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La diplomazia di Pechino, dal vertice SCO a Tianjin alla dialettica con Bruxelles

Dal vertice della SCO in Cina alle richieste di Von der Leyen a Pechino per una mediazione diplomatica nel conflitto in Ucraina. Dinamiche evolutive della diplomazia globale cinese. Il punto di vista di Giorgio Cella

Oltre al vertice russo-statunitense in Alaska, nel finale di agosto (un mese particolarmente pregno di eventi diplomatici, come lumeggiato per le pagine di Med-Or con la precedente analisi circa il vertice di Anchorage[1]) fino ai primi di settembre, è andato in scena anche l’altrettanto importante vertice della Shangai Cooperation Organization (SCO), nella città portuale cinese di Tianjin. Il 25° Consiglio dei Capi di Stato dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, ha visto la partecipazione di oltre 20 capi di Stato e di governo, tra cui il presidente russo Vladimir Putin, il suo alleato bielorusso Alexander Lukashenko, il premier indiano Narendra Modi, Kim Jong-un della Corea del Nord, il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, oltre a vari altri Stati Osservatori ed organismi internazionali[2]. Il vertice, occorso a breve distanza dallo storico incontro Trump-Putin sopra menzionato, ha voluto, per parte cinese, mostrare al mondo lo stato dei solidi, inalterati, rapporti tra Pechino e Mosca, dando una indiretta risposta agli ambiziosi (velleitari?) tentativi del presidente statunitense di sganciare progressivamente la Russia dalla sempre più influente orbita cinese.

Con il vertice di Tianjin, Pechino ha voluto mostrare al mondo come il fronte SCO-BRICS, alternativo alla globalizzazione e all’influenza geopolitica occidentale, sia oggi più strutturato e in continua espansione ed evoluzione. Per Mosca invece, la presenza di Putin al vertice ha voluto dimostrare da un lato come il ruolo della Russia - nonostante le difficoltà incontrate nei tre anni e mezzo di guerra in Ucraina - sia ancora rilevante sul piano della diplomazia globale; dall’altro ha voluto invece rassicurare il potente alleato riguardo la continuità di una solida partnership sino-russa, a fronte dei recenti miglioramenti nei rapporti con gli Stati Uniti dell’amministrazione Trump. Anche in questa occasione, in uno sguardo generale sulle dinamiche e i protagonisti di questo importante evento della diplomazia internazionale, si registra purtroppo, di nuovo, come lo si è fatto ad Anchorage, un vuoto europeo, una assenza di qualsivoglia proiezione di Bruxelles.

Le parole di Xi Jinping e la reazione di Trump

Creata nel 2001, la SCO riunisce Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan (che guiderà l’organizzazione nel periodo 2025–2026), Tagikistan e Uzbekistan, formazione primigenia alla quale si sono poi unite India, Pakistan, Iran e Bielorussia. L’insieme dei paesi membri rappresenta circa il 40% della popolazione mondiale, e copre gran parte dell’Eurasia, teatro principale della presenza e attività della Shangai Cooperation Organization. L’organizzazione promuove attività di cooperazione nei campi della sicurezza, dello sviluppo economico e di quello culturale per l’area eurasiatica: in realtà l’organizzazione politica a guida cinese si è plasmata indirettamente come un controaltare dell’Alleanza Atlantica e più in generale costituisce un grimaldello politico-sicuritario per opporsi e scardinare nel tempo l’ordine mondiale a guida occidentale. A Tianjin sono stati firmati 24 accordi su sicurezza, energia, economia, sviluppo sostenibile, tecnologie e cooperazione regionale[3]. La data del vertice è coincisa altresì con l'80° anniversario della fine della Seconda guerra mondiale e della nascita delle Nazioni Unite; una narrativa, quella legata al secondo conflitto mondiale e al ricordo della lotta e della vittoria sul nazifascismo, come noto molto usata dai russi in Ucraina, ma condivisa anche dal presidente cinese. Quest’ultimo ha inviato messaggi concilianti, ma allo stesso tempo chiaramente assertivi, dichiarando come “la Cina è per una forza di pace e di sviluppo. Nessun bullo potrà intimidirci". Piccata e risentita l’iniziale reazione di Trump: "cospirate contro gli Stati Uniti".

Sulle accuse di Trump, la diplomazia cinese ha voluto subito gettare acqua sul fuoco, dichiarando, per bocca del portavoce del Ministero degli Esteri, Guo Jiakun, come "lo sviluppo delle relazioni diplomatiche da parte della Cina con qualsiasi Paese non è mai diretto contro terze parti”, aggiungendo inoltre che Pechino parla con tutti. A seguito di questi comunicati più concilianti, il presidente statunitense ha cambiato a sua volta subito i toni, ribaltando, come ci ha sovente abituato, le accuse iniziali rivolte a Pechino e Mosca di cospirazione contro Washington, elogiando il summit di Tianjin: “ho pensato che fosse una cerimonia bellissima. L’ho trovata davvero, davvero impressionante”. Oltre alle parole accomodanti della diplomazia cinese sopra menzionate, sappiamo come, quantomeno per ora, Xi Jinping abbia sempre promosso la ricerca del multilateralismo e manifestato una certa contrarietà - sia su un piano concettuale che concreto – rispetto alla formazione di nuovi blocchi di alleanze vincolanti in stile Guerra Fredda: ciò potrebbe rappresentare infatti un ostacolo al commercio globale che, come noto, costituisce l’arma primaria della proiezione internazionale di Pechino.

Il terzo incomodo e ago della bilancia globale: l’India di Modi

Tornando al vertice, oltre alle rinnovate, rinsaldate e sempre più strategiche sinergie sino-russe, si è visto altresì, quantomeno su un piano scenico-mediatico, l’entrata di un terzo incomodo nel vertice duopolistico anti-occidentale sino-russo: l’India di Modi. Sebbene il vertice abbia consegnato ai media internazionali immagini importanti come calorose strette di mano, lunghi abbracci e foto di forte impatto simbolico che ritraggono Putin, Xi e Modi insieme in grande apparente sintonia, scorgere un nuovo triumvirato sino-russo-indiano perfettamente armonico sarebbe quantomeno ingenuo, oltre che irrealistico. Se è vero che esistono potenziali (e in futuro sostanziali) punti critici financo nell’ormai (per alcuni aspetti) consolidato rapporto bilaterale tra Mosca e Pechino, sono innumerevoli quelli in essere tra India e Cina: a partire da questioni meramente geopolitiche per il controllo di tratti di confini contesi e del controllo delle relative infrastrutture; alla differente tipologia di governance (sistema a democrazia rappresentativa vs autocrazia e partito unico); alla rivalità strategica, in quanto entrambe potenze globali economiche e demografiche, sino al conteso ruolo di leader regionale nell’Indo-Pacifico, così come svariati altri punti di frizione[4]. La dimensione cruciale tuttavia, l’enigma geostrategico, riguarda senz’altro il posizionamento in termini di alleanze internazionali che Nuova Dehli vorrà prendere nel medio-lungo termine. Al netto di ciò, è chiaro come nell’avvenire l’India assumerà inevitabilmente un ruolo di ago della bilancia negli assetti di potenza globali. Se Nuova Dehli, dunque, deciderà di affiancarsi progressivamente in un modus vivendi geopolitico alla potenza cinese, ciò complicherà fortemente i piani strategici circa l’influenza di Washington in Asia. Le immagini di grande sintonia di Putin, Xi e Modi, sebbene non significhino certo la nascita di un nuovo asse di potenze consolidato, hanno senz’altro suonato un campanello d’allarme in quel di Washington.

Le richieste di Von der Leyen e Sikorski per il ritorno della diplomazia cinese nel conflitto russo-ucraino

Nonostante tutto quanto sin qui descritto, nonostante una partnership con Mosca apparentemente progressivamente più stretta sotto diversi aspetti, nonostante l’ergersi sempre più come forza alternativa al potere occidentale, il ruolo della Cina come arbitro della diplomazia globale cresce costantemente, e i più recenti richiami in questo senso provengono proprio dall’Europa che, sebbene rimanga salda nel suo legame transatlantico con Washington, si trova a volte anche disorientata dai continui cambi di visione e di policies da parte del presidente statunitense. Recentemente, infatti, sia la Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen che il Ministro degli Esteri polacco Radosław Sikorski, hanno lanciato messaggi alla diplomazia cinese per un contributo decisivo nel raggiungimento di una tregua in Ucraina e nel portare al tavolo dei negoziati la Russia. Partiamo dalle dichiarazioni di Von der Leyen: "Ho chiesto alla Cina di usare la sua influenza per contribuire a porre fine alle uccisioni e incoraggiare la Russia a sedersi al tavolo dei negoziati", queste le sue parole al termine dell'incontro con il primo ministro della Repubblica Popolare, Li Qiang, occorso a New York il 24 settembre in occasione dell’ottantesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. "È giunto il momento della diplomazia", ​​ha proseguito la presidente dell'esecutivo UE, nella convinzione che una decisa iniziativa cinese "invierebbe un segnale forte al mondo".

L’Unione Europea chiede quindi a Pechino di contribuire attivamente per la soluzione conflitto che si trascina dal febbraio 2022, indipendentemente dal fatto che molto probabilmente le tensioni tra le parti proseguiranno. Si ricordi infatti come negli ultimi mesi, Bruxelles abbia apertamente attaccato la Cina per il suo sostegno alla Russia di Putin, arrivando addirittura a includere il paese asiatico nella lista dei rivali sistemici dell'Unione Europea[5]. Un cambio assai pragmatico, dunque, dettato dalla situazione sempre più preoccupante e incandescente sul fronte orientale NATO-EU. Dello stesso tenore, il richiamo a un ritorno della diplomazia cinese nel conflitto russo-ucraino è giunto il 29 settembre da parte del Ministro degli Esteri polacco Sikorski, il quale, dalla prestigiosa conferenza per la sicurezza tenutasi nel finale di settembre nella capitale polacca (Warsaw Security Conference), ha richiesto senza troppi giri di parole un intervento diretto del Dragone per giungere a un compromesso di pace per la confinante, martoriata Ucraina e per fermare la violenza bellica russa: "Personalmente credo che la Cina sia l'unico paese che può effettivamente imporre un cessate il fuoco in questa guerra", ha affermato il ministro, aggiungendo che la controparte cinese ha assicurato che Pechino sostiene fermamente un cessate il fuoco. Sikorski, ha anche fatto appello al ministro degli Esteri cinese Wang Yi affinché possa convincere la Bielorussia a porre fine alle sue operazioni di destabilizzazione del confine polacco-bielorusso. L’insieme di queste dinamiche, eventi e dichiarazioni, ci rammenta da ultimo come il ruolo della Cina negli scenari geopolitici mondiali sia in continua crescita, non solo nel suo emisfero asiatico, ma anche in quello del Vecchio Continente.


[1] G. Cella, Il vertice di Anchorage e le evoluzioni nel conflitto ucraino,

https://www.med-or.org/news/il...

[2] Tra gli Stati osservatori erano presenti la Mongolia, l’Azerbaigian, l’Armenia, la Cambogia, le Maldive, il Myanmar, il Nepal, la stessa Turchia e l’Egitto; tra gli Ospiti della presidenza c’erano il Turkmenistan, l’Indonesia, il Laos, la Malesia e il Vietnam; le organizzazioni internazionali presenti erano ONU, CIS, ASEAN, CSTO, EEC, AIIB.

[3] Vertice SCO a Tianjin: firmati 24 accordi e passaggio della presidenza al Kirghizistan, https://www.corrieredelleconom...

[4] V. Tiwari, S. Shukla, Friction between india and china

Examining the Indian Approach, https://www.orcasia.org/articl...

[5] R. Christie, Rivals, Not Enemies, https://ip-quarterly.com/en/ri...

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