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Timidi segnali di svolta dalla Libia

L’accordo tra HCS e HoR per un governo unificato rappresenta un potenziale primo passo per la stabilizzazione del paese, dove però resta forte il ruolo di Mosca e Pechino. L’analisi di Daniele Ruvinetti

L’accordo tra diversi membri della Camera dei Rappresentanti (HoR) e dell’Alto Consiglio di Stato (HCS) raggiunto al Cairo a metà luglio mira a formare un nuovo governo libico e rappresenta uno sviluppo significativo. È essenziale considerare il contesto: il Governo di Stabilità Nazionale (GNS) non è riconosciuto a livello internazionale e il Governo di Unità Nazionale (GNU) ha esaurito le sue possibilità. Differentemente HoR e HCS rappresentano probabilmente meglio gli interessi dei libici. Un governo unificato è cruciale per la stabilità, le elezioni e l’economia.

L’Occidente, intenzionato a contrastare l’influenza russa nel paese, è interessato a un tale sviluppo e potrebbe garantire il proprio sostegno al nuovo esecutivo unificato. L’ottimismo resta, tuttavia, cauto a causa degli ostacoli storici, degli attori interni che traggono beneficio dal caos e delle potenze straniere che preferiscono l’instabilità.

E però, mentre la divisione interna si sta costantemente acuendo, con la frammentazione spinta anche dall’assenza di operatività concreta delle Nazioni Unite, il rischio che in Libia si scivoli verso una deriva violenta continua a essere sempre più concreto. C’è una sovrapposizione di interessi interni ed esterni che complica di nuovo la situazione, toccando corde tanto sensibili quanto impegnative.

Il percorso verso la riunificazione, propedeutica alle successive elezioni, al riordino e alla stabilizzazione del paese, è nei fatti bloccato. E questo pesa sulla prosperità libica e sui cittadini – costretti a veder erose quotidianamente le loro condizioni di vita e a sentire inascoltata la loro volontà di equilibrio.

Da questo assunto parte l’idea di lanciare uno Skhirat 2.0, che segua anche le dinamiche innescate al Cairo, dove la decisione finale e la gestione dell’intero dossier resti in mano ai protagonisti politici libici, ma con due attori internazionali esterni che possono farsi garanti di questo nuovo processo per la riacquisizione di equilibrio: Italia e Stati Uniti. È evidente che Roma ha interessi profondi nell’evitare un nuovo caos guerreggiato nel paese nordafricano. La questione è se avrà la capacità di essere garante per l’Europa (probabilmente sì, ma dovrà essere un processo in cui si investe volontà e impegno concreto). Washington potrebbe, invece, rappresentare la garanzia davanti a una serie di attori regionali a cui potrebbe apparentemente non convenire la stabilità libica – ma che davanti al peso diplomatico e politico statunitense avrebbero poco spazio e volontà per scombussolare i piani.

Su tutto va anche considerato che le penetrazioni straniere in generale, attraverso questo sistema di ricomposizione degli equilibri interni – o di creazione di nuovi e più funzionali – potrebbero essere controllate e successivamente escluse. Dobbiamo, infatti, tenere in conto che i libici non apprezzano ingerenze esterne e che, inoltre, potrebbero crearsi destabilizzazioni interne causate da esse.

Quanto accaduto nei giorni scorsi, con il sequestro a Gioia Tauro – grazie alla cooperazione di Guardia di Finanza, Agenzia delle Dogane e intelligence americana – di alcuni UAV militari cinesi racconta di come la questione libica si stia ingrandendo. Le navi partite dal porto Yantian, vicino Shenzen, erano dirette in Libia, esattamente in Cirenaica. La regione è controllata militarmente da Khalifa Haftar, signore della guerra dell’Est che da oltre dieci anni segna gli equilibri libici e ora gestisce il territorio attraverso un network di interessi – tra questi, quelli russi.

Haftar ha un accordo formale con il Cremlino e non è chiaro se le armi cinesi, così come quelle russe arrivate in questi ultimi mesi (anche via Siria, con una preoccupante triangolazione mediterranea di Mosca), servano per piani diretti in Libia oppure altrove. La seconda opzione appare più probabile. Vladimir Putin potrebbe non aver interesse a sostenere nuovamente un’azione militare verso Tripoli – piuttosto abbiamo visto la Russia protagonista di un approccio diplomatico verso la Tripolitania. E allora, stando alla seconda delle opzioni, quelle armi sono dirette all’Afrika Corps just in case – ossia se dovessero servire, quando sarà.

La Russia ha da tempo – prima con la Wagner e ora con il sistema più ordinato con cui il Ministero della Difesa l’ha sostituita dopo l’insurrezione e la morte di Evgenij Prigozhin – strutturato una presenza forte in Africa. Aiuta le giunte golpiste del Sahel (reale confine meridionale dell’Unione Europea), è parte in causa indiretta nella guerra civile in Sudan, assiste militarmente altri governi impegnati nelle sempre più problematiche operazioni contro le insurrezioni terroristiche.

Tutto noto. Quello che è più particolare è che la sovrapposizione Russia-Cina che vediamo sotto forma di global strategic partnership sia arrivata così esplicitamente in Africa. Non è chiaro il nesso, e saranno le indagini e definirlo, ma se Pechino inizia a sfruttare l’hub logistico russo in Libia, non c’è da stare sereni. Al momento, per quanto ne sappiamo, l’interesse dei cinesi al paese è legato al business, principalmente a quello delle infrastrutture (da inserire nel memorandum firmato da Tripoli sulla Belt & Road Initiative). Pechino ha sempre evitato ulteriori coinvolgimenti, né in Libia né altrove in Africa. Ma se la Cirenaica dovesse diventare un terreno di test per altri tipi di cooperazione?

Non bastasse la necessità di stabilizzare la Libia per i libici a cui in qualche modo lo dobbiamo, questo incrocio è indicativo del perché il momento per procedere sia adesso. Come testimonia il rinnovato interessamento americano al dossier libico – anche per via delle attenzioni del Pentagono, connesse all’interessamento congiunto dei rivali – va sfruttata la congiunzione favorevole e soprattutto anticipare qualsiasi potenziale deriva, che potrebbe arrivare prima di quanto crediamo.

Uno Skhirat 2.0 che implementi l’intesa egiziana tra HOR e HCS potrebbe essere un passaggio fondamentale, includendo nel dialogo anche Onu e Unione africana. La stabilità della Libia è troppo importante per la sicurezza del Mediterraneo. È qualcosa dovuto a un paese che da oltre un decennio soffre il caos, ma è anche dovuto per evitare che gli effetti di quel caos ricadano violentemente sui nostri equilibri.

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