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Accordi di Dayton, Accordo di Sharm el-Sheikh e negoziati russo-ucraini, il filo umanitario che si è spezzato

I diritti umani fulcro degli Accordi di Dayton che pacificarono i Balcani spariti dagli attuali accordi di pace per Gaza e l’Ucraina

L’anniversario del 14 dicembre scorso del trentennale della firma degli Accordi di Dayton del 1995 che posero fine alla guerra in Bosnia-Erzegovina, nei Balcani, ha assunto, quest’anno, un significato particolare perché quegli Accordi contenevano dei pilastri normativi importanti di diritto internazionale umanitario e in materia di tutela dei diritti umani, base ed esempio per i negoziati di pace futuri. Norme basilari e necessarie che però mancano sia nell’accordo per la Striscia di Gaza firmato a Sharm el-Sheikh lo scorso 13 ottobre ancora suscettibile di modifiche per l’implementazione della fase due, sia nella bozza iniziale di accordo per la pace in Ucraina.

L’allarme è arrivato anche dal Consiglio d’Europa che in un report ha sottolineato la fondamentale importanza della tematica nelle trattative di pace, perché non può esserci una “pace giusta, duratura ed efficace” se non è “legata all’architettura giuridica internazionale dei diritti umani”; ma questo argomento continua a essere assente nei negoziati attuali determinando un buco normativo rilevante in materia, e tralasciando il retaggio giuridico lasciato dagli Accordi che hanno pacificato l’ex Jugoslavia colpita, negli anni Novanta, da conflitti sanguinosi che avevano fatto ripiombare il cuore dell’Europa, per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale, nell’incubo della guerra dentro casa propria.

La transizione post conflitto nei Balcani, in realtà, non ebbe grossi contraccolpi all’interno delle comunità che avevano subìto le guerre proprio perché a loro tutela i negoziatori dell’epoca inserirono negli Accordi di Dayton fondamentali dispositivi normativi vincolanti che le parti avrebbero dovuto necessariamente rispettare. Oggi clausole simili a tutela dei gazawi da una parte e degli ucraini dall’altra, popoli che andrebbero necessariamente tutelati nel post conflitto, sono inesistenti negli accordi o bozze di accordo che li riguardano. E invece è molto importante che tali tutele siano inserite, sin dall’inizio, nelle proposte di tutti i piani di pace, e a maggior ragione in quelli in discussione in questi mesi.

Gli Accordi di Dayton contenevano una lista di trattati come, per esempio, le Convenzioni di Ginevra sulle vittime di guerra, la Convenzione sui diritti dell’infanzia, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo che avrebbero dovuto garantire ai popoli interessati i diritti fondamentali soprattutto nel periodo post conflitto. Tale sezione del diritto internazionale costituiva un rango giuridico superiore rispetto alle altre disposizioni legislative che, dopo la fine delle guerre, si sarebbe tradotta nell’implementazione obbligatoria da parte delle autorità locali anche se fossero state in contrasto, eventualmente, con leggi interne contrarie alle disposizioni di tutela dei diritti dell’uomo.

Entrando nel vivo della questione, il riferimento, in primis, va a quella parte degli Accordi di Dayton che ha costituito un’importante innovazione nella storia dei trattati di pace internazionali riguardante i diritti degli sfollati interni al territorio dei conflitti, e alle persone costrette, sempre a causa delle guerre, a fuggire all’estero diventate migranti forzati o rifugiati ai quali il diritto internazionale riconosce la prerogativa di far ritorno nelle proprie abitazioni, di rientrare in possesso delle proprietà perse nel corso della guerra, oppure di ottenere un risarcimento per i patrimoni non restituibili. Se, invece, queste garanzie non venissero inserite all’interno delle trattative degli accordi di pace in corso, potrebbe succedere che, per esempio, la Russia “cancelli” (come ha già fatto in alcune aree) i diritti dei cittadini ucraini che abitavano nei territori, ora sotto il suo controllo, attraverso una politica di “russificazione” della quale non si parla quasi mai nei Paesi occidentali. In assenza di tali garanzie all’interno del futuro accordo di pace tra la Russia e l’Ucraina, ci sarebbe la possibilità sia che i singoli cittadini, sia che gli stessi Stati possano adire le Corti internazionali che si vedrebbero oberati di istanze, come è già successo anche prima dello scoppio della guerra il 24 febbraio 2022.

Il conflitto russo-ucraino, in effetti, ha dato origine a un significativo numero di ricorsi, individuali e interstatali, dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Ad oggi, il caso interstatale rispetto al quale la Corte si è già pronunciata nel merito è relativo all’occupazione russa della Crimea. Il caso originava da due ricorsi nei quali l’Ucraina denunciava una “prassi amministrativa” di violazioni dei diritti umani nella regione a partire dal 2014. Fra i numerosi fatti all’origine del ricorso, presunte sparizioni forzate, deportazione di detenuti in Russia, applicazione della legge russa in Crimea e restrizioni all’utilizzo della lingua ucraina. Un altro dei casi interstatali attualmente pendenti è quello relativo ai fatti in Ucraina orientale. I ricorsi sono stati presentati da Kiev nel 2014 e nel 2016 al fine di denunciare, ancora una volta, una prassi amministrativa di violazione di vari diritti umani, fra i quali il diritto alla libertà personale e quello al rispetto della vita privata e familiare, in relazione al rapimento di alcuni gruppi di minori e al loro trasferimento in Russia. Le contestazioni riguardavano anche attacchi militari diretti contro civili, esecuzioni sommarie, percosse risultanti nel decesso di civili o soldati ucraini fuori combattimento, torture, lavori forzati e distruzione di proprietà privata. Un altro ricorso, infine, è stato presentato dall’Ucraina per denunciare gravi e sistematiche violazioni dei diritti sanciti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo commesse dalla Russia proprio nell’ambito della guerra su larga scala avviata nel febbraio del 2022.

Ad esempio, nel Donbass controllato da Mosca le proprietà degli ucraini sfollati sono state assegnate ad altre persone filorusse anche attraverso un’opera di abbattimento e ricostruzione delle abitazioni, indipendentemente dall’esito finale della guerra.

Né gli accordi di Minsk del 2014 e del 2015, né la proposta del piano di pace tra Russia e Ucraina (il piano in 28 punti nella sua prima formulazione) comprendono una sezione che riguardi la tutela dei diritti dei migranti forzati, le cui proprietà sono state cedute e sulle quali sono stati praticati enormi ricavi in maniera cinica. Ma già l’istituzione del Registro dei danni per l’Ucraina rappresenta un significativo sforzo internazionale e il primo passo verso un meccanismo che garantisca giustizia e un risarcimento al Paese e al suo popolo; ma non basta, perché l’inserimento nella bozza dei vari piani di pace che si avvicendano della tutela dei diritti umani per i quali la comunità internazionale ha prodotto, dalla fine della Seconda guerra mondiale, Convenzioni, Protocolli e Carte a garanzia della dignità dell’uomo, è un atto di civiltà.

Lo stesso concetto vale anche per la Striscia di Gaza. In conseguenza dei raid israeliani che hanno raso al suolo quasi tutta la Striscia i gazawi sono stati ripetutamente sfollati dall’Idf con la forza nel contesto di una situazione umanitaria in continuo peggioramento perchè dentro Gaza stanno arrivando meno del 50% degli aiuti previsti dal piano di pace firmato più di due mesi fa.

In più, il portavoce arabo delle IDF il colonnello Avichay Adraee ha rivelato che anche Hamas dopo che ha sequestrato case, terreni e interi quartieri per i suoi scopi terroristici sta costringendo gli sfollati di Gaza ad al-Qarara, un comune situato a nord di Khan Yunis, nel Sud della Striscia a pagare l’affitto per vivere in tende sulla spiaggia dopo che le case sono state distrutte durante l’alluvione causata dalla tempesta Byron dei giorni scorsi.

I diritti umani anche nel conflitto tra Israele e Hamas non sono mai stati rispettati da entrambe le parti, e nel piano di pace firmato il 13 ottobre scorso a Sharm el-Sheikh in venti punti non è previsto, al di là di una generale dichiarazione di principi, un meccanismo vincolante di implementazione del diritto umanitario e della tutela dei diritti umani. E anche in questo caso i ricorsi alle Corti internazionali sono numerosi.

Gli accordi di pace per i Balcani, per Gaza e per l’Ucraina avrebbero potuto avere un filo giuridico sottile che li avrebbe legati in nome della prevalenza di quei principi fondamentali che hanno retto finora l’Occidente. Ma l’ultima parola non è detta perché ancora sono suscettibili di modifica. D’altra parte, sappiamo bene che i tempi sono cambiati: la multilateralità è osteggiata, il diritto internazionale è stato svuotato del suo valore di regolamentazione dei rapporti fra Stati, e si sono ridisegnati gli equilibri geopolitici mondiali.

Negli anni Novanta il patron degli Accordi di pace di Dayton era stato il democratico Bill Clinton, adesso a gestire i due negoziati di pace è il repubblicano Donald Trump. Indipendentemente dall’appartenenza politica dei due Presidenti americani, sono stati protagonisti di due approcci totalmente differenti alle strategie geopolitiche mondiali degli Stati Uniti. Sotto la Presidenza Clinton emergeva ancora il rispetto per il sistema giuridico internazionale e per le istituzioni mondiali come l’Onu, dai negoziati per le guerre di Gaza e d’Ucraina, invece, affiorano soprattutto gli interessi economici dei singoli attori statali coinvolti, anche per il dopoguerra.

Il mondo in trent’anni è profondamente cambiato, ma i valori fondanti della comunità internazionale emersi all’indomani della Seconda guerra mondiale come la tutela dei diritti umani, diventati l’architrave delle nostre società, sono una preziosa eredità culturale che gli Stati europei, in primis, non dovranno permettere di fare sfumare di fronte ad altri tipi di principi meno nobili.


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