaced people. Composti dai rifugiati e dai richiedenti asilo internazionali da un lato e dai profughi intrappolati all’interno dei loro sciagurati paesi dall’altro. Tanto è vero che alla fine del 2020 i primi avevano raggiunto la cifra di 26,4 milioni: “the highest number on record, although the annual rate of growth has slowed since 2012”. Ed i secondi: “An estimated 48 million, the total global stock of people internally displaced by conflict and violence in 59 countries and territories as of 31 December 2020 […] the highest on record since International Displacement Monitoring Center (IDMC) began monitoring in 1998, and represents an increase from 45,9 million reported in 2019 […] persons internally displaced has almost doubled since 2000 and has risen sharply since 2010”.

Le rimesse degli immigrati, invece, nonostante il sostanziale blocco dell’immigrazione causato dal COVID-19 non sono crollate come invece aveva ipotizzato la Banca Mondiale. Che in un rapporto pubblicato nei primi mesi dello scoppio della pandemia aveva pronosticato “a decline of remittances, underscoring the economic distress stemming from the COVID-19 pandemic and the ensuring lockdown aimed at curbing the disease, by 22% . The sharpest decline in recent history largely due to a fall in wages and employment of migrant workers abroad”. Una profezia che, se avverata, avrebbe avuto un impatto pesantemente negativo soprattutto per le nazioni del Sud Est dell’Asia. In ragione del fatto che, spiegava un articolo pubblicato lo scorso Marzo da Sustainable Development: “South Asia (Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, India, Nepal, Maldives, Pakistan, Sri Lanka), the region that receives the most remittances in the world as a share of gross domestic product (GDP). In volume terms a little more than one-fifth of global remittances were destined to South Asian countries between 2015 and 2019”.

Invece, dice il Report dell’OIM: “According to a new World Bank’s May 2021 report remittances flows have proved to be resilient during the COVID-19 crisis. In 2020 officially recorded remittance flows reached $702 billion, only 2,4% below the $719 billion seen in 2019, which is in complete contrast to previous estimates […] Along with policy responses to support remittances and better economic conditions, a move from informal channels (e.g. carrying cash across borders) toward more formal channels through an increased digitalization of financial transfers appears to be one of the most important factors in explaining the slower-than-expected decline in remittances flows”.

Un quadro, dunque, meno negativo del previsto. Tanto è vero che nella classifica delle 10 top countries receiving countries non solo si conferma il primo posto dell’India, ma il Pakistan ne guadagna uno (dal 7mo al 6sto), ed il Bangladesh addirittura due: dal decimo all’ottavo. Risultato orgogliosamente segnalato a tutta pagina dal Daily Observer di Dacca, che il 2 dicembre scriveva: “In 2020, compared to $18 billion of 2019, despite the impact of COVID-19 which slowed remittances flows globally, Bangladesh benefitted $21,76 billion injected into economy through remittances”.

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