Cuba guarda alla Cina per risolvere la crisi energetica
Alle prese con blackout sempre più diffusi, L’Avana guarda a Pechino per rinnovare la propria rete elettrica e investire nel solare.
 
			
			
			
			La crisi energetica cubana rappresenta oggi uno dei principali fattori di instabilità in un contesto economico e sociale già complesso. La fragilità strutturale del sistema elettrico, risultato di decenni di sottoinvestimenti e di un progressivo deterioramento delle infrastrutture, è emersa in modo inequivocabile nell’ottobre 2024, quando un collasso della rete ha provocato giorni di interruzione dell’erogazione su scala nazionale. Da allorasi sono verificati altri cinque blackout dell’intera rete elettrica, l’ultimo il 10 settembre. Tra sospensioni programmate e guasti improvvisi, una parte significativa della popolazione ha accesso all’elettricità solo per poche ore al giorno.
L’instabilità della rete elettrica incide profondamente sulla vita quotidiana della popolazione e sul funzionamento dell’economia. I blackout compromettono la conservazione degli alimenti, in un contesto caratterizzato da difficoltà diffuse nell’accesso ai beni di prima necessità. In molte aree, inoltre, l’impossibilità di alimentare i sistemi di pompaggio compromette l’erogazione dell’acqua potabile, generando potenziali rischi per la salute pubblica. Le conseguenze si riflettono anche sul piano produttivo, rallentando le attività manifatturiere e artigianali e mettendo in crisi il settore turistico, una delle tradizionali fonti di valuta estera.
La crisi energetica cubana è riconducibile a due fattori strutturali: l’obsolescenza del sistema di generazione elettrica e la cronica scarsità di combustibili. Attualmente, la maggior parte dell’energia elettrica prodotta sull’isola viene da otto centrali termoelettriche alimentate a petrolio, costruite oltre quarant’anni fa con il supporto dell’Unione Sovietica. Gestite dall’Unión Eléctrica, l’ente statale responsabile del settore, le strutture in funzione sono soggette a guasti tecnici sempre più frequenti, che provocano interruzioni prolungate del servizio elettrico. La mancanza di investimenti e il progressivo deterioramento degli impianti hanno determinato, tra il 2018 e il 2022, un calo di quasi il 25% nella capacità complessiva di generazione. Nel tentativo di colmare il divario tra domanda e offerta, nel 2022 il governo cubano ha stipulato un accordo con la società turca Karpowership per l’impiego di centrali elettriche galleggianti (powerships). L’intervento ha permesso di coprire fino a un quarto del fabbisogno nazionale, ma si è rivelato costoso ed efficace solo nel breve periodo. A inizio agosto 2025 Suheyla Sultan, la più grande fra le centrali galleggianti, ha lasciato definitivamente l’isola a seguito del mancato rispetto delle scadenze contrattuali da parte dell’esecutivo.
L’altra debolezza del sistema energetico cubano riguarda l’approvvigionamento di combustibili fossili. La produzione nazionale di petrolio si attesta intorno ai 40.000 barili al giorno, circa un terzo dei 120.000 stimati come necessari per coprire il fabbisogno interno. A ciò si aggiunge la scarsa qualità del greggio estratto localmente, ad alto contenuto di zolfo e acqua, il cui utilizzo continuativo accelera il degrado di impianti già obsoleti. Per anni, Cuba è riuscita a compensare queste carenze grazie alle forniture di petrolio venezuelano concesse a condizioni preferenziali nell’ambito di accordi bilaterali che prevedevano in cambio l’invio nel paese sudamericano di medici e insegnanti cubani. Tuttavia, a partire dal 2014, il collasso dell’economia venezuelana ha comportato un netto ridimensionamento delle forniture petrolifere, con un impatto diretto sulla tenuta della strategia energetica cubana. Il contributo di altri tradizionali partner energetici, come il Messico e la Russia, non è stato sufficiente a colmare il vuoto lasciato da Caracas. Il governo, inoltre, non dispone di riserve di valuta estera sufficienti per acquistare petrolio sui mercati internazionali. Di fronte all’impossibilità di aumentare le importazioni, le autorità hanno risposto cercando di comprimere la domanda interna. In seguito al blackout generalizzato dell’ottobre 2024, sono state adottate misure d’emergenza che hanno esteso il razionamento dell’elettricità a tutto il Paese, con gravi ripercussioni sulle attività produttive, sui servizi pubblici essenziali, inclusi ospedali e scuole, e sulla vita quotidiana delle famiglie.
La gestione della crisi energetica da parte del governo cubano ha per lungo tempo seguito un approccio essenzialmente reattivo, basato su misure emergenziali onerose e a breve termine, che hanno mitigato solo in parte le conseguenze immediate dei blackout, senza incidere sulle vulnerabilità strutturali del sistema. In assenza di un piano di investimenti su larga scala, il deterioramento degli impianti a olio combustibile è destinato a proseguire, aggravando ulteriormente l’instabilità della rete. In passato, il persistente squilibrio delle finanze pubbliche ha impedito l’accesso a finanziamenti esterni anche quando offerti da partner storici a condizioni favorevoli. Nel 2022, ad esempio, il governo cubano ha dovuto rinunciare a un prestito da 1,2 miliardi di euro offerto dalla Russia per rilanciare il settore termoelettrico, poiché impossibilitato a versare l’anticipo richiesto del 10%. Secondo stime indipendenti, la modernizzazione dell’intera rete elettrica cubana richiederebbe almeno 10 miliardi di dollari, una cifra esorbitante per l’isola caraibica.
Spinto dall’acuirsi della crisi energetica e segnando una rottura rispetto al passato, il governo cubano si è mosso con rinnovata energia per ottenere il sostegno di Pechino per sviluppare la produzione di energia rinnovabile e ridurre la dipendenza da combustibili fossili. La cooperazione bilaterale sino-cubana in campo solare ha subito una netta accelerazione, culminata lo scorso 21 febbraio con l’inaugurazione di un nuovo parco fotovoltaico a Cotorro, alla presenza dell’ambasciatore cinese Hua Xin e del presidente cubano Miguel Díaz-Canel, che hanno presentato un ambizioso piano per la modernizzazione del sistema energetico nazionale. L’intesa prevede che la Cina costruisca 55 impianti solari entro la fine del 2025, cui se ne aggiungeranno altri 37 entro il 2028. Già entro la fine di quest’anno, i progetti realizzati in collaborazione con la Cina dovrebbero ammontare a circa 1.100 megawatt di capacità solare, pari a circa un terzo dell’attuale fabbisogno elettrico del Paese, contribuendo in modo significativo alla riduzione del deficit energetico nelle ore diurne. Questo incremento produttivo permetterebbe inoltre di ridurre il ricorso al petrolio durante il giorno, riservandone l’impiego alla generazione elettrica notturna, quando le fonti rinnovabili non possono essere sfruttate. Tuttavia, la mancanza di dati trasparenti e affidabili sullo stato dei lavori rende difficile valutare con precisione i progressi effettivi e, di conseguenza, l’efficacia complessiva dell’iniziativa.
Restano inoltre da chiarire le modalità con cui il governo cubano intende rimborsare il debito contratto con la Cina. Sebbene i dettagli dell’accordo non siano stati resi pubblici, il direttore dell’Unión Eléctrica di Matanzas ha dichiarato lo scorso febbraio che il costo delle apparecchiature si attesterebbe attorno ai 730.000 dollari per megawatt. Il valore complessivo delle forniture supererebbe così 1,5 miliardi di dollari, una somma proibitiva per un Paese con margini di manovra fiscale estremamente limitati. Secondo quanto affermato dal primo ministro Manuel Marrero Cruz, il debito verrà saldato mediante esportazioni di greggio e nichel. Si tratta di un impegno che non appare supportato da margini operativi realistici. La produzione petrolifera nazionale è limitata e di bassa qualità, mentre una parte sostanziale dei ricavi derivanti dal nichel è già destinata al rimborso di debiti contratti in precedenza. È quindi plausibile che, al di là della retorica ufficiale, l’accordo preveda che la Cina ottenga un accesso privilegiato a settori chiave dell’economia cubana. Questo scenario conferma la crescente influenza di Pechino nell’isola e la sua importanza per la sopravvivenza del regime, cui fornisce risorse e tecnologia in una fase in cui altri alleati tradizionali si mostrano riluttanti, o impossibilitati, a fare altrettanto.
 
	
	 
						 
						