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Acque agitate tra le Pacific Islands

Tra le acque delle Pacific Islands continua il braccio di ferro politico-diplomatico tra Cina e USA. Il punto di Guido Bolaffi

Tornano a farsi agitate le acque tra le tante isole-nazione che popolano le immense distese oceaniche dello strategico corridoio di mare compreso tra Australia, Giappone e il Mar Giallo.

Nelle ultime settimane, il passaggio da uno schieramento all’altro nelle alleanze internazionali del governo di un’isola dell’arcipelago ha infatti rinfocolato le ragioni del braccio di ferro politico-diplomatico ingaggiato in quell’area dagli Usa ed i suoi alleati contro il crescente espansionismo della Cina.

Una confrontation esplosa in tutta la sua portata dopo che il governo di Pechino, grazie ad un accordo sulla “sicurezza” firmato nel marzo 2022 con quello di Honiara, era riuscito a soppiantare il protettorato militare di Canberra sulle Isole Salomone.

Questo strappo geopolitico aveva, a sua volta, convinto la Casa Bianca di Joe Biden a correre ai ripari, convocando a Washington, d’intesa con Australia e Nuova Zelanda, un vertice di Stato di addirittura due giorni per incontrare, con tutti gli onori del caso, i leader di Nuova Caledonia, Isole Cook, Micronesia, Fiji, Polinesia francese, Kiribati, Niue, Palau, Papua New Guinea, Isole Marshall, Samoa, Tonga, Tuvalu e Nauru.

Eppure, lunedì 15 gennaio il Premier di Nauru, avanzando a scusa la preoccupazione per i risultati delle elezioni presidenziali di Taiwan concluse da appena 48 ore, decideva, come si sul dire in questi casi, di “cambiare cavallo”. Giudicando più conveniente abbandonare l’Occidente per l’Oriente.

Tanto è vero che, raccontano Lauly Li e Cheng Ting-Fang sul quotidiano Nikkei nell’articolo Nauru cuts diplomatic ties with Taiwan after Lai election win: “Nauru severed ties with Taiwan, switching its political allegiance to China. The move came two days after Lai Ching-te of the ruling China-skeptic Democratic Progressive Party (DPP) won Taiwan’s presidential election, and leaves Taipei with just 12 formal diplomatic allies [...] The government of Nauru said in a statement on Facebook that Beijing is the legal government representing the whole of China and that seeking the resumption of full diplomatic relations with Beijing was in the best interests of its citizens”.

Una giravolta il cui significato politico-simbolico va certamente ben al di là delle dimensioni di quest’isola. Non solo in ragione del fatto, suggerisce Richard McGregor, studioso dell’East Asia al Lowy Institute, che essa “Was intentionally timed to follow Taiwan’s election to flex Beijing’s growing geopolitical clout in the region”.

Ma soprattutto perché va letta come se fosse la mossa di una partita a scacchi. Esattamente come quella che vede impegnati i governi delle Pacific Islands. I quali, l’un contro l’altro armati, scelgono o cambiano la loro collocazione nello schieramento geopolitico internazionale per trarre il maggior vantaggio possibile dalla competizione con cui America e Cina cercano, con mille modi e mille promesse, di portarli dalla propria parte.

A tale riguardo vale forse la pena rammentare che a dicembre scorso il governo della Papua New Guinea (PNG) - pur se in passato era stato accolto e corteggiato con tutti gli onori dalle autorità del Grande Dragone - all’opposto di quanto invece fatto poche settimane dopo da quello di Nauru, aveva sottoscritto, vincendo la forte opposizione dei non pochi sostenitori del partito pro Cina della sua isola, un accordo per la cooperazione tra le forze di polizia del suo pese e quelle dell’Australia. Che, è bene rammentare, si prefigge con gli altri alleati del Quad – Giappone, India e Stati Uniti – di contrastare il crescente egemonismo cinese tra i governi delle isole di quell’arcipelago.

Di tutto questo dava conto la Reuters il 5 dicembre 2023 nel resoconto Papua New Guinea to recruit Australia police in security deal: “Papua New Guinea Prime Minister James Marape will travel to Canberra Thursday 7 December to sign the security agreement [...] The Australian security agreement was delayed after backlash from some opposition PNG politicians to a defence deal with the United States in May that they said infringed on PNG sovereignty by giving access to ports and airports, and could embroil the Pacific Islands’ largest nation in strategic competition between the U.S. and China”.

Per maggior chiarezza va anche segnalato che sempre la Reuters con un lancio stampa della settimana successiva, per l’esattezza l’11 dicembre, faceva presente che “Papua New Guinea Prime Minister James Marape said on Monday there had been no recent talk with China on security after the resource-rich nation signed a security agreement with Australia last week and a defence previous agreement with the United States in May [...] The Premier said that these two are complementary. External security with the USA and internal security with Australia”.

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