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Tunisia: Situazione economica e sociale esplosiva

Il rischio bancarotta e le continue manifestazioni di protesta mettono in ginocchio il Paese della Rivolta dei Gelsomini

La Tunisia, Paese poliedrico, è una delle realtà africane più interessanti che merita un’attenta osservazione per i fenomeni politici e sociali che da tempo si sono sviluppati al suo interno e che adesso stanno emergendo in varie forme. Lo Stato contemporaneo è frutto delle sue molteplici trasformazioni nei secoli: da Beylicato a Protettorato francese, da colonia a Stato indipendente, da Repubblica presidenziale a sistema politico con partito autoritario nell’era di Bourguiba, da democrazia pluralista a regime con partito egemone sotto il governo di Ben Alì, fino a sfociare nello Stato di polizia che ha portato il Paese alla “Rivolta dei Gelsomini” dalla quale si è scatenata l’ondata di rivoluzioni delle “Primavere Arabe”.

In Tunisia i corsi e ricorsi storici sono la connotazione di una società sempre in fermento non compresa fino in fondo da una classe dirigente concentrata a perseguire i propri interessi che non coincidono sempre con quelli del popolo. Da qui si innesca un meccanismo per cui dinamiche simili tra loro vengono replicate nel corso del tempo e gravi disagi socio-economici non affrontati, continuano a ribollire, scuotendo il Paese in ondate cicliche di proteste.

Ed è proprio quello che sta succedendo in questo periodo in Tunisia con un Presidente che sta mettendo in atto una svolta autocratica e sovranista del suo potere e di repressione delle istanze della società civile, senza dare nessun segnale di implementazione di riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno. Non solo, ma il Presidente Saïed ha isolato la Tunisia anche dal punto di vista internazionale allontanandola dagli Stati europei e dagli Stati Uniti e avvicinandola, invece, alla Russia, all’Iran, alla Cina e all’Arabia Saudita la quale nel 2023 ha concesso a Tunisi 500 milioni di dollari come prestito agevolato[1]. Ma anche l’Algeria gli ha accordato prestiti, sovvenzioni, depositi, forniture energetiche a prezzi vantaggiosi. Così Tunisi si è esposta al ricatto politico di Algeri che l’ha fatta entrare nella sua sfera di influenza geopolitica maghrebina.

Il rischio di bancarotta è dietro l’angolo perché il Paese ha un debito molto alto e ha adottato pratiche fiscali ampie all’interno di un quadro di scarsa crescita. In più, il Presidente Saïed nel 2023 aveva messo in atto la scelta sovranista di respingere l’accordo che lui stesso aveva firmato l’anno precedente per un prestito da parte del FMI di circa 1,9 miliardi di dollari per quattro anni[2]. In cambio il Fondo aveva chiesto al governo di implementare riforme economiche stringenti, e Saïed per timore della reazione interna al Paese ha annullato l’intesa. Sempre nel 2023 il leader tunisino aveva firmato un altro Memorandum, questa volta con l’UE che si impegnava a versare 150 milioni di euro come contributo al suo bilancio nazionale[3]. La bancarotta è stata ritardata anche per la decisione del governo di finanziare il debito dello Stato con i soldi della Banca centrale per il triennio 2024-2026, pratica vietata dalla legislazione tunisina. E tale ricorso eccezionale è diventato strutturale[4]. I dati del FMI per l’anno corrente hanno proiettato un aumento reale del PIL pari al 2,5%, la percentuale più bassa fra gli Stati del Nord Africa[5].

L’“inverno arabo” si sta facendo sentire nel Paese principalmente nella Kasbah, la piazza di Tunisi la quale si riempie continuamente di manifestazioni di protesta da parte di diversi settori della società civile all’interno della quale la disoccupazione aumenta sempre di più. A metà ottobre i torrefattori hanno protestato contro il contrabbando, la contraffazione del caffè e la concorrenza sleale che sta penalizzando fortemente la categoria rappresentata nell’UTICA, l’Unione Tunisina dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato, l’equivalente della Confindustria italiana. A fine ottobre migliaia di manifestanti hanno protestato per settimane nella regione di Gabès contro le emissioni nocive della lavorazione dei fosfati dell’impianto chimico locale che per decenni ha sversato in mare fosfogesso. Il 21 ottobre è stato proclamato uno sciopero generale indetto dal sindacato UGTT che chiedeva, appunto, la chiusura o il trasferimento degli impianti inquinanti del Gruppo chimico tunisino, denunciando gravi crimini ambientali e sanitari dopo i continui casi di intossicazione che hanno colpito anche minori. Tale problema è un’annosa questione che i governi che si sono succeduti non hanno mai risolto perché in ballo ci sono interessi molto forti. L’industria dei fosfati è assai importante per il sistema economico nazionale tanto che lo Stato ha deciso un aumento della produzione graduale in futuro, con l'obiettivo di raggiungere i 14 milioni di tonnellate all’anno entro la fine del 2030[6]. Ai primi di novembre il Presidente Saied è stato costretto, alla fine, a dare l’incarico a un gruppo di esperti allo scopo di proporre soluzioni alla questione ambientale di Gabès.

Il tema dei migranti, invece, è peggiorato nel tempo, nonostante nel 2023 Saïed avesse firmato accordi con l’UE per ridurre drasticamente i flussi in partenza[7]. A novembre Amnesty International ha diffuso un nuovo rapporto in cui ha evidenziato come negli ultimi tre anni le autorità tunisine avessero progressivamente smantellato le tutele per i rifugiati, richiedenti asilo e migranti – in particolare per le persone provenienti dall’Africa subsahariana – passando a pratiche di polizia razziste e a diffuse violazioni dei diritti umani. Nel rapporto l’organizzazione ha documentato arresti, detenzioni, pericolosi intercettamenti in mare, espulsioni collettive di decine di migliaia di persone rifugiate e migranti verso l’Algeria e la Libia, e la sottoposizione delle stesse a maltrattamenti e torture, tra cui stupri. Al contempo è stata attuata una repressione contro la società civile che aveva fornito loro assistenza essenziale. Nel giugno 2024, altresì, le autorità tunisine hanno posto fine al ruolo dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati nella gestione delle domande d’asilo, cancellando di fatto l’unica possibilità di chiedere protezione nel Paese[8].

A fine novembre l’opposizione e varie organizzazioni della società civile hanno manifestato, vestiti di nero, in segno di lutto per lo stato della giustizia e dell’arretramento dei diritti e delle libertà in Tunisia attraverso una “marcia dell’unità nazionale” che ha scandito la richiesta di liberazione dei prigionieri politici e di opinione. Oppositori, avvocati e giornalisti sono stati sottoposti a processi sommari, attraverso una erronea interpretazione della legislazione tunisina contro le fake news nel caso di “complotto contro la sicurezza dello Stato”. Infine, emblema delle tensioni sociali e politiche all’interno del Paese e della svolta autoritaria del Presidente in carica è stata, a fine novembre, la convocazione da parte di Saied dell’ambasciatore dell’Ue in Tunisia Giuseppe Perrone che aveva solo esternato il proposito dell’Unione Europea di continuare il confronto con la società civile tunisina. L’ambasciatore europeo, nel pieno esercizio delle proprie funzioni, aveva incontrato sia il sindacato UGTT protagonista di numerosi scioperi nazionali in difesa dei diritti della categoria, sia l’UTICA, l’associazione datoriale del Paese.

La Tunisia sta ancora cercando la sua strada, percorso che richiederà un ulteriore affinamento di quella definizione di libertà all’interno di una società vivaio di menti giovani, brillanti e pronti a combattere per le loro idee, rischiando anche la propria vita come è successo in passato.

Per approfondire:


[1] https://www.reuters.com/world/saudi-arabia-give-tunisia-500-mln-soft-loan-grant-2023-07-20/

[2] https://www.imf.org/en/news/articles/2022/10/15/pr22353-tunisia-imf-staff-reaches-staff-level-agreement-on-an-extended-fund-facility-with-tunisia

[3] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/memorandum-ue-tunisia-il-patto-ce-136023

[4] https://www.agenceecofin.com/actualites-finance/1610-132408-tunis-veut-solliciter-a-nouveau-3-7-milliards-aupres-de-la-banque-centrale

[5] https://www.imf.org/en/publications/reo/meca/issues/2025/10/21/regional-economic-outlook-middle-east-central-asia-october-2025

[6] https://www.lapresse.tn/2025/03/23/phosphate-en-tunisie-entre-richesses-naturelles-et-defis-de-production/

[7] https://www.affarinternazionali.it/memorandum-ue-tunisia-accordo-migranti/

[8] Il titolo del rapporto di Amnesty International è “‘Nessuno ti sente quando urli’: la svolta pericolosa della politica migratoria in Tunisia”. https://d21zrvtkxtd6ae.cloudfront.net/public/uploads/2025/11/MDE3001802025ITALIAN.pdf

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