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Ultime novità dal Pakistan

Un aggiornamento sulle ultime notizie provenienti dal Pakistan, nel punto di Guido Bolaffi

SkycopterFilms Archives / Shutterstock.com

Dal Pakistan novità importanti ma poco confortanti. Infatti se è vero che ai primi di novembre il suo rissoso sistema politico istituzionale è finalmente riuscito ad accordarsi, pur in ritardo di mesi rispetto ai dettati costituzionali, sull’8 febbraio 2024 come data delle prossime elezioni generali, è anche vero che, paradossalmente, proprio quest’intesa anziché alleviare sembra invece aggravare quella che Shin Nakayama, direttore di Nikkei, nell’editoriale pubblicato sul suo giornale il 1 dicembre scorso definisce “the South Asian country’s worst economic crisis in its 76-year history” .

Visto che secondo molti esperti l’accordo su quando chiamare i pakistani alle urne è figlio più delle pressioni esercitate dai grandi investitori internazionali che di una effettiva volontà di riconciliazione nazionale, innanzitutto tra i partiti, preoccupati per il grande seguito di cui continua a godere nel paese, nonostante da mesi dietro le sbarre, l’ex Premier Imran Khan, leader del Pakistan Tehereek-e-Insaf (PTI).

E soprattutto sospettosi come non mai nei confronti della potentissima lobby dei militari. Indecisi, a loro volta, su quale dei “signori delle tessere” puntare.

Non a caso, Adnan Aamir – il giorno stesso in cui il Presidente della Election Commission of Pakistan (ECP) aveva annunciato che “God willing, elections will be held on Feb 8” – nell’articolo With data set, Pakistan enters election season fraught with doubts scriveva: “While the ruling government, backed by powerful military, appeared to be in no rush to send voters to the polls, experts now believe the most likely scenario is that the electoral process will move ahead”.

Tesi ripresa da Michael Kugelman, direttore del South Asia Institute del Wilson Center, secondo cui: “The military has plenty of good reasons not to delay elections any longer. Investors and key donors, including the International Monetary Fund, want to see less political uncertainty and economic recovery is a key priority for the army”.

Un quadro reso ancor più complicato dall’astuta mossa fatta dall’ex Premier Imran Khan, che a fine novembre, in aperta sfida con i militari che continuavano ad arrestare gli altri gradi del suo partito, tra cui l’ex Presidente dell’Assemblea Nazionale Asad Qaiser, aveva annunciato la decisione di volersi dimettere da leader del PTI, nominando in sua vece l’avvocato Gohar Khan (omonimo ma non parente).

Una decisione definita dal politologo pakistano Shahid Maitla: “Nominating Gohar Khan is kind of a minus-one formula for the party”. Una formula che tradotta dal “politichese” di Islamabad significa che un partito sacrifica il suo Numero Uno pur di garantirsi la sopravvivenza.

Ma negli stessi giorni in cui per i pakistani si sbloccava l’agognata andata alle urne ad oscurare l’orizzonte del paese pensavano i terroristi del Gilgit-Baltistan, uccidendo in un agguato ad un autobus di linea in viaggio sull’autostrada del Karakorum numerosi civili e due militari.

Un evento narrato con dovizia di particolari dall’articolo del quotidiano Nikkei Attack on Pakistan highway to China shakes key Belt and Road link: “A militant attack in the mountainous Gilgit-Baltistan region of northern Pakistan, near the Chinese border, has rekindled concerns over security on a highway considered crucial for developing the two countries’ economic relationship [...] The attack took place against a backdrop of rising militant activity in the country [...] Experts see the targeting the highway as a worry given its envisioned role as linchpin of Pakistan’s China ties [...] The stretch of road, which runs 806 km from the town of Hasan Abdal near Islamabad to the border, was built with Chinese support and opened for traffic in 1986. More recently, the neighbors included upgrades to the highway under the China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), the $50 billion Pakistani component of Beijing’s Belt and road Initiative (BRI)”.

Infatti questo attentato, a parere di Khuram Iqbal, esperto di terrorismo all’università australiana di Macquarie, sommato ai tanti già consumati negli ultimi mesi ai danni dei dipendenti delle aziende cinesi presenti in Pakistan conferma che l’obiettivo dei gruppi separatisti di quell’area è proprio quello di danneggiare il governo di Islamabad sabotando gli investimenti messi a sua disposizione da Pechino: “China has faced the highest number of attacks in Pakistan compared to any other country, including the U.S.”.

A tale riguardo vale forse la pena rammentare che non più tardi dell’ottobre scorso il Primo Ministro pakistano pro-tempore Anwar ul-Haq Kakar, concludendo la visita di stato in Cina, aveva annunciato che grazie a “the $50 billion Pakistani component of Beijing’s Belt and Road Initiative”, l’autostrada del Karakorum sarebbe stata percorribile tutto l’anno e non più come in passato chiusa ogni anno, da dicembre ad aprile, causa neve.

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