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Tutti i rischi della situazione in Libia

Le tensioni in Libia rischiano di sfociare in una crisi drammatica. La Comunità internazionale valuta soluzioni alternative, tra cui quella di un “mini-governo” che possa portare il Paese al voto. L’analisi di Daniele Ruvinetti

Hussein Eddeb / Shutterstock.com

La situazione in Libia è pericolosamente in bilico, e potrebbero aprirsi scenari davvero preoccupanti per il Mediterraneo e per l’Europa – e in definitiva per l’Italia.

Lo stallo istituzionale di cui ormai parliamo da mesi non si è sbloccato, col rischio evidente che più passa il tempo e più forze di diverso genere possono alterare questo equilibrio.

Il premier incaricato dal Parlamento, l’ex ministro dell’Interno Fathi Bashaga, sembrerebbe non avere ad ora le capacità di prendere posto negli uffici di governo. Ha provato ad entrare a Tripoli – anche forzando leggermente la mano –, ma il primo ministro sfiduciato, Abdelhamid Dabaiba, ha dimostrato di avere in questo momento milizie pronte a difendere con le armi la sua permanenza nella capitale. Lasciarla significherebbe accettare una cessione del potere. Potere che Dabaiba afferma di non essere disposto a lasciare in quanto eletto nel processo del Foro di dialogo politico libico onusiano; allo stesso modo Bashaga dice di essere anch’egli legittimato, dal voto parlamentare appunto. Vale la pena ricordare che la Camera dei deputati auto-esiliatasi a Tobruk è l’ultima istituzione legittimamente eletta, nel 2014 – e la stessa che accordò la fiducia a Dabaiba.

Di legittimazione popolare e voto si parla da sempre, essendo questo l’incarico che l’Onu aveva affidato a Dabaiba e che teoricamente fa parte degli obiettivi principali del governo Bashaga. Le elezioni sono di fatto un completamento, una soluzione, dell’articolato processo di stabilizzazione in corso. Tuttavia, al momento sembrano distanti.

Davanti all’impossibilità di votare nel breve periodo, ma nella necessità di non rompere l’equilibrio precario innescato da mesi, e col rischio di un ritorno alle armi, la Comunità internazionale sembra orientata a valutare soluzioni alternative. Tra queste si fa largo la possibilità di costruire una sorta di “mini-governo” che possa portare il Paese al voto.

Di questa soluzione si è parlato anche durante i recenti incontri di alto livello che si sono tenuti al Cairo, circostanza che fa presupporre l’esistenza di un quadro d’appoggio internazionale. L’Egitto ha svolto un ruolo da mediatore per la tregua (dopo aver sostenuto il fronte della Cirenaica nella guerra civile) e si sta proponendo come promotore sia delle relazioni intra-libiche sia di quelle che coinvolgono i vari attori regionali presenti a vario titolo sul dossier.

Questo esecutivo ad interim è stato pensato considerando gli equilibri di forza, che attualmente impediscono a Dabaiba o a Bashaga di avere una completa capacità di azione, e dunque immaginato per essere affidato a una figura terza.

Una figura di equilibrio e garanzia, che dovrebbe essere parte dell’Ovest, la Tripolitania, ma che abbia buoni rapporti con Cirenaica e Fezzan. Insomma, una figura inclusiva che possa, nel giro di un anno – massimo un anno e mezzo – portare il Paese al voto con l’ausilio di un esecutivo ristretto, operativo e finalizzato al processo elettorale. Questo, a sua volta, troverà base giuridica nella nuova Costituzione che i gruppi politici libici stanno discutendo al Cairo, avvalendosi della mediazione egiziana.

Su queste dinamiche ci sono spazi per un’attività politica dell’Europa. Italia e Francia, in primis, possono prendere in mano il dossier in modo coordinato e contribuire allo sblocco delle tensioni, che si stanno trasformando via via in una crisi in drammatica evoluzione. Roma e Parigi, in questo momento, hanno un fattore in più di vicinanza: la nuova ministra degli Esteri, Catherine Colonna, infatti, è stata prima ambasciatrice in Italia. Questo potrebbe far emergere un nuovo impulso ad un maggiore coordinamento sulle azioni da intraprendere in relazione ad ambienti terzi come la Libia.

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