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Helsinki+50 e oltre: il futuro dell’OSCE nel disordine globale

L'analisi di Milena Marzovilla

La 32ª riunione del Consiglio Ministeriale della OSCE, svoltasi il 5 dicembre 2025 a Vienna, ha visto la partecipazione di oltre 1.200 delegati tra Stati membri, partner per la cooperazione, organizzazioni internazionali, rappresentanti della società civile e media. In un contesto segnato da tensioni geopolitiche e crisi regionali, l’incontro ha rappresentato molto più di una semplice scadenza burocratica: è stato un tentativo concreto di ridefinire il ruolo dell’OSCE nel mondo contemporaneo, a cinquant’anni dall’adozione dell’Atto Finale di Helsinki. Sotto la presidenza finlandese, il dibattito si è svolto in un clima di collaborazione — la cosiddetta riflessione strategica “Helsinki+50” è stata accolta con favore come un passo necessario per rendere l’Organizzazione più efficace e attuale. Al centro dell’agenda c’era, inevitabilmente, la guerra in Ucraina. Nel suo intervento, la Presidente in esercizio dell’OSCE, Elina Valtonen, ha messo in guardia sul fatto che l’aggressione russa ha profondamente eroso le fondamenta dell’ordine di sicurezza europeo, mettendo a rischio anche la capacità operativa dell’Organizzazione. L’Italia ha espresso piena solidarietà a Kiev, ribadendo l’impegno a sostegno di una pace giusta, basata sul rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina. Non ha trascurato il piano di ricostruzione: la Conferenza di Roma per la Ukraine Recovery 2025 conferma che le ambizioni europee vanno oltre la fine delle ostilità. Al contempo, ha sottolineato la necessità di garantire protezione a gruppi vulnerabili e di sollecitare la liberazione dei tre funzionari OSCE detenuti (Vadym Golda, Maxim Petrov e Dmytro Shabanov) — un monito concreto sull’importanza della tutela dei diritti umani nel conflitto.

Il cuore del dibattito non è stato soltanto la crisi umanitaria e militare, ma la capacità dell’OSCE di reagire con rapidità e coerenza. Il processo “Helsinki+50”, promotore di una modernizzazione complessiva, ha portato in primo piano due linee di intervento: rafforzare l’OSCE come piattaforma di dialogo e prevenzione dei conflitti, e renderla più agile e pronta a rispondere alle sfide emergenti. Con la creazione del Fondo Helsinki+50 — che ha già raccolto oltre 17 milioni di euro — si apre una nuova stagione di sostenibilità economica. L’Italia ha rivendicato con forza che il bilancio unificato e la revisione delle contribuzioni — assenti da anni — non possono più essere rinviati: in gioco non c’è solo l’efficienza, ma la stessa sopravvivenza operativa delle missioni sul campo. Il dibattito non si è limitato all’Europa orientale. L’Italia ha portato all’attenzione dei colleghi ministeriali anche le tensioni e le transizioni in corso in aree come il Caucaso, la Moldova e il Mediterraneo orientale. Nel Caucaso meridionale, Roma ha espresso soddisfazione per i segnali di riconciliazione e ha offerto sostegno a un percorso di pace stabile. Per la Moldova, le recenti elezioni sono state percepite come un segnale di consolidamento democratico, nonostante pressioni esterne. Sul fronte mediterraneo e medio-orientale, l’Italia ha richiamato l’attenzione sul nesso tra stabilità europea e stabilità regionale, sollecitando un rilancio del capitolo mediterraneo dell’Atto di Helsinki: dalla pace a Gaza alla cooperazione mediterranea, la visione è chiara e strategica. Nel corso del Consiglio, Feridun Sinirlioğlu, Segretario Generale dell’OSCE, ha ribadito che — in un momento storico segnato dalla polarizzazione globale — l’OSCE resta l’unico foro inclusivo capace di ospitare il dialogo tra parti in conflitto, di gestire strumenti di de-escalation e di affrontare dossier transnazionali come traffico di esseri umani o protezione dei minori in aree di crisi. L’Italia ha condiviso questa prospettiva: la diplomazia multilaterale non è un’opzione tra le tante, ma una necessità strategica, soprattutto oggi che le minacce sono sempre più complesse e interconnesse.

Il passaggio di presidenza alla Svizzera apre un nuovo capitolo per l’OSCE. Il Consigliere federale Ignazio Cassis, futuro Presidente dell’OSCE per il 2026, ha sottolineato con forza che — quando la diplomazia sembra impossibile — diventa indispensabile. È un messaggio di fiducia e pragmatismo che ha ricevuto l’appoggio dell’Italia, che guarda con ottimismo alla capacità di Berna di guidare l’Organizzazione con equilibrio, cooperazione e credibilità. La 32ª Riunione Ministeriale di Vienna ha mostrato, con chiarezza, che l’OSCE è oggi a un bivio. Tra crisi strutturali, guerre e tensioni regionali, la sua sopravvivenza non è scontata: dipende dalla capacità di riformarsi, di modernizzarsi, ma anche di conservare i valori fondanti che ne hanno fatto fin dall’inizio uno strumento di cooperazione e sicurezza. Il 2026 sarà un anno determinante: la nuova presidenza svizzera, il Fondo Helsinki+50, le tensioni sul bilancio, le crisi in Ucraina, Caucaso e Medio Oriente — tutto contribuirà a stabilire se l’OSCE saprà riprendersi e tornare a essere un pilastro credibile della governance internazionale, fedele allo spirito di Helsinki e capace di affrontare le sfide di oggi con pragmatismo e cooperazione.

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